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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 24308 del 30 settembre 2019
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso dell'11 giugno 2013 la Fondazione XXX e G. ha proposto opposizione davanti alla CTR di Trieste contro il diniego di rimborso dell'IMU versata per l'anno 2012 sugli immobili di sua proprietà e destinati ai propri fini. La CTP di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 89/2/14, ha rigettato il detto ricorso. La Fondazione XXX e G. ha proposto appello. La CTR di Trieste, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 329/09/15, ha accolto l'impugnazione. Il Comune di XXX ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi. La Fondazione XXX e G. ha resistito con controricorso. La sola parte controricorrente ha depositato memorie.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo il Comune di XXX lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 7, comma 1, lettera i), del d.lgs. n. 504 del 1992 poiché la CTR avrebbe errato nel riconoscere l'esenzione prevista da tale normativa anche in presenza di un uso indiretto degli immobili, rappresentato dalla loro locazione a terzi. La doglianza è infondata. L'art. 7, comma 1, lettera i), stabilisce che non sono sottoposti all'imposta in esame gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lettera c), del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre
1986, n. 917, e successive modificazioni, destinati esclusivamente allo svolgimento con modalità non commerciali di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all'art. 16, lettera a), della legge 20 maggio 1985, n. 222. Nel caso in esame, è stato accertato dal giudice di appello e non è più stato messo in dubbio nella presente sede di legittimità che la Fondazione XXX e G. è un ente di diritto privato che, in virtù del proprio statuto, non ha scopo di lucro, ma, anzi, non può distribuire, neppure in modo indiretto, utili, avanzi di gestione, fondi, riserve e capitali. Oggetto del contendere è, quindi, ormai solo il fatto se, data per non contestata la ricorrenza degli altri requisiti previsti dalla menzionata normativa, sussista o meno, nella presente fattispecie, il requisito dell'utilizzo con modalità non commerciali dei beni de quibus. In particolare, la controversia si concentra sulla circostanza che la Fondazione controricorrente svolgeva la propria funzione "caritativo-assistenziale" assegnando alle persone che aiutava (tutti individui bisognosi, anche seguiti dai servizi sociali del Comune di XXX, tanto che la Fondazione contribuente operava di concerto con l'ente locale) gli immobili di sua proprietà dietro il versamento di un canone di locazione estremamente modesto. Al riguardo, occorre effettuare una ricognizione della giurisprudenza in materia.
Indubbiamente è costante l'orientamento di legittimità per il quale, in tema di ICI, l'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lettera a), del d.lgs. n. 504 del 1992, per gli immobili posseduti dagli enti ivi indicati "destinati esclusivamente ai compiti istituzionali", spetta soltanto se l'immobile è direttamente e immediatamente destinato allo svolgimento di tali compiti: ipotesi che non si configura quando il bene venga utilizzato per attività di carattere privato, come avviene, in linea di massima, in tutti i casi in cui il godimento del bene stesso sia concesso a terzi verso il pagamento di un canone (Cass., Sez. 5, n. 14094 dell'Il giugno 2010, che ha escluso che potessero fruire dell'esenzione alcuni immobili, posseduti da un comune fuori del suo territorio, destinati ad edilizia residenziale pubblica). Allo stesso modo, questa Corte si è espressa, in ordine all'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, nel senso che la predetta esenzione per essere riconosciuta "esige la duplice condizione... dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito" (Cass., SU, n. 28160 del 26 novembre 2008; Cass., Sez. 6-5, n. 13542 del 10 luglio 2016; Cass., Sez. 5, n. 14226 dell'8 luglio 2015; Cass., Sez. 5, n. 3733 del 17 febbraio 2010). Si è ulteriormente precisato che "l'esenzione dall'imposta che il D.Lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, art. 7, comma 1, lett. i), prevede per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 87, comma 1, lett. c), (enti pubblici e privati, diversi dalle società, residenti nel territorio dello Stato e non aventi per oggetto esclusivo o principale l'esercizio d'attività commerciali), purché destinati esclusivamente - fra l'altro - allo "svolgimento d'attività assistenziali", esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito", senza che possa aver rilievo una utilizzazione indiretta, come la locazione a terzi, anche nel caso in cui detta locazione, regolata da criteri di economicità, sia