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Accise. Base imponibile va determinata sul quantum realmente percepito: fornitore non è tenuto al versamento di imposta spettante al consumatore finale. La Corte accoglie il ricorso della contribuente.

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Estratto: “«le accise sull'energia elettrica dovute dal soggetto obbligato all'Amministrazione rientrano nella base imponibile dell'IVA a condizione che le stesse siano state effettivamente traslate sul consumatore finale ai sensi dell'art. 16, comma 3, TUA, poiché solo in questo caso entrano a fare parte del prezzo pagato da quest'ultimo e vengono, dunque, a costituire un elemento del costo del prodotto venduto».

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 26145 del 16 ottobre 2019

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 22/01/17 del 23/10/2017, la Commissione tributaria regionale della Valle d'Aosta (hinc CTR) accoglieva l'appello proposto dalla Agenzia delle dogane e dei monopoli e dall'Agenzia delle entrate avverso la sentenza n. 13/02/16 della Commissione tributaria provinciale di Aosta (hinc CTP), che aveva, a sua volta, accolto i ricorsi della I. s.r.l. e della I. s.r.l. nei confronti di sei avvisi di pagamento per accise non corrisposte con riferimento al periodo 2009-2013, due cartelle di pagamento relative ai predetti avvisi e dieci avvisi di accertamento relativi al mancato pagamento dell'IVA sulle accise.

1.1. Come si evince dalla sentenza della CTR: a) gli atti impugnati riguardavano l'energia elettrica prodotta e ceduta alle società consorziate, energia andata esente da imposte (accise ed IVA), con conseguente recupero di queste ultime da parte dell'Agenzia delle dogane e dall'Agenzia delle entrate, per quanto di rispettiva competenza; b) la CTP, riuniti i diciotto ricorsi, li accoglieva ritenendo l'inesigibilità del tributo, delle sanzioni e degli interessi in ragione del legittimo affidamento delle contribuenti; c) avverso la sentenza della CTP, l'Agenzia delle dogane e l'Agenzia delle entrate, per quanto di rispettiva competenza, interponevano appello principale, mentre Is.cons.r.I., che nelle more aveva incorporato Is.cons.r.I., proponeva appello incidentale; d) il giudizio si svolgeva anche nei confronti di Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a. quale incorporante di Equitalia Nord s.p.a. ed emittente le cartelle di pagamento sopra menzionate.

1.2. La CTR, per quanto ancora interessa in questa sede, motivava il parziale accoglimento degli appelli principali e incidentali proposti evidenziando che: a) gli effetti del legittimo affidamento dovevano essere limitati all'esclusione delle sanzioni e degli interessi sia sulle accise che sull'IVA, impregiudicato il recupero dei tributi; b) l'art. 11 della I. 27 luglio 2000, n. 212 era inapplicabile al caso di specie, in assenza dei rigorosi presupposti richiesti dalla disposizione; c) poiché la ritenuta non debenza delle accise era il presupposto logico della contestata evasione dell'IVA, il legittimo affidamento, in relazione a sanzioni ed interessi, operava anche con riferimento agli avvisi di accertamento notificati dall'Agenzia delle entrate; d) il termine di prescrizione quinquennale per l'esercizio del diritto di credito concernente le accise 2008 decorreva dalla data di presentazione della dichiarazione di consumo (18/03/2009) e non era scaduto alla data di notificazione del processo verbale di constatazione, notificato in data 11/03/2014, da ritenersi atto idoneo all'interruzione della prescrizione; e) non poteva essere accolta la qualifica di autoproduttore di cui all'art. 2, comma 2, del d.lgs. 16 marzo 1999, n. 79 (cd. decreto Bersani), estranea alla materia fiscale, né l'energia ceduta ai soci delle società consortili poteva dirsi autoconsumata; f) vi era in atti la prova del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale; g) le accise sull'energia elettrica rientravano nella base imponibile dell'IVA, ai sensi dell'art. 78, § 1, lett. a), della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 e dell'art. 13 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633; h) per il calcolo dell'IVA dovuta occorreva fare riferimento ai conteggi di Idroenergia s.cons.r.I., non specificamente contestati dall'Ufficio.

2. Avverso la sentenza della CTR Is.cons.r.I., poi incorporata in CdAT s.r.l. (hinc C.), proponeva ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi, illustrato con memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

3. L'Agenzia delle dogane resisteva con controricorso; l'Agenzia delle entrate e l'Agenzia delle entrate - Riscossione, quale successore di Equitalia Servizi di Riscossione s.p.a., restavano, invece, intimate, depositando unicamente atto di costituzione al fine dell'eventuale partecipazione all'udienza di discussione della causa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Prima di procedere all'esame dei motivi di ricorso, appare utile una rapida ricognizione della normativa applicabile ratione temporis alla fattispecie, anche a seguito delle modifiche al d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504 (Testo unico accise - TUA) conseguenti alla attuazione, con d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26 e a far data dal 01/06/2007, della direttiva n. 2003/96/CE del 27 ottobre 2003, che ha ristrutturato il quadro comunitario per la tassazione dei prodotti energetici e dell'elettricità. I testi normativi che si vanno ad esaminare non hanno subito modifiche rilevanti in questa sede ad opera del d.l. 2 marzo 2012, n. 16, conv. con modif. nella I. 26 aprile 2012, n. 44.

1.1. Ai sensi dell'art. 52, comma 1, TUA «l'energia elettrica (codice NC 2716) è sottoposta ad accisa, con l'applicazione delle aliquote di cui all'allegato I, al momento della fornitura ai consumatori finali ovvero al momento del consumo per l'energia elettrica prodotta per uso proprio».

1.2. Obbligati al pagamento dell'accisa sono, tra gli altri, anche «gli esercenti le officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio» (art. 53, comma 1, lett. b), TUA), purché non esclusi dal pagamento dell'imposta ai sensi dell'art. 52, comma 2, TUA.

E, per quanto interessa in questa sede, non è sottoposta ad accisa solo

l'energia elettrica «prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza non superiore a 20 kW» (art. 52, comma 2, lett. a), TUA).

