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L’acquisto di scarpe ed accessori segue la moda e la stagionalità e, proprio per questo, potrebbe ripararsi, in alcuni casi, dagli effetti della crisi. Chi decide di investire nel settore del commercio al dettaglio di calzature può infatti riuscire a creare, con intraprendenza, un business di successo.
Tuttavia, il mercato delle calzature dipende molto dalla tipologia di articoli trattati, ad esempio scarpe sportive, casual o eleganti, dalla qualità delle merci e dalla domanda del cliente finale, oltre che dagli assetti dimensionali ed organizzativi attuati dall’imprenditore.
Sostanzialmente è possibile fare una grande distinzione tra negozi destinati alla vendita di scarpe uomo/donna/bambino, di fascia economica o medio-alta, che sono per lo più imprese di tipo tradizionale, gestiti direttamente dal titolare con l’ausilio di pochi dipendenti.
Dall’altro lato esistono, invece, i grandi punti vendita, collocati in prossimità dei centri commerciali dove al cliente viene lasciata la possibilità di girare tra i diversi scaffali, scegliendo autonomamente modello e numero di scarpe preferite e chiedendo il supporto di un commesso solo se indispensabile. Si tratta delle grandi catene che, generalmente, propongono numerosi modelli di scarpe messi in esposizione sugli scaffali, a basso costo. La finalità di queste catene, che si riforniscono dai mercati esteri specie dalla Cina, è quella di abbattere i costi e conseguire un grande giro d’affari.
Sia che si tratti di grandi magazzini che di medio/piccole attività commerciali, anche i negozi di scarpe sono oggetto di accertamenti e verifiche fiscali.
Una delle cose quella di valutare con attenzione i diversi tipi di beni commercializzati, oltre alle calzature. Non è infrequente, infatti, trovare nei negozi di calzature anche diversi tipi di accessori quali lucidi e stringhe per scarpe, articoli di pelletteria quali borse, portafogli e cinture, ecc.
Anche per questo tipo di attività di impresa si profilano accuse di evasione fiscale tese a ridurre l’imposizione fiscale. L’assunto da cui parte l’Agenzia delle Entrate è quello della mancata dichiarazione al fisco di tutti i ricavi conseguiti attuata tramite la mancata emissione degli scontrini fiscali o l’emissione di questo per importi inferiori a quelli reali. Inoltre, i commercianti al dettaglio di calzature sarebbero favoriti nella cessione di scarpe in nero grazie alla presunta complicità dei fornitori o delle imprese artigiane a cui demandano la realizzazione delle calzature. Infine, i piccoli/medi commercianti di scarpe sarebbero facilitati in queste attività anche grazie rapporto diretto che viene a crearsi con il consumatore finale, specie qualora sia un cliente abituale.
Tuttavia, al fine di valutare in maniera puntuale l’attendibilità delle risultanze contabili e la congruità del volume d’affari dichiarato gli accertatori devono analizzare tutti gli elementi che influenzano le capacità reddituali del negozio. In particolare, andrebbero prese in considerazione le dimensioni dell’azienda, il possesso di mezzi propri, l’anno di avvio dell’impresa ma anche la collocazione territoriale e la presenza di concorrenti nelle immediate vicinanze; elementi tutti che portano a numeri diversi a livello di ricavi tra un’attività ed un’altra, magari collocata nella stessa via. È sotto questo terreno che si verificano i principali errori degli accertamenti fiscali.
Altra questione delicata che riguarda il settore del commercio al dettaglio delle calzature sono le vendite straordinarie, i saldi di fine stagione o le liquidazioni in occasioni delle quali si applica un prezzo ribassato rispetto a quello originario e che deve essere necessariamente indicato. L’Agenzia delle Entrate non di rado ha ritenuto che in queste occasioni “speciali” si verifichino fenomeni di evasione attraverso cui il negozio ometta di contabilizzare i ricavi in una fase precedente per incrementarli duranti le promozioni. Anche queste presunzioni necessitano di una dimostrazione puntuale da parte degli accertatori, che non sempre accade.
Le verifiche effettuate dalla Guardia di Finanza sulla corretta tenuta delle scritture contabili, ed in particolare di quelle di magazzino sono tuttavia incentrate sulla rideterminazione del ricarico sulle merci vendute. Si tratta dell’aumento che il commerciante applica al prezzo di acquisto delle scarpe per stabilire il prezzo di vendita.
Ed infatti, per ricostruire il giro d’affari del commerciante al dettaglio di calzature, è fondamentale verificare il ricarico medio praticato dall’impresa ed il controllo del magazzino.
Si tratta di un’attività tutt’altro che semplice e che nasconde diverse difficoltà in sede di accertamento. La prima grande insidia riguarda la diversità dei prodotti commercializzati dalle imprese del settore calzaturiero. La prassi è infatti quella di mettere in vendita affianco alle calzature anche una serie di articoli accessori a ciascuno dei quali corrisponde una diversa percentuale di ricarico anche in relazione alla qualità, al materiale, alla sua domanda, ecc.
Si tratta, inoltre, di una percentuale fluttuante anche in base alle stagioni ed alle vendite promozionali. Per tali motivi i controlli fiscali tesi a ricostruire il volume d’affari realizzato dal commerciante devono garantire il contraddittorio con la parte specie nella fase amministrativa, evitando di procedere al buio.