assistita da una finalità di pubblico interesse (Cass., Sez. 5, n. 8870 del 4 maggio 2016; Cass., Sez. 5, n. 12495 del 4 giugno 2014; Cass., Sez. 5, n. 10827 del 23 maggio 2005). Pertanto, l'esenzione dall'imposta che l'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 prevede per gli immobili utilizzati dai soggetti di cui all'art. 87, comma 1, lett. c), del d.P.R. n. 917 del 1986, purché destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, esige la duplice condizione dell'utilizzazione diretta degli immobili da parte dell'ente possessore e dell'esclusiva loro destinazione ad attività peculiari che non siano produttive di reddito. Sulla base di queste premesse, il consolidato orientamento di questa Corte di legittimità ha escluso che l'esenzione in esame spetti nel caso di utilizzazione indiretta, pur se assistita da finalità di pubblico interesse, in particolare con riferimento all'ipotesi dell'attività di locazione degli immobili a terzi da parte dello IACP. Ciò perché equiparare questo tipo di utilizzazione del bene proprio dello IACP a quella diretta di un immobile ad opera dell'ente postulerebbe un intervento interpretativo estensivo impraticabile in materia di agevolazioni fiscali riservata alla discrezionalità del legislatore (Cass., SU, n. 28160 del 26 novembre 2008; Cass., Sez. 5, n. 18838 del 30 agosto 2006, riguardante una società costituita col fine di adibire beni immobili ed immobili a scopi sociali; Cass., Sez. 5, n. 5485 del 29 febbraio 2008, relativa ad un'IPAB; Cass., Sez. 5, n. 10827 del 23 maggio 2005, sempre in tema di IACP, come pure Cass., Sez. 5, n. 8054 del 18 aprile 2005). Peraltro, deve rilevarsi che la menzionata giurisprudenza in materia di IACP, nel formulare le conclusioni di cui sopra, teneva conto che la non spettanza dell'esenzione prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 dipendeva anche dal fatto che, per tali enti, era prevista dall'art. 8, comma 4, del medesimo d.lgs. una riduzione di imposta, il che non si conciliava con una esenzione di carattere generale. La portata di questa interpretazione della norma in questione, benché nel complesso condivisibile, è stata, però, delimitata da alcune recenti decisioni. In particolare, va menzionato il precedente di Cass., Sez. 5, n. 25508 del 18 dicembre 2015, per il quale in tema di ICI, l'esenzione di cui all'art. 7, comma 1, lett. a), del d.lgs. n. 504 del 1992 spetta non soltanto se l'immobile è direttamente utilizzato dall'ente possessore per lo svolgimento di compiti istituzionali, ma anche se il bene, concesso in comodato gratuito, sia utilizzato da un altro ente non commerciale per lo svolgimento di attività meritevoli previste dalla norma agevolativa, al primo strumentalmente collegato ed appartenente alla stessa struttura del concedente. Questa sentenza ha chiarito che la giurisprudenza contraria a riconoscere l'esenzione de qua in presenza di una locazione di immobili a terzi è individuabile nell'effetto distorsivo, rispetto alle finalità della norma in oggetto, generato dalla circostanza che il bene è impiegato per una finalità economica produttiva di reddito e non per lo svolgimento di compiti istituzionali. Peraltro, Cass., Sez. 5, n. 13970 dell'8 luglio 2016 ha precisato che, in tema di imposta comunale sugli immobili, lo svolgimento esclusivo nel cespite (nella specie, di proprietà di ente ecclesiastico) di attività di assistenza o di altre attività equiparate, senza le modalità di un'attività commerciale, costituisce il requisito oggettivo necessario ai fini dell'esenzione dall'imposta, prevista dall'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992, e va accertato in concreto, con criteri di rigorosità, seguendo le indicazioni della circolare ministeriale n. 2/DF del 2009 e, dunque, verificando determinate caratteristiche della clientela ospitata, della durata dell'apertura della struttura e, soprattutto, dell'importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un'alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato. Da questi ultimi precedenti emerge che l'interpretazione che nega l'applicabilità della norma de qua mira ad evitare che, tramite la concessione a terzi del godimento del bene dietro il versamento di un corrispettivo, si aggiri la disposizione stessa, consentendo al soggetto proprietario di beneficiare di una esenzione di imposta, pensata per lo svolgimento di attività di rilievo sociale nel cespite interessato, in presenza, per di più, di un impiego, nella realtà, commerciale di quest'ultimo. Da ciò deriva che non può essere seguita la prevalente giurisprudenza summenzionata in un caso come quello in esame, nel quale la finalità sociale assistenziale, tutelata dalla vigente normativa e perseguita dalla fondazione controricorrente, si realizzava statutariamente e, quindi, necessariamente e con