1.3. L'officina di produzione è «costituita dal complesso degli apparati di produzione, accumulazione, trasformazione e distribuzione dell'energia elettrica esercitati da una medesima ditta, anche quando gli apparati di accumulazione, trasformazione e distribuzione sono collocati in luoghi distinti da quelli in cui si trovano gli apparati di produzione, pur se ubicati in comuni diversi» (art. 54, comma 1, TUA).

1.4. I soggetti obbligati al pagamento delle accise e, in particolare, gli esercenti officine di produzione di energia elettrica utilizzata per uso proprio, «hanno l'obbligo di denunciare preventivamente la propria attività all'Ufficio dell'Agenzia delle dogane competente per territorio e di dichiarare ogni variazione (...)» (art. 53, comma 4, TUA).

A seguito della denuncia, l'Ufficio competente, verificata la sussistenza di tutte le condizioni previste dalla legge ed effettuati i necessari controlli, rilascia alle officine di produzione di energia elettrica una licenza di esercizio (art. 53, comma 7, TUA) e queste ultime sono tenute a presentare, entro il mese di marzo dell'anno successivo a quello cui la dichiarazione si riferisce, «una dichiarazione di consumo annuale, contenente, (...), tutti gli elementi necessari per l'accertamento del debito d'imposta relativo ad ogni mese solare, nonché l'energia elettrica prodotta, prelevata o immessa nella rete di trasmissione o distribuzione» (art. 53, commi 8 e 9, TUA).

1.5. Ai sensi dell'art. 55, comma 1, TUA, l'accertamento e la liquidazione dell'accisa sono effettuati proprio sulla base della menzionata dichiarazione di consumo annuale, mentre «il termine di prescrizione per il recupero dell'imposta è di cinque anni dalla data in cui è avvenuto il consumo», salva la sussistenza di fatti illeciti (art. 57, comma 2, TUA).

1.6. Infine, ai sensi dell'art. 52, comma 3, lett. b), TUA è esentata da accise l'energia elettrica «prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kW, consumata dalle imprese di autoproduzione in locali e luoghi diversi dalle abitazioni».

1.7. La formulazione della disposizione riprende, sostanzialmente, il testo dell'art. 10, comma 6, della I. 13 maggio 1999, n. 133, che, con riferimento alle addizionali erariali, così recita: «Al fine di agevolare il raggiungimento degli obiettivi di cui al Protocollo sui cambiamenti climatici, adottato a Kyoto il 10 dicembre 1997, l'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili, consumata dalle imprese di autoproduzione e per qualsiasi uso in locali e luoghi diversi dalle abitazioni è esclusa dall'applicazione delle addizionali erariali (...)». Le menzionate addizionali erariali sono state poi abrogate dall'art. 28, comma 1, della I. 23 dicembre 2000, n. 388 che, peraltro, estende all'imposta erariale di consumo di cui all'art. 52 TUA «tutte le agevolazioni previste, fino alla data di entrata in vigore della presente legge, per l'addizionale erariale sull'energia elettrica» (art. 28, comma 3, della I. n. 388 del 2000), con disposizione poi assorbita dalla nuova formulazione dell'art. 52 TUA, conseguente alla novella di cui al d.lgs. n. 26 del 2007.

1.8. Va, infine, ricordato che, l'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999, attuativo della direttiva n. 96/92/CE del 19 dicembre 1996, concernente norme comuni per il mercato interno dell'energia elettrica, stabilisce che, agli effetti del menzionato decreto, «Autoproduttore è la persona fisica o giuridica che produce energia elettrica e la utilizza in misura non inferiore al 70% annuo per uso proprio ovvero per uso delle società controllate, della società controllante e delle società controllate dalla medesima controllante, nonché per uso dei soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica di cui all'articolo 4, numero 8, della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, degli  ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili e per gli usi di fornitura autorizzati nei siti industriali anteriormente alla data di entrata in vigore del presente decreto».

2. Dalla lettura coordinata delle superiori disposizioni si evince che, ai fini della presente controversia, tutte le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio sono soggetti obbligati al pagamento delle accise e devono denunciare preventivamente la propria attività, ottenere il rilascio di una licenza di esercizio e depositare annualmente una dichiarazione di consumo. 2.1. Sono, dunque, soggetti obbligati al pagamento delle accise anche gli autoproduttori indicati dall'art. 2, comma 2, del d.lgs. n. 79 del 1999 e, specificamente, quei soggetti che producono energia elettrica e la utilizzano in misura non inferiore al settanta per cento annuo per uso proprio ovvero per uso degli appartenenti ai consorzi o alle società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili. 2.2. Invero, sono esentati dal pagamento delle accise unicamente le officine di produzione che producono energia elettrica per uso proprio a condizione che: a) la produzione avvenga con impianti azionati da fonti rinnovabili; b) detti impianti abbiano una potenza disponibile superiore a 20 ,kw; c) l'energia autoprodotta venga anche autoconsumata per usi differenti da quello abitativo.

2.3. Ciò premesso, appare opportuno esaminare preliminarmente il terzo motivo di ricorso, concernente la spettanza a C. dell'esenzione di cui al paragrafo che precede.

3. Con il menzionato motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 10, comma 6, della I. n. 133 del 1999, dell'art. 28, commi 1 e 3, della I. n. 388 del 2000, dell'art. 52, comma 3, lett. b), TUA e dell'art. 2, comma 2, del d.lgs. 79 del 1999, evidenziando la spettanza dell'esenzione da accisa con riferimento all'energia elettrica autoprodotta dalla società consortile incorporata nella C. e ceduta alle imprese consorziate.

4. Il motivo è infondato.

4.1. Secondo la CTR, la definizione di autoproduttore contenuta nel decreto Bersani non è mutuabile a fini fiscale, laddove l'art. 52, comma 3, lett. b), TUA prevede la esenzione dalle accise unicamente per l'autoproduttore che consumi autonomamente l'energia elettrica prodotta e, dunque, non può essere applicata ai consorzi di produzione, che cedono l'energia prodotta a beneficio delle imprese consorziate.

