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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 25092 dell'8 ottobre del 2019
rilevato che:
dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l'Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti di G. s.p.a. un avviso di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale di una partita di ombrelloni da giardino dalla stessa acquistati;
avverso il suddetto atto la contribuente aveva proposto ricorso che era stato rigettato dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli;
avverso la suddetta pronuncia G s.p.a. aveva proposto appello, nel contraddittorio con l'Agenzia delle dogane;
la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l'appello; in particolare, ha ritenuto che: in linea generale, ai sensi dell'art. 29 del Regolamento Ce 12 ottobre 1992, n. 2913, la determinazione del dazio doganale deve essere compiuta sulla base del valore di transazione, cioè il prezzo pagato o da pagare; tuttavia, ove il suddetto prezzo sia inattendibile o indeterminato, l'autorità doganale è tenuta a sollecitare il contraddittorio e chiedere informazioni al contribuente prima di decidere di non determinare il valore di transazione sulla base del prezzo pagato, potendo procedere secondo i criteri particolari fondati sul valore della transazione per merci identiche o similari;
nella fattispecie, l'Agenzia delle dogane aveva attivato il contraddittorio e rideterminato il valore di transazione sulla base del sistema M.e.r.c.e.;
la documentazione prodotta dalla società era già risultata insufficiente al giudice di primo grado e gli elementi addotti per contestare la suddetta valutazione non risultavano idonei; parte ricorrente non aveva giustificato il minor prezzo riportato in fattura rispetto a quello calcolato secondo il sistema standardizzato avente ad oggetto beni similari; infine, non risultava esaustiva la documentazione prodotta dalla ricorrente attestante i costi accessori alla vendita;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso la contribuente affidato a cinque motivi di censura, illustrato con successiva memoria, cui ha resistito l'Agenzia delle dogane con controricorso;
considerato che: con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 115, cod. proc. cív., per non avere esaminato la censura proposta dalla ricorrente avverso la sentenza del giudizio di primo grado che aveva ritenuto, erroneamente, che non era stata prodotta la polizza assicurativa, nonché la censura alla sentenza di primo grado, relativa alla questione del costo del noleggio, che, se da un lato aveva accertato che la merce era stata venduta con la clausola FOB, aveva comunque riscontrato la mancata documentazione circa i costi del noleggio, nonostante il fatto che la società, in sede di verifica, aveva documentato i costi e li aveva dichiarati all'atto dell'importazione; in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame non ha esaminato la censura alla sentenza di primo grado che: a) aveva ritenuto che il valore della merce non poteva essere determinato a ragione della mancata produzione della polizza assicurativa, nonostante che né in sede di atto impositivo né nel giudizio di primo grado l'ufficio aveva dedotto la mancanza di produzione della suddetta polizza e nonostante il fatto che la ricorrente aveva chiarito che si trattava di una assicurazione cumulativa; b) aveva corretto l'atto impositivo nella parte in cui aveva accertato che i costi per il nolo erano da conteggiarsi secondo il sistema CIF (essendo risultato, invece, la pattuizione della clausola FOB), ma aveva imputato a responsabilità della ricorrente una ulteriore mancanza documentale circa i costi del nolo;
il motivo è inammissibile;
dal contenuto del motivo di ricorso in esame si evince che parte ricorrente lamenta il mancato esame di profili di contestazione della sentenza di primo grado impugnata dinanzi al giudice del gravame; lo stesso, quindi, prospetta un vizio di omessa pronuncia, che, in quanto error in procedendo, è deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., e non come violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., né, a maggior ragione, come vizio motivazionale, a norma dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., attenendo quest'ultimo esclusivamente all'accertamento e alla valutazione di un punto decisivo del giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti;
in ogni caso, il motivo in esame non tiene conto del fatto che il giudice del gravame si è espresso sia con riferimento alla questione della polizza assicurativa, precisando che, atteso il suo contenuto cumulativo, non consentiva di conoscere il prezzo assicurato per la merce, che alla questione dei costi accessori alla vendita, precisando che in atti risultava solo l'attestazione di nolo, ma non anche il pagamento e che il contratto di nolo relativo al trasporto della merce sino al porto di destinazione e del tutto indipendente dall'utilizzo della clausola FOB (Free On Board), assumeva valore dirimente in ordine al reale valore della transazione; il suddetto percorso motivazionale non è stato oggetto di censura da parte della ricorrente, limitandosi la stessa a censurare, richiamando quanto precisato in sede di appello, con riferimento alla polizza assicurativa, che la stipula del contratto assicurativo secondo il costo forfettario costituiva una prassi, profilo che non inficia la valutazione compiuta dal giudice del gravame, essendosi questa fondata sulla ratio decidendi della impossibilità di conoscere il prezzo assicurato per le merci, e a ribadire l'avvenuta produzione della documentazione dei costi, senza offrire, in difetto del principio di specificità, alcuna allegazione in ordine a quanto lamentato;