Ciò in ragione del fatto che i diversi accessori sono assoggettati ad una percentuale di ricarico diversa da quella applicata alle calzature. È indispensabile, in tali circostanze, effettuare una valutazione rigorosa, facendosi dirigere dal commerciante, che tenga conto della diversità qualitativa e quantitativa dei diversi beni venduti. Valori diversi di ricarico, inoltre, si riscontrano negli esercizi di piccole dimensioni rispetto ai grandi magazzini o alle catene.
Si tratta di una serie di evenienze che non devono essere trascurate o messe in secondo piano nel corso di un accertamento fiscale in quanto possono portare a una ricostruzione induttiva del giro d’affari notevolmente diversa dalla realtà. La tendenza, da parte degli accertatori, è quella di far lievitare gli introiti per chiamare a tassazione maggiori importi dovuti.
Per tutti questi motivi il contribuente, titolare di un’attività di commercio al dettaglio di calzature, si vede costretto ad avviare un contenzioso tributario per far valere le sue ragioni.
Questo è quello che si è verificato, ad esempio, nei seguenti casi.
Corte di Cassazione, V Sez. Civile, sentenza n. 12631 del 19/05/2017
Questa vicenda ha riguardato il ricorso presentato da un esercente attività di commercio al dettaglio di calzature e accessori contro un avviso di accertamento, preceduto da un contraddittorio con il contribuente, relativo ad Iva, Irap e Irpef ed emesso sulla base degli studi di settore.
Per l’Agenzia delle Entrate in questo caso, partendo da un confronto tra i ricavi e il costo della merce venduta, sarebbe stata applicata una percentuale di ricarico molto più bassa, pari solamente al 15%, rispetto a quella normalmente applicata nel settore merceologico. Inoltre, il contribuente durante l’accertamento non avrebbe indicato in maniera precisa i motivi che giustificavano la presunzione.
Il ricorrente, invece, lamentava una motivazione insufficiente da parte degli accertatori relativa alla percentuale di ricarico reputata inadeguata e formulata. A suo avviso, inoltre, l’Agenzia delle Entrate non avrebbe considerato le concrete condizioni di esercizio dell'attività nel periodo di riferimento.
La Cassazione ha accolto il ricorso del contribuente ritenendo che l’Amministrazione Finanziaria avesse fondato il suo accertamento presuntivo basandosi esclusivamente sugli studi di settore e sulle percentuali di ricarico, senza valutare le giustificazioni prodotte dal commerciante che dimostravano le effettive condizioni economiche dell’azienda.
Per i giudici, infatti, il contraddittorio con il contribuente e la puntuale valutazione delle risultanze, rappresentano degli elementi essenziali e imprescindibili da porre alla base di qualsiasi accertamento fiscale basato sugli studi di settore. Si tratta, infatti, di strumenti statistici che si basano su approssimazioni che devono essere affiancate e supportate dalle effettive condizioni reddituali del contribuente. Solo così è possibile valutare tutti gli elementi che caratterizzano la realtà economica dell'impresa oggetto di verifica.
Comm. Trib. Reg. del Piemonte, sentenza n. 28/2010
Questo caso concerne la contestazione di un avviso di accertamento emesso nei confronti di una signora esercente l'attività di commercio al dettaglio di calzature e pellami con cui venivano recuperati a tassazione maggiori ricavi non dichiarati e costi non deducibili.
L’agenzia delle Entrate, a seguito delle verifiche effettuate, aveva rilevato delle incongruenze nella dichiarazione della contribuente rispetto agli studi di settore e rispetto al controllo delle rimanenze di magazzino. Le indagini erano partite da una serie di ricevute di bancomat e carte di credito non contabilizzate. In sostanza, a parere dell’Ufficio vi erano gravi indizi di evasione.
Tuttavia, la contribuente ha contestato l’operato dell’Agenzia delle Entrate precisando come non avesse neppure avuto la possibilità di contestare o inficiare gli esiti dell'accertamento fiscale condotto nei suoi confronti.
La Commissione regionale ha accolto il ricorso della contribuente ritenendo l'accertamento induttivo non ammesso né opportuno in presenza della regolarità delle scritture contabili.
I giudici, inoltre, hanno precisato che l’accertamento induttivo sarebbe consentito, anche in presenza di scritture contabili formalmente corrette, solo se queste ultime siano inattendibili ovvero presentino importanti incongruenze con i dati relativi ai ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati oltre a tutte le altre circostanze relative all’esercizio dell’attività svolta.
Comm. Trib. Reg. della Lombardia, sentenza n. 23/63/2011
Infine, questa terza ed ultima vicenda ha riguardato sempre il ricorso, proposto avverso un avviso di accertamento IRPEF IRAP ed IVA indirizzato ad un’attività di vendita al dettaglio di calzature.
Per l’Agenzia delle Entrate l’attività avrebbe conseguito maggiori ricavi non dichiarati accertati grazie alla maggiore consistenza delle rimanenze finali, nonché in base all’applicazione degli studi di settore.
Per gli accertatori, in particolare, il contribuente non avrebbe dimostrato in sede di contraddittorio preventivo con l'Ufficio, tutta la documentazione necessaria a giustificare la bassa percentuale di ricarico applicate sulle merci vendute. Inoltre, erano state rilevate importanti incongruenze nei dati della dichiarazione dei redditi presentata dal contribuente.
La CTR lombarda non si è trovata d’accordo con le conclusioni dell’Ufficio ritenendo, al contrario, che il contribuente avesse fornito, in sede di contraddittorio, tutte le prove e le circostanze che giustificavano un minor reddito di impresa.
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