4.2. Le conclusioni cui giunge la CTR sono corrette e meritano di essere confermate. Invero, come già anticipato ai §§ 2 ss., la nozione di autoproduzione di cui al d.lgs. n. 79 del 1999 non è idonea ad individuare i soggetti esentati dal pagamento delle accise ai sensi dell'art. 52, comma 3, lett. b), TUA, i quali non rientrano nella menzionata definizione. Valgano le seguenti considerazioni: a) l'art. 2, comma 1, del d.lgs. n. 79 del 1999 afferma che le definizioni di cui ai successivi commi valgono ai soli fini del decreto e, pertanto, la definizione di autoproduzione di cui al comma 2 trova un limite applicativo testuale; b) le finalità del decreto Bersani, in linea con la direttiva n. 96/92/CE sono quelle di perseguire un mercato concorrenziale dell'energia elettrica mentre il Testo unico accise, come modificato dal d.lgs. n. 26 del 2007, in attuazione della direttiva n. 2003/96/CE, ha come obiettivo l'armonizzazione della tassazione degli Stati membri della UE in materia di accise sui prodotti energetici: in questo contesto, la definizione di autoproduzione di cui al decreto Bersani deve fare i conti con la qualifica di soggetti obbligati al pagamento delle accise che hanno le officine di produzione di energia elettrica per uso proprio ai sensi del Testo unico accise; c) l'esenzione prevista dall'art. 52, comma 3, lett. b), TUA con riferimento all'energia elettrica prodotta da fonti rinnovabili è limitata all'utilizzazione che fa dell'energia medesima il soggetto autoproduttore ed è di stretta interpretazione: deve, pertanto, riconoscersi l'esenzione unicamente alla società consortile che produce l'energia, nei limiti del consumo dalla stessa praticato, e non già per l'ipotesi in cui la società consortile ceda l'energia elettrica a distinti soggetti giuridici quali sono i consorziati (nello stesso senso, sebbene con riferimento alle addizionali locali sull'energia elettrica, Cass. n. 8293 del 09/04/2014; Cass. n. 23529 del 12/09/2008), pena facili ed intuibili elusioni della disposizione agevolativa; d) la giurisprudenza riguardante la traslazione delle agevolazioni IVA spettanti alla società consortile sui singoli consorziati attraverso il meccanismo del cd. ribaltamento dei costi e dei ricavi (Cass. n. 24320 del 04/10/2018; Cass. n. 3166 del 09/02/2018; Cass. n. 18437 del 26/07/2017) segue uno schema differente, in quanto, nelle fattispecie considerate, il contratto di appalto stipulato dal committente con la società consortile è direttamente imputabile alle società consorziate, con conseguente neutralità del consorzio, che non esercita attività commerciale in proprio; nel caso dell'autoproduzione, invece, è la società consortile a svolgere, legittimamente (cfr. Cass. S.U. n. 12190 del 14/06/2016), attività commerciale in proprio e a cedere il prodotto ai consorziati: laddove lo scopo consortile non è certo quello di godere della agevolazione fiscale, ma quello di approvvigionarsi di energia elettrica a costi contenuti.

4.3. A ciò si aggiunge che l'art. 1, comma 911, della I. del 28/12/2015 n. 208, applicabile solo con riferimento all'anno d'imposta 2016 (e, pertanto, non alla presente controversia), ha previsto che «l'articolo 52, comma 3, lettera b), del decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, si applica anche all'energia elettrica prodotta con impianti azionati da fonti rinnovabili ai sensi della normativa vigente in materia, con potenza disponibile superiore a 20 kw, consumata dai soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica di cui all'articolo 4, numero 8), della legge 6 dicembre 1962, n. 1643, in locali e luoghi diversi dalle abitazioni».

4.3.1. La menzionata disposizione richiama pedissequamente solo la prima parte dell'art. 2, comma 2, del decreto Bersani, includendo, pertanto, nell'esenzione i soci delle società cooperative di produzione e distribuzione dell'energia elettrica, ma non estendendo l'esenzione agli appartenenti ai consorzi o società consortili costituiti per la produzione di energia elettrica da fonti energetiche rinnovabili.

4.3.2. Tale innovazione offre un ulteriore spunto argomentativo per confermare la tesi più sopra sostenuta: la estensione dell'esenzione alle sole società cooperative di cui all'art. 2, comma 2, del d.l. n. 79 del 1999 implica, a contrario, che i consorzi e le società consortili, già esclusi, rimangono fuori dal campo applicativo della norma anche per gli anni d'imposta successivi al 2016.

4.4. Le ulteriori disposizioni (art. 10, comma 6, della I. n. 133 del 1999; art. 28, commi 1 e 2, della I. n. 388 del 2000) richiamate nell'intestazione del motivo di ricorso, sono semplici citazioni della ricorrente, che non ha fatto alcun riferimento alle stesse al fine di giustificare la propria ricostruzione in diritto. 4.4.1. In ogni caso, dette disposizioni, che complessivamente esaminate, estendono l'esenzione prevista per le abrogate addizionali sull'energia elettrica anche all'imposta erariale di consumo (oggi accisa) sull'energia autoprodotta e autoconsumata da fonti rinnovabili non spostano i termini del problema: invero, la menzionata esenzione è oggi regolata dalla nuova formulazione dell'art. 52, comma 3, lett. b), TUA, che ricalca sostanzialmente il testo dell'art. 10, comma 6, della I. n. 133 del 1999, da ritenersi oggi non più vigente nemmeno con riferimento alle accise. 4.5. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di accise sull'energia elettrica, la società consortile che autoproduce energia elettrica da fonte rinnovabile, con impianti dalla potenza disponibile superiore a 20 kw, beneficia dell'esenzione prevista dall'art. 52, comma 3, lett. b), del d.lgs. n. 504 del 1995 (nella sua formulazione applicabile ratione temporis, successiva alle modifiche introdotte con il d.lgs. n. 26 del 2007) limitatamente all'energia prodotta e consumata in proprio e non anche a quella prodotta e ceduta ai singoli consorziati».