certezza, con la sola dazione in godimento a terzi bisognosi degli immobili de quibus. Infatti, riconducendo alla concessione in godimento a terzi l'automatica esclusione del beneficio in questione pure in una situazione nella quale il citato effetto distorsivo non si verifica, per essere, al contrario, attuata la finalità assistenziale dell'ente, si precluderebbe a quest'ultimo a priori di invocare l'esenzione in questione. Neanche può menzionarsi a sostegno della tesi opposta la giurisprudenza concernente gli IACP, considerato che la normativa dell'epoca, prescrivendo una riduzione dell'imposta, escludeva implicitamente l'invocabilità del beneficio. Pertanto, deve ritenersi che, quando, per univoche e specifiche disposizioni statutarie, un ente non imprenditoriale sia tenuto a realizzare una finalità assistenziale ai sensi dell'art. 7, comma 1, lett. i), del d.lgs. n. 504 del 1992 tramite la dazione in godimento a terzi bisognosi di immobili di sua proprietà, questa modalità di utilizzo dei cespiti non è di ostacolo, di per sé, al riconoscimento del beneficio previsto dalla disposizione da ultima citata. La valutazione se, con la suddetta dazione in godimento, sia posta in essere o meno una attività commerciale, deve, quindi, avvenire in concreto. Il carattere imprenditoriale di tale attività va escluso ove il godimento sia gratuito, ad esempio in presenza di un contratto di comodato. Qualora, invece, il beneficiario ottenga il bene in locazione, è necessario accertare le caratteristiche del rapporto per stabilire se si abbia la produzione di un utile di impresa. Al riguardo, l'accertamento va condotto in maniera rigorosa, ispirandosi alle indicazioni contenute, pur se con riferimento a diversa fattispecie, in Cass., Sez. 5, n. 13970 dell'8 luglio 2016 e, dunque, verificando: a) le caratteristiche delle persone ospitate (che devono essere persone effettivamente bisognose); b) la durata del soggiorno (da collegare al superamento della condizione di disagio che lo ha generato); c) il rapporto con l'amministrazione di riferimento (la CTR di Trieste ha precisato che il Comune di XXX era tenuto ad "integrare il deficit finanziario che la Fondazione incontra nella sua attività assistenziale, obbligo che trova la sua ragione nel cospicuo lascito che a suo tempo il Comune percepì e che costituisce il tipico onere testamentario"); d) soprattutto l'importo delle rette, che deve essere significativamente ridotto rispetto ai prezzi di mercato, onde evitare un'alterazione del regime di libera concorrenza e la trasformazione del beneficio in un aiuto di Stato. In particolare, deve affermarsi che l'esenzione de qua è compatibile con il divieto di aiuti di Stato sancito dalla normativa eurounitaria ove abbia ad oggetto immobili destinati allo svolgimento di attività non economica, dovendo intendersi tale, secondo il diritto dell'Unione (decisione 2013/284/UE della Commissione, del 19 dicembre 2012), l'attività svolta a titolo gratuito ovvero dietro il versamento di un corrispettivo simbolico (Cass., Sez. 5, n. 4066 del 12 febbraio 2019).
Se ne ricava che, per consentire l'applicazione del beneficio in presenza di un contratto di locazione, occorre che il canone pattuito sia estremamente modesto e determinato prescindendo da ogni criterio di economicità, così da essere calcolato senza alcuna relazione con i costi di gestione del bene e di erogazione del servizio, al punto da neppure coprirli. Al contrario, negli altri casi in cui per l'uso del bene si paghi un canone e si realizzi una locazione si è, in linea di massima, al di fuori del campo di applicazione della norma che prevede l'esenzione de qua. Ne consegue che, avendo la CTR di Trieste correttamente escluso che la semplice dazione in locazione di un cespite possa condurre a negare automaticamente il riconoscimento del detto beneficio, il motivo va respinto.
2. Con il secondo ed il terzo motivo, che vanno trattati congiuntamente stante la stretta connessione, parte ricorrente lamenta l'omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio nonché la violazione e falsa applicazione dell'art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, dell'art. 132 c.p.c. e dell'art. 118 disp. att. c.p.c. poiché la CTR di Trieste non avrebbe chiarito le ragioni per le quali aveva ritenuto non commerciale l'attività della contribuente. Le doglianze sono inammissibili per difetto di specificità. Infatti, parte ricorrente non ha indicato quali elementi di particolare rilievo, risultanti dalle prove legittimamente acquisite agli atti, non sarebbero stati valutati dalla CTR di Trieste. Al contrario, dalla lettura della sentenza impugnata emerge che il giudice di appello ha esaminato in maniera completa la fattispecie, nel rispetto dei criteri di cui sopra, basando la sua valutazione sulle seguenti circostanze: - la Fondazