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Agenzia delle Entrate tenta di disconoscere la detraibilità dell’IVA rivendicando un vizio formale, ma i giudici le danno torto. Il diritto alla detrazione esisteva. Agenzia delle Entrate pagherà al contribuente le spese processuali. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “secondo la quale la neutralità dell'imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l'eccedenza d'imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d'impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d'imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 27645 del 29 ottobre 2019

Rilevato che

La predetta sentenza riformava la sentenza della commissione tributaria provinciale di Milano che aveva rigettato il ricorso proposto da B. s.a.s. avverso avviso di accertamento dell'Agenzia delle Entrate di recupero IVA indebitamente detratta anno 2003 per euro 233.389,00 per avere la società contribuente omesso la presentazione della prescritta dichiarazione per l'anno 2002 con riferimento al quale si era formato il credito oggetto della detrazione. La CTR -sul rilievo che la società contribuente aveva presentato la dichiarazione de qua servendosi del servizio postale- affermava che l'Ufficio avrebbe dovuto escludere che la B. avesse omesso la presentazione della dichiarazione e aggiungeva che non poteva condividersi l'asserita nullità della dichiarazione 2002 dal momento che -in una fattispecie, quale quella in esame, disciplinata dall'art. 3 DPR 435/91 (secondo cui la dichiarazione si considera presentata nel giorno in cui è consegnata alla banca o all'ufficio postale ovvero è trasmessa all'Agenzia delle Entrate mediante procedura telematica)- non può trovare applicazione una sanzione non prevista da una norma ma da una circolare (del 25.1.2002 n. 6/E).

Per la cassazione della predetta sentenza, l'Agenzia delle Entrate propone ricorso affidato a sei motivi. Resiste con controricorso la società contribuente.

Considerato che

I motivi in cui si articola il ricorso recano: 1) "Nullità della sentenza per violazione dell'art. 57 D. Lgs. 546/1992 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c."; 2) "Nullità della sentenza per violazione dell'art. 53 D. Lgs. 546/1992 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c."; 3) "Insufficiente motivazione su fatto controverso e decisivo in relazione all'art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c."; 4) "Violazione e falsa applicazione dell'art. DPR 322/1998 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c."; 5) "Violazione e falsa applicazione dell'art. 30 comma 2 e 55 comma 1 DPR 633/1972 in relazione all'art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c."; 6) "Nullità della sentenza per violazione degli artt. 112 e 324 c.p.c. in relazione all'art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c."

I primi tre motivi -in quanto tra di loro connessi- possono essere trattati congiuntamente. Con il primo, la ricorrente deduce la nullità della sentenza per avere accolto il primo motivo di appello della contribuente diretto a censurare la sentenza della CTP nella parte in cui aveva affermato che la dichiarazione annuale 2002 non era stata presentata; la CTR avrebbe invece dovuto dichiarare l'appello inammissibile trattandosi di doglianza assente nel ricorso introduttivo, per la prima volta proposta in secondo grado e pertanto da qualificare come motivo "nuovo".

Con il secondo motivo, la ricorrente riproduce la doglianza come articolata sub 1) dolendosi del fatto che la CTR non avesse dichiarato inammissibile l'appello per difetto di specificità; inoltre -avendo la CTP deciso per la indetraibilità dell'IVA portata a credito nella dichiarazione relativa all'anno d'imposta 2003, oggetto del giudizio, sulla considerazione della mancata presentazione della dichiarazione relativa all'anno immediatamente precedente (2002)- "il motivo di appello diretto a sostenere che era stata presentata la dichiarazione relativa all'anno 2001 non era idoneo a costituire valido motivo d'impugnazione della statuizione della sentenza di primo grado concernente il fatto che non era stata presentata la dichiarazione relativa ad un anno diverso e cioè il 2001".

Con il terzo motivo l'ufficio ricorrente deduce, in via gradata per il caso di ritenuta presentazione (a mezzo servizio postale) della dichiarazione 2002, la insufficienza della motivazione relativa.

I motivi vanno rigettati. Invero, del tutto dirimente è nella presente fattispecie la consolidata interpretazione della Corte di cassazione (SS.UU. n. 17757 dell'8.9.2016, alla quale si sono di recente conformate 4392/2018; 8131/2018; 15459/2018; 19938/2018), secondo la quale la neutralità dell'imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l'eccedenza d'imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario se il contribuente abbia rispettato tutti i requisiti sostanziali per la detrazione, sicchè, in tal caso, nel giudizio d'impugnazione della cartella emessa dal fisco a seguito di controllo formale automatizzato non può essere negato il diritto alla detrazione se sia dimostrato in concreto, ovvero non sia controverso, che si tratti di acquisti compiuti da un soggetto passivo d'imposta, assoggettati ad IVA e finalizzati ad operazioni imponibili.

Il quarto motivo resta assorbito, vertendo esso sulla modalità (impiego della raccomandata) di presentazione della dichiarazione. Le ragioni esposte a sostegno della decisione di rigetto dei primi tre motivi vanno integralmente richiamate con riguardo al quinto motivo con il quale la ricorrente deduce che "ciò che l'Agenzia delle Entrate aveva contestato nella motivazione dell'avviso di accertamento è che il contribuente, pur avendo omesso di presentare la dichiarazione per l'anno 2002 abbia poi ritenuto di portare in detrazione il presunto credito IVA maturato per quell'anno (il 2002, in relazione al quale, per l'appunto, la dichiarazione era stata omessa) nella dichiarazione relativa all'anno successivo (2003). La CTR.....avrebbe dovuto escludere tale possibilità, atteso che l'avere omesso la presentazione della dichiarazione IVA per un determinato anno d'imposta comporta.... che il contribuente non possa portare l'eventuale eccedenza in detrazione nella dichiarazione dell'anno successivo..." Con l'ultimo motivo, la ricorrente lamenta che la CTR avrebbe violato il giudicato interno della sentenza di prime cure in ordine alla quantificazione

più ridotta del credito; non avendo la contribuente impugnato tale capo della sentenza, la sentenza della CTR sarebbe incorsa nel vizio di ultrapetizione. Anche quest'ultimo motivo è infondato. Invero, il credito di euro 347.169,00 è stato riconosciuto in sede di pvc dalla Guardia di Finanza e tale somma è stata esposta dalla contribuente nella dichiarazione anche per l'anno 2001, dichiarazione ritenuta omessa dalla CTP e, al contrario, esistente dalla CTR, "in quanto accertata dalla G. di F. in sede di controllo".

Il ricorso va dunque rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese che liquida in euro ottomila. Roma, 27 giugno 2019

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