4.6. Poiché, nella fattispecie, non è in contestazione che si chieda l'esenzione con riferimento alla sola energia prodotta e ceduta da C. in favore dei consorziati (e non anche con riferimento all'energia autoprodotta ed autoconsumata), il motivo proposto non può che essere rigettato.

5. Con il primo motivo di ricorso C. deduce, con riferimento alla sola annualità d'imposta 2008, la violazione degli artt. 15 e 57 TUA e dell'art. 2935 cod. civ., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. civ., evidenziando che il diritto di credito per accise si prescrive in cinque anni dal consumo, sicché, alla data della notificazione del processo verbale di constatazione (11/03/2014), il termine deve ritenersi già ampiamente spirato, essendo stata l'energia autoprodotta consumata nel 2008.

6. Il motivo è infondato. 6.1. Secondo un recente arresto della S.C., cui in questa sede si intende dare continuità, «il termine quinquennale di prescrizione che, ai sensi dell'art. 57, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1995, decorre dalla "data in cui è avvenuto il consumo", va riferito alla data di presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente fabbricante, responsabile dell'attuazione del tributo, assumendo rilievo il momento in cui l'Ufficio è posto nelle condizioni di verificare l'adempimento degli obblighi di cui all'art. 55, comma 1, del cit. d.lgs.». 6.2. Il superiore principio di diritto, sebbene faccia riferimento a disposizioni del Testo unico accise nella versione antecedente alle modifiche apportate dal d.lgs. 2 febbraio 2007, n. 26, è sicuramente applicabile anche a seguito della novella, non essendo sostanzialmente mutato il contesto normativo.

6.3. L'art. 57, comma 2, TUA, nel testo applicabile ratione temporis, ricollega il termine di prescrizione per il recupero dell'imposta, determinato in cinque anni, alla data in cui è avvenuto il consumo, salva la presenza di illeciti penali o amministrativi. Tuttavia, il credito per accisa implica specifici adempimenti del contribuente, obbligatori per legge, rispetto ai quali l'intervento dell'Amministrazione doganale risulta solo eventuale: le attività di accertamento necessarie, anche sul piano cronologico, sono, in realtà, demandate al contribuente-produttore, che assume la responsabilità dell'attuazione del tributo.

6.3.1. Ne deriva che l'azione successiva dell'Amministrazione si caratterizza come controllo di quanto il contribuente ha realizzato: l'atto di accertamento ha ad oggetto i fatti imponibili non direttamente ma attraverso una attività secondaria, propria del contribuente produttore, che ha, in concreto, quale obbiettivo gli atti posti in essere (od omessi) dal contribuente medesimo. 6.3.2. In questo contesto, la «data in cui è avvenuto il consumo» si identifica, in termini univoci, in quella in cui è possibile verificare che il contribuente-produttore abbia adempiuto agli obblighi di legge e, dunque, coincide con quella di presentazione della dichiarazione annuale di cui all'art. 55, comma 1, TUA, da effettuare entro il mese di marzo dell'anno successivo a quello cui il consumo si riferisce.

6.4. Nel caso di specie, pertanto, è solo dalla concreta presentazione della dichiarazione annuale (e, dunque, dal 18/03/2008, come accertato dalla CTR) che decorre il termine di prescrizione; con la conseguenza che la notificazione del processo verbale di constatazione - la cui idoneità a interrompere il termine di prescrizione, ritenuta dalla CTR, non è stata oggetto di rilievo alcuno da parte di C. -, pacificamente intervenuta per la società contribuente in data 11/03/2014, deve ritenersi tempestiva.

7. Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 10 e 11 della I. 27 luglio 2000, n. 212, nonché dei principi di rilevanza costituzionale e di derivazione europea di certezza del diritto, buona fede, affidamento legittimo e proporzionalità, con conseguente inesigibilità della pretesa tributaria sia con riferimento alle accise che all'IVA. 7.1. In buona sostanza, la ricorrente evidenzia che: a) l'Amministrazione doganale ha cambiato il proprio orientamento, avendo già riconosciuto in passato alla società contribuente la qualifica di autoproduttore e il relativo regime di esenzione, con conseguente buona fede di C. nel ritenere dovuta l'esenzione. Pertanto, una interpretazione costituzionalmente e comunitariamente orientata del principio dell'affidamento, dovrebbe condurre ad un annullamento della pretesa e non solo delle sanzioni e degli interessi, se del caso previa remissione della questione alla Corte costituzionale o rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia; b) gli atti ricognitivi della sussistenza dei presupposti per godere dell'esenzione da parte dell'Agenzia delle dogane devono avere gli stessi effetti della risposta data ad un interpello generale.

8. Il motivo è infondato. 8.1. Secondo la ormai prevalente giurisprudenza di questa Corte, cui si intende dare continuità, «la tutela dell'affidamento incolpevole del contribuente, sancita dall'art. 10, commi 1 e 2, della I. n. 212 del 2000, costituisce espressione di un principio generale dell'ordinamento tributario, che tardiva origine nei principi affermati dagli artt. 3, 23, 53 e 97 Cost. ed, in materia di tributi armonizzati, in quelli dell'ordinamento dell'Unione europea, sicché deve ritenersi che la situazione di incertezza interpretativa, ingenerata da risoluzioni dell'Amministrazione finanziaria, anche se non influisce sulla debenza dell'imposta, deve essere valutata ai fini dell'esclusione dell'applicazione delle sanzioni» (così Cass. n. 370 del 09/01/2019, con ampi riferimenti alla giurisprudenza europea in materia di tributi armonizzati; sempre con riferimento all'esclusione delle sole sanzioni, si vedano ancora Cass. n. 10499 del 03/05/2018; Cass. n. 12635 del 08/02/2017; Cass. n. 5934 del 25/03/2015; Cass. n. 16692 del 03/07/2013; Cass. n. 21070 del 13/10/2011; Cass. n. 19479 del 10/09/2009). 8.1.1. È stato altresì precisato che «le circolari ministeriali in materia tributaria non costituiscono fonte di diritti ed obblighi, sicché, ove il contribuente si sia conformato ad un'interpretazione erronea fornita dall'Amministrazione finanziaria, è esclusa soltanto l'irrogazione delle relative sanzioni e degli interessi, senza alcun esonero dall'adempimento dell'obbligazione tributaria, in base al principio di tutela dell'affidamento, espressamente sancito dall'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000» (Cass. n. 12635 del 19/05/2017; Cass. n. 10195 del 18/05/2016; Cass. n. 3757 del 09/03/2012; Cass. n. 2133 del 14/02/2002).

8.1.2. Il principio trova origine nel fondamentale arresto delle Sezioni Unite, per il quale «la circolare non vincola addirittura la stessa autorità che l'ha emanata, la quale resta libera di modificare, correggere e anche completamente disattendere l'interpretazione adottata. Ciò è tanto vero che si è posto il problema della eventuale tutela del contribuente di fronte al mutamento di indirizzo (interpretativo) adottato dall'amministrazione e si è escluso che tale tutela sia possibile anche sotto il profilo dell'affidamento, stante la evidente collisione che si determinerebbe con il principio - coniugato secondo un diverso lessico, ma riferito ad un unico concetto - di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione, di irrinunciabilità del diritto di imposta. Non si può, al riguardo, non concordare con quella dottrina secondo la quale ammettere che l'amministrazione, quando esprime opinioni interpretative (ancorché prive di fondamento nella legge), crea vincoli per sé e i Giudici tributari, equivale a riconoscere all'amministrazione stessa un potere normativo che, a tacer d'altro, è in palese conflitto con il principio costituzionale della riserva relativa di legge codificato dall'art. 23 Cost. Tutt'al più, come è stato pure affermato, potrebbe ammettersi che il mutamento da parte dell'amministrazione di un precedente indirizzo (interpretativo) sul quale il contribuente possa aver fatto affidamento, eventualmente rilevi (o possa esse valutato) ai fini della applicazione delle sanzioni e della richiesta degli interessi sulle somme dovute a titolo di imposta» (Cass. S.U. n. 23031 del 02/11/2007, in motivazione).

8.1.3. È vero che, giusta la valenza generale del principio del legittimo affidamento, è stato anche affermato che i casi di tutela espressamente enunciati dall'art. 10 comma 2, della I. n. 212 del 2000 (attinenti all'area della irrogazione di sanzioni e della richiesta di interessi), vanno considerati quali situazioni meramente esemplificative e legate a ipotesi ritenute maggiormente frequenti, atteso che la regola è idonea a disciplinare una serie indeterminata di casi concreti (Cass. n. 620 del 12/01/2018; Cass. n. 537 del 14/01/2015; Cass. n. 14000 del 22/09/2003; Cass. n. 17576 del 10/12/2002; si veda anche Cass. n. 8197 del 22/04/2015, che esprime analogo principio pur affrontando la questione unicamente dal punto di vista delle sanzioni). 8.1.4. Tuttavia, come chiarito da Cass. n. 25299 del 20/11/2013, dire che l'art. 10 della I. n. 212 del 2000 sia una norma aperta significa unicamente «che la induzione in errore incolpevole del contribuente può essere determinata anche da differenti circostanze di fatto ovvero anche da altre condotte, imputabili ad errore della Amministrazione finanziaria, dalla stessa norma non espressamente considerate». Si tratta, pertanto, di condotte diverse da quelle tipizzate, vale a dire le errate «indicazioni contenute in atti» dell'Amministrazione ovvero i «fatti (...) conseguenti a ritardi, omissioni od errori» della stessa (art. 10, comma 2, I. n. 212 del 2000) o ancora le «obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma impositiva» (art. 10, comma 3, I. n. 212 del 2000), in presenza delle quali la tutela del legittimo affidamento può venire ad incidere sulla stessa debenza del tributo (si tratta appunto della peculiare ipotesi esaminata da Cass. n. 17576 del 2002, citata anche dalla difesa di C.).

8.1.5. Situazioni siffatte, in cui la tutela del legittimo affidamento viene ad incidere sulla stessa debenza del tributo, sono caratterizzate da circostanze concrete di natura eccezionale, dovendo escludersi che rientrino in tali ipotesi quelle in cui l'induzione in errore sia da ascriversi ad informazioni fornite dalla Amministrazione doganale con atti interpretativi di carattere generale o con erronee prassi applicative: dette ipotesi sono già espressamente contemplate dall'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000 e sono, dunque, inidonee ad esonerare il contribuente dalla obbligazione tributaria (cfr. sempre Cass. n. 25299 del 2013, cit.).

8.2. Venendo, in particolare, al caso di specie, la società contribuente afferma che in svariati atti dell'Amministrazione finanziaria è stata, riconosciuta a C. la qualità di autoproduttore di energia elettrica da fonti rinnovabili escluso dall'obbligo di pagamento delle accise, così ingenerando il legittimo affidamento della stessa nella menzionata esenzione.

8.2.1. Si tratta, peraltro, di valutazioni che l'Amministrazione doganale ha assunto in conseguenza della determinazione del deposito cauzionale (Ufficio tecnico di finanza di Torino del 02/06/2000; Ufficio delle dogane di Aosta del 17/04/2009) ovvero in sede di accertamento ispettivo (Ufficio delle dogane di Aosta del 02/11/2004), atti che già rientrano a pieno regime nella formulazione dell'art. 10, comma 2, I. n. 212 del 2000.

8.2.2. Né può darsi specifica rilevanza ad altri provvedimenti che nulla dicono in relazione alla questione di cui si discute (Direzione Regionale per il Veneto del 31/08/2004) ovvero si limitano a riconoscere a C. la qualifica di autoproduttore esentato dal pagamento dell'imposta erariale sul consumo (Ufficio delle dogane di Como del 08/11/2004; Direzione Centrale, Area Gestione Tributi del 04/10/2005; Direzione regionale per il Piemonte e la Valle d'Aosta del 21/06/2005), senza specificare se, ai fini dell'esenzione, l'energia autoprodotta deve essere autoconsumata ovvero può anche essere ceduta ai soci consorziati (questione dirimente, come più sopra evidenziato).

