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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Sentenza n. 29386 del 13 novembre 2019
Fatti di causa
La O. s.r.l. ha impugnato per cassazione la sentenza n. 4223/2015, depositata in data 30.9.2015, della CTR della Lombardia che aveva respinto l'appello proposto avverso la decisione della CTP di Milano pure reiettiva del suo ricorso contro l'avviso di liquidazione dell'imposta di registro n. XXXXXXXX/XXXXXXXXXXXX/XXX, notificato 31.5.2011, relativo alla registrazione del decreto ingiuntivo emesso in data 7 maggio 2009 dal Tribunale di Milano;
contestando l'applicazione dell'imposta di registro nella misura proporzionale del 3%, anziché in misura fissa.
Il ricorso è affidato a due motivi.
La AGENZIA DELLE ENTRATE non ha svolto attività difensiva.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa ex ad. 378 c.p.c..
Ragioni della decisione
La presente controversia riguarda la impugnativa di avviso di liquidazione per imposta di registro applicata in misura proporzionale su decreto ingiuntivo ottenuto dalla ricorrente quale cessionaria per accordo transattivo.
Con il primo motivo la O. ha lamentato violazione e falsa applicazione degli art. 112 e 132 c.p.c e 62, comma 1, D.Lgs. n. 546/1992 in relazione all'art. 360, comma 1, nn. 4 e 5 c.p.c., sul rilievo che "la motivazione della sentenza impugnata è incomprensibile, perché inconferente rispetto all'oggetto del contendere", concernente la individuazione della corretta applicazione dell'imposta di registro (in misura fissa ovvero proporzionale) al decreto ingiuntivo emesso in suo favore quale fideiussore. in esecuzione di un accordo transattivo del 2.12.2005.
Il motivo è infondato e va respinto.
Con la motivazione della sentenza impugnata i giudici di secondo grado hanno statuito per il rigetto dell'appello sulla base dell'affermazione che "... l'atto transattivo lascia in vita il decreto ingiuntivo e che questo non è soggetto ad Iva, essendo irrilevante la sorte delle singole poste creditorie che compongono il capitale ingiunto, resta integro il diritto/dovere dell'Ufficio di assoggettamento a tassazione propria il decreto ingiuntivo rimasto, come detto, integro".
Orbene, pur se redatta in modo estremamente conciso, la motivazione della sentenza consente di enucleare una "ratio", individuabile nel presupposto — ancorchè errato, come si dirà - secondo cui l'avviso di liquidazione oggetto dell'impugnativa fosse da riferire "...ad una fideiussione incondizionata prestata da S.", senza considerare che il decreto ingiuntivo recante condanna ai pagamento del corrispettivo di una cessione di beni potesse anche non riferirsi alla fideiussione.
Il secondo motivo, concernente violazione e falsa applicazione delle disposizioni di cui 20 e 40 del DPR n. 131/1986, è invece fondato e va accolto.
Va, infatti, considerato che oggetto dell'avviso di liquidazione oggetto dell'impugnativa non era l'escussione della fideiussione rilasciata da O. all'ATI, aggiudicataria dell'appalto di realizzazione della linea tranviara in Messina.
Nemmeno oggetto dell'avviso era la rivalsa interna del fideiussore adempiente verso le società debitrici.
Oggetto dell'avviso era invece il decreto ingiuntivo riguardante il pagamento dei crediti acquistati da O. in forza della transazione, aventi ad oggetto forniture merci (materassini antivibranti) assoggettate ad IVA, oltre le spese legali assoggettate pacificamente ad IVA.
Non vi è dubbio che, come affermato dalla CTR, la transazione "lasciasse in vita il decreto ingiuntivo" (costituendone anzi il presupposto), ma con l'iniziale impugnativa la O. non aveva chiesto di non pagare l'imposta di registro sul decreto ingiuntivo, bensì di pagarla in misura fissa in quanto riguardante rapporti commerciali su fattura del tutto autonomi e già assoggettati ad IVA.
Va, quindi, in conclusione, ribadito che in tema di imposta di registro !a registrazione del decreto ingiuntivo esecutivo ottenuto dal creditore per il pagamento di somme assoggettate ad IVA fruisce, in base ai principio dell'alternatività sancito dall'art. 40 del DPR n. 131 dei 1986, dell'applicazione dell'imposta in misura fissa. La diversa soluzione adottata in sede di merito avrebbe trovato giustificazione ove il decreto ingiuntivo avesse riguardato somme pagate dal garante al creditore principale, nel qual caso l'aliquota da applicare sarebbe stata quella proporzionale del 3% sul valore della condanna, ai sensi dell'art. 8, comma 1, lettera b) della Tariffa, parte l, allegata ai DPR 131/1986, in quanto l'obbligo azionato con tale pretesa da un lato deriverebbe da un rapporto distinto ed autonomo da quello principale e, dall'altro, non si risolverebbe in un corrispettivo o in una prestazione soggetta ad IVA (Cass. sent. n. 20262 dei 9.10.2015; SSUU 18520/19). Nella fattispecie in esame, come già precisato, non è applicabile il principio ora esposto, in quanto non si è trattato di decreto ingiuntivo in rivalsa, bensì di decreto ingiuntivo su acquisto crediti fatturati (oltre tutto per importi superiori a quello che la società gerente aveva corrisposto alla società cedente i crediti in questione).
Va, quindi, accolto il ricorso, cassata la sentenza impugnata e decisa nel merito la causa con l'accoglimento dell'originario ricorso del contribuente, non essendovi ulteriori accertamenti da compiere.
Le spese del merito possono dichiararsi compensate, stante sopravvenire nel corso del giudizio dell'orientamento chiarificatore di legittimità.
Quelle del presente giudizio, per la cui liquidazione si rimanda al dispositivo, vanno poste a carico dell'Agenzia delle Entrate.
p.q.m.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nei merito, accoglie l'originario ricorso della contribuente.
Dichiara compensate le spese delle fasi di merito e condanna l'Agenzia delle Entrate al pagamento di quelle del presente giudizio, che liquida in € 5.300,00 oltre rimborso forfettario ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio dell'11.9.2019.
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