con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 31, cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 29 e ssgg. del Regolamento Ce 12 ottobre 1992, n. 2913 e dell'art. 181-bis del Regolamento Ce 2 luglio 1993, n. 2454, per non avere motivato sulla contestazione della ricorrente, nella motivazione dell'atto impositivo, circa l'insussistenza di fondati dubbi, avendo la stessa adempiuto alla richiesta documentale dell'amministrazione doganale;
il motivo è inammissibile; lo stesso, anche in questo caso, sembra censurare la mancata considerazione delle ragioni di contestazione proposte dalla ricorrente avverso la sentenza di primo grado, prospettando, quindi, un'omessa pronuncia, deducibile con ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., e non come violazione o falsa applicazione delle norme di diritto, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ.; in ogni caso, il motivo di ricorso, nel prospettare la ritenuta violazione di legge, in particolare dell'art. 181 bis, cit., non specifica quale parte del percorso motivazionale ha statuito in contrasto con la previsione di legge sopra indicata; va peraltro precisato che, secondo la Corte di giustizia, una rilevante differenza di prezzo tra quello dichiarato e quello medio statistico "è sufficiente a giustificare i dubbi nutriti dall'autorità doganale e il rigetto da parte della stessa del valore in dogana delle merci in questione" (Corte giust. 16 giugno 2016, causa C291/15, EURO 2004 Hungary Kft c. Nemzetí Ado- es Vamívatal Nyugatdunantuli Regíonalis Vam- es Penzeigyori Foigazgatosaga, punto 39);
con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 30 del Regolamento Ce 12 ottobre 1992, n. 2913 e per omesso esame di fatti decisivi, per avere ritenuto legittimo, ai fini della determinazione del valore di transazione, il valore di merci similari ricavato dal sistema M.e.r.c.e. e senza seguire la rigida sequenza dei criteri indicati dall'art. 30 CDC;
il motivo è fondato; la questione è stata proposta quale vizio di violazione di legge, prospettando la non corretta applicazione dell'ordine di determinazione del prezzo di cui all'art. 30 CDC; va precisato che il codice doganale comunitario ha stabilito, con gli artt. 29, 30 e 31, una rigida sequenza di regole di determinazione del valore doganale e che il valore di transazione deve comunque riflettere il valore economico reale della merce importata e tener conto di tutti gli elementi di rilievo economico di essa; ne consegue che, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa della controricorrente, nel seguire la rigida scansione delle regole fissate dal codice doganale comunitario, quando il valore in dogana non possa essere determinato mediante ricorso al valore di transazione delle merci importate, la valutazione doganale si dovrà attenere alle disposizioni dell'art. 30 cit. codice, applicando, in sequenza, i metodi previsti alle lettere da a) a d) del paragrafo 2 di quest'ultimo articolo (Corte Giust. 12 dicembre 2013 C-116/12, punto 41) e soltanto quando non sia possibile determinare il valore in dogana delle merci importate neppure sulla base dell'art. 30 codice doganale, si opererà la valutazione in dogana conformemente alle disposizioni dell'art. 31 cit. codice (sentenza in causa C-116/12, punto 42); in definitiva, i criteri di determinazione del valore in dogana devono essere applicati in base agli artt. 29, 30 e 31 codice doganale comunitario ma rispettando il nesso di sussidiarietà tra essi esistente: soltanto quando il valore in dogana non possa essere determinato applicando la disposizione precedente, si deve far riferimento a quella immediatamente successiva secondo l'ordine stabilito dal codice (sentenza in causa C-116/12, punto 43);
la pronuncia censurata ha precisato che l'Ufficio all'esito del contraddittorio, ha rideterminato il valore della merce sulla base della banca dati M.e.r.c.e., e tale sistema, come precisato dalla giurisprudenza di questa Suprema (Corte Cass. civ. Sez. V, 27 settembre 2018, n. 23246), evoca i valori relativi a merci similari, non quindi a merci identiche, sicché, la determinazione del valore doganale non è stato compiuto secondo la rigida sequenza delineata dall'art. 30, cit.; le considerazioni espresse relativamente al terzo motivo di censura hanno valore assorbente del quarto motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 7 della legge 27 luglio 2000, n. 212, ed omesso esame di fatti decisivi, e del quinto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, nn. 3) e 5), per violazione degli artt. 3 e 53 Cost. relativi alla mancanza di valore indiziario del sistema M.e.r.c.e. ed al non legittimo utilizzo del suddetto sistema al fine della determinazione della base imponibile; in conclusione, vanno rigettati il primo e secondo motivo, accolto il terzo, assorbiti il quarto e quinto, con conseguente cassazione della sentenza per il motivo accolto e rinvio alla Commissione tributaria regionale, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo e secondo motivo, accoglie il terzo, assorbiti il quarto e quinto, cassa la sentenza impugnata per il motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per la liquidazione delle spese di lite del presente giudizio.
Così deciso in Roma, addì 9 aprile 2019.
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