8.3. Le conclusioni della CTR sono, dunque, conformi a diritto, spettando alla società contribuente, in ragione del legittimo affidamento specificamente tutelato dall'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000, unicamente l'esenzione dalle sanzioni e dagli interessi, puntualmente riconosciuta.

8.4. La norma così interpretata non è incostituzionale, perché al principio, di rilievo costituzionale, del legittimo affidamento fa, comunque, da contraltare il principio, di rilevanza costituzionale, della riserva di legge, nonché gli ulteriori principi di inderogabilità delle norme tributarie, di indisponibilità dell'obbligazione tributaria, di vincolatezza della funzione di imposizione e di irrinunciabilità del diritto di imposta, già menzionati dalle Sezioni Unite di questa Corte.

8.5. Né sembra possibile dar luogo al chiesto rinvio pregiudiziale, tenuto conto che, come evidenziato dalla stessa parte ricorrente, la Corte di giustizia ha già ampiamente chiarito che, se è vero che il diritto ad avvalersi del principio della tutela del legittimo affidamento «si estende a ogni individuo in capo al quale un'autorità amministrativa abbia fatto sorgere fondate speranze a causa di assicurazioni precise che essa gli avrebbe fornito» (ex multis, CGUE 14 giugno 2017, in causa C-26/16, punto 76; CGUE 9 luglio 2015, in causa C-183/14, punto 44; CGUE 5 marzo 2015, in causa C-585/13, punto 95), tuttavia «il legittimo affidamento non può basarsi su una prassi illegittima dell'amministrazione» (CGUE 11 aprile 2018, in causa C-532/16, punto 50; CGUE 6 febbraio 1986, in causa C-162/84, punto 6).

8.5.1. Rientra, pertanto, nella specifica competenza del giudice nazionale stabilire se, avuto conto della specificità del caso concreto, sussistano i presupposti per il riconoscimento della inapplicabilità del tributo ovvero, più semplicemente, delle sanzioni e degli interessi. E, in proposito, la valutazione della CTR, che ha fatto rientrare la tutela di C. nell'ambito di applicazione dell'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000, è pienamente coerente con il formante giurisprudenziale interno, a sua volta rispettoso dei principi evincibili dalla giurisprudenza della Corte di giustizia della UE. 8.6. Quanto, poi, alla applicazione dell'art. 11 della I. n. 212 del 2000, deve osservarsi, in termini generali, che l'art. 10, comma 2, della I. n. 212 del 2000, nel tutelare l'affidamento del contribuente che si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'Amministrazione finanziaria, «limita gli effetti di tale tutela alla sola esclusione delle sanzioni e degli interessi, senza incidere in alcun modo sull'obbligazione tributaria»; e ciò «diversamente dall'art. 11 della medesima legge, il quale, nel disciplinare il caso in cui il contribuente si sia adeguato ad un esplicito responso dell'Amministrazione finanziaria, motivatamente espresso in esito alla particolare procedura dell'interpello, prevede la nullità degli atti impositivi che siano in contrasto con l'esito dell'interpello» (Cass. n. 19479 del 10/09/2009).

8.7. Ciò premesso sulla distinzione tra le due disposizioni, va evidenziato che nessuno dei provvedimenti assunti dalla Amministrazione doganale, che hanno riconosciuto alla società incorporata in C. la qualifica di soggetto esente da accisa, sono stati resi all'esito di una regolare procedura di interpello per come disciplinata dall'art. 11 della I. n. 212 del 2000, così come ben evidenziato dalla CTR.

8.7.1. Invero, l'interpello del 21/06/2005 è stato ritenuto inammissibile dall'Amministrazione doganale, sicché ogni valutazione compiuta nella risposta comunque fornita (peraltro, riguardante l'addizionale provinciale sul consumo di energia elettrica e non specificamente le accise) non può in alcun modo vincolare i successivi atti posti in essere dall'Amministrazione medesima. Gli altri atti, invece, non sono stati emessi a seguito di regolare procedura di interpello, procedura che sola può determinare l'effetto vincolante previsto dalla citata disposizione di legge.

8.7.2. Del resto, l'efficacia della risoluzione o della circolare che segue l'interpello «vincola l'Amministrazione, ai sensi dell'art. 11, comma 3, della I. n. 212 del 2000, con esclusivo riferimento alla questione oggetto dell'istanza o, al più, con riguardo ai comportamenti successivi del contribuente riconducibili alla fattispecie oggetto di interpello» (Cass. n. 735 del 13/01/2017).

8.7.3. Nel caso di specie, si tratta di accise (e non di addizionali provinciali) relative agli anni 2008-2013, successivi, pertanto, all'entrata in vigore del d.lgs. n. 26 del 2007, che ha comportato una integrale rivisitazione della materia; con riferimento a tali anni nessuna istanza di interpello risulta presentata all'Amministrazione doganale; né il provvedimento del 17/04/2009, che ha esentato I s.cons.r.l. dall'obbligo di cauzione, è qualificabile come risposta ad un interpello. 8.8. E vale da ultimo evidenziare che non è irragionevole, sotto il profilo costituzionale ed unionale, la diversità di disciplina degli effetti prevista dall'art. 10 della I. n. 212 del 2000 e dall'art. 11 della legge medesima. Infatti, l'ipotesi prevista da quest'ultima disposizione, che comporta la gravi conseguenza della nullità dell'atto impositivo, riguarda una situazione in cui l'Amministrazione finanziaria ha dato una risposta specifica ad un formale quesito del contribuente, ingenerando nello stesso il ragionevole convincimento della correttezza della soluzione fornita, laddove negli altri casi si tratta di indicazioni di carattere generale o particolare formulate in via di prassi generale o applicativa, senza che la specifica problematica sia stata formalmente posta dal contribuente alla puntuale valutazione dell'Ufficio.

9. Con il quarto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000, nonché dell'art. 41 della Carta dei diritti fondamentali della UE, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che, con riferimento all'IVA, era stato violato il principio del necessario contraddittorio endoprocedimentale.

10. Il motivo è infondato. 10.1. Tra le numerose sentenze della S.C. in materia di contraddittorio endoprocedimentale, appare opportuno soffermarsi su due sentenze rese dalle Sezioni Unite.

10.1.1. Secondo Cass. S.U. n. 18184 del 29/07/2013 «l'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212 deve essere interpretato nel senso che l'inosservanza del termine dilatorio di sessanta giorni per l'emanazione dell'avviso di accertamento - termine decorrente dal rilascio al contribuente, nei cui confronti sia stato effettuato un accesso, un'ispezione o una verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, della copia del processo verbale di chiusura delle operazioni - determina di per sé, salvo che ricorrano specifiche ragioni di urgenza, l'illegittimità dell'atto impositivo emesso "ante tempus", poiché detto termine è posto a garanzia del pieno dispiegarsi del contraddittorio procedimentale, il quale costituisce primaria espressione dei principi, di derivazione costituzionale, di collaborazione e buona fede tra amministrazione e contribuente ed è diretto al migliore e più efficace

esercizio della potestà impositiva. Il vizio invalidante non consiste nella mera omessa enunciazione nell'atto dei motivi di urgenza che ne hanno determinato l'emissione anticipata, bensì nell'effettiva assenza di detto requisito (esonerativo dall'osservanza del termine), la cui ricorrenza, nella concreta fattispecie e all'epoca di tale emissione, deve essere provata dall'ufficio».

10.1.2. Secondo, invece, Cass. S.U. n. 24823 del 09/12/2015, in materia di controlli cd. a tavolino «non sussiste per l'Amministrazione finanziaria alcun obbligo di contraddittorio endoprocedimentale per gli accertamenti ai fini Irpeg ed Irap, assoggettati esclusivamente alla normativa nazionale». Tuttavia, per i tributi armonizzati e nel rispetto del diritto unionale, è necessaria una "prova di resistenza" ai fini della valutazione del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale. Ed, invero, con esclusivo riferimento a detti tributi «l'Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l'invalidità dell'atto purché il contribuente abbia assolto all'onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un'opposizione meramente pretestuosa».

10.1.3. Integrando ed esplicitando i principi stabiliti dalle Sezioni Unite, Cass. n. 701 del 15/01/2019 ha statuito che: 1) l'art. 12, comma 7, della legge n. 212 del 2000 prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la "prova di resistenza" e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall'ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i tributi armonizzati la necessità della "prova di resistenza", ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità.

10.2. Applicando i sopra elencati principi al caso di specie, deve evidenziarsi che il richiamo all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 è erroneo, in quanto gli avvisi di accertamento a fini IVA emessi dall'Agenzia delle entrate riguardano indagini cd. a tavolino, conseguenti alla comunicazione del processo verbale di constatazione redatto ai fini delle accise. Non essendovi stata alcuna verifica ispettiva in loco da parte dell'Ufficio, deve, pertanto escludersi l'applicabilità della disciplina sopra richiamata. 10.3. Vertendosi, peraltro, in materia di tributi armonizzati, deve verificarsi se l'Ufficio abbia comunque instaurato il contraddittorio endoprocedimentale con Is.cons.r.l. e Is.cons.r.l. e, in ogni caso, se la ricorrente ha fornito idonea prova di resistenza. 10.3.1. In proposito, indipendentemente da qualsiasi questione in ordine alla effettiva instaurazione di un valido contraddittorio endoprocedimentale (ritenuta dalla CTR e contestata da C., che sostiene che il contraddittorio sia stato instaurato ai soli fini delle accise e non dell'IVA e, comunque, nei soli confronti di Idroenergia) deve ritenersi che la ricorrente non abbia offerto idonea prova di resistenza. 10.3.2. Invero, l'unico argomento speso dalla società contribuente è consistito nell'evidenziare che, in sede di contraddittorio, avrebbe potuto dedurre l'erroneità del calcolo dell'IVA effettuato dall'Ufficio, circostanza, peraltro, già presa in considerazione dalla CTR, che ha accolto in proposito le contestazioni di C.

10.3.3. Ne consegue che, avendo le contestazioni della ricorrente avuto pieno riconoscimento in sede giudiziale, quest'ultima non ha alcuno specifico interesse a far valere la violazione del principio del contraddittorio, che non avrebbe condotto ad un risultato utile diverso.

11. Con il quinto motivo di ricorso si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 e 13 del d.P.R. n. 633 del 1972, dell'art. 11 della direttiva n. 77/388/CEE del 17 maggio 1977, degli artt. 73 e 78 della direttiva n. 2006/112/CE del 28 novembre 2006 e degli artt. 16, comma 3, e 56, comma 1, TUA, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziandosi che la CTR avrebbe errato nel considerare le accise dovute come rientranti nella base d'imposta per la determinazione dell'IVA, atteso che nessuna rivalsa è stata esercitata da C.

12. Il motivo è fondato. 12.1. Secondo un recente principio enunciato da questa Corte, al quale si intende dare in questa sede continuità, «ai sensi degli artt. 1 e 13, comma 1, del d.P.R. n. 633 del 1972 ed in conformità all'art. 78, par. 1, lett. a), della direttiva 2006/112/CE, nella base imponibile dell'IVA rientrano tutti i costi sostenuti dal fornitore prima della cessione del bene (o della prestazione dei servizi), purché connessi con essa, inclusi le imposte che, come le accise (il cui prelievo costituisce un elemento del costo del prodotto venduto), lo Stato esige unicamente dal fornitore, in qualità di sostituto d'imposta, dato che quest'ultimo è autonomamente responsabile del pagamento delle stesse».

12.2. Come si evince, infatti, dall'art. 13, primo comma, del d.P.R. n. 633 del 1972, «la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall'ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all'esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti».

12.2.1. Si tratta di una indicazione estremamente ampia, tale, dunque, da includere anche gli oneri fiscali, quali le accise, neppure potendosi ricavare una indicazione in senso contrario dall'art. 15 del d.P.R. n. 633 del 1972 (rubricato «Esclusioni dal computo della base imponibile»), che non menzionano né le accise, né altre imposte.

12.2.2. La disciplina interna, dunque, porta a concludere che, in linea di principio, nel corrispettivo finale su cui applicare l'IVA debbano essere inclusi anche tutti i tributi di ogni genere (esclusa solo l'IVA per evidenti ragioni) e, in particolare, quelli che gravano la produzione e la vendita dei beni, il cui importo - come per le accise - sia posto a carico del destinatario.

12.3. Ancor più univoca è la disciplina unionale. La disciplina fondamentale dell'IVA, infatti, si rinviene nella legislazione europea: l'art. 78, § 1, lett. a), della direttiva n. 2006/112/CE dispone, in termini risolutivi, «Nella base imponibile devono essere compresi gli elementi seguenti: a) le imposte, i dazi, le tasse e i prelievi, ad eccezione della stessa IVA; (...)».

12.3.1. La Corte di giustizia della UE, in numerose decisioni, ha precisato che l'inclusione nella base imponibile delle imposte ulteriori - in sé non costituenti un corrispettivo economico della cessione - si giustifica in quanto sussista un legame diretto tra esse e la cessione (cfr. CGUE 23 settembre 1988, in causa C-230/87; CGUE 10 giugno 2006, in causa C-98/05; CGUE 22 dicembre 2010, in causa C-433/09, punto 34; CGUE 28 luglio 2011, in causa C-106/10, punto 33), successivamente precisando che tale legame diretto è ravvisabile allorquando le tasse, i tributi e i prelievi divengono esigibili dal momento che sono forniti e solo quando sono forniti i servizi (CGUE sentenza 5 dicembre 2013, in cause C-618/11, C-637/11 e C-659/11 punto 41).

12.3.2. Peraltro, il corrispettivo ottenuto o da ottenere per la prestazione di un servizio va inteso come il corrispettivo effettivamente ricevuto a tal fine: «la base imponibile è determinata da quello che il soggetto passivo percepisce realmente come corrispettivo» (CGUE 24 ottobre 2013, in causa C-440/12, punto 38).

12.4. Ciò affermato in termini generali, occorre tenere conto delle peculiarità della fattispecie. Invero, C. ha prodotto l'energia elettrica che ha ceduto alle imprese consorziate senza versare le accise all'Amministrazione doganale, reputando di agire in regime di esenzione di imposta ai sensi dell'art. 52, comma 3, lett. b), TUA. Non è, poi, contestato che il prezzo dell'energia non comprende l'imposta, per la quale non è stata, dunque, esercitata la rivalsa, come pure consentito dal combinato disposto di cui agli artt. 16, comma 3, e 56 TUA.

12.4. Se, pertanto, in caso di obbligo di rivalsa, ben può sostenersi che il prezzo del servizio ceduto ricomprende sempre anche la tassa (cfr. Cass. n. 5362 del 07/03/2014), non altrettanto può dirsi per il prezzo dell'energia elettrica fornita dal produttore ai consumatori, tenuto conto che per le accise la rivalsa costituisce solo un diritto del fornitore e non un obbligo.

12.4.1. Ne deriva che solo nel caso in cui la rivalsa sia stata concretamente esercitata dal soggetto obbligato al pagamento delle accise nei confronti dell'Amministrazione doganale, dette imposte vengono a costituire parte del costo dell'energia elettrica fornita e, pertanto, rientrano nella base imponibile IVA.

12.4.2. Se, invece, come nel caso di specie, le imprese cessionarie hanno corrisposto, per l'energia elettrica oggetto di fornitura, un prezzo non comprensivo delle accise, per mancato esercizio del diritto di rivalsa da parte del fornitore, non può ragionevolmente sostenersi che l'IVA debba riguardare anche le accise non traslate sul prezzo dell'energia e, dunque, non pagate dai consumatori finali.

E ciò anche in ragione del fatto che, come stabilito dalla Corte di giustizia, la base imponibile è determinata da quello che il soggetto passivo percepisce realmente come corrispettivo (CGUE 24 ottobre 2013, cit.), non potendo gravare sul fornitore un'imposta che è a carico del consumatore finale e che non è stata da questi versata.

12.4.3. Del resto, laddove C. intenda rivalersi sulle imprese cessionarie delle accise ritenute dovute e non corrisposte all'Amministrazione doganale, il prezzo dell'energia dovrà allora (e solo allora) scontare l'IVA non corrisposta sulle accise.

12.5. Va, dunque, enunciato il seguente principio di diritto: «le accise sull'energia elettrica dovute dal soggetto obbligato all'Amministrazione rientrano nella base imponibile dell'IVA a condizione che le stesse siano state effettivamente traslate sul consumatore finale ai sensi dell'art. 16, comma 3, TUA, poiché solo in questo caso entrano a fare parte del prezzo pagato da quest'ultimo e vengono, dunque, a costituire un elemento del costo del prodotto venduto».

13. in conclusione va accolto il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri.

La sentenza impugnata va, dunque, cassata con riferimento al motivo accolto e, non essendovi ulteriori questioni di fatto da esaminare, la causa va decisa nel merito, con l'accoglimento degli originari ricorsi delle società incorporate in C. avverso gli avvisi di accertamento IVA emessi dall'Agenzia delle entrate.

13.1. Il complessivo esito della lite e la novità delle questioni affrontate nella presente controversia giustifica l'integrale compensazione tra le parti delle spese dell'intero giudizio.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo di ricorso, rigettati gli altri;  cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie gli originari ricorsi proposti dalle società incorporate nella C. s.r.l. avverso gli avvisi di accertamento per IVA emessi dall'Agenzia delle entrate; dichiara interamente compensate tra tutte le parti le spese dell'intero giudizio.

Così deciso in Roma il 18 aprile 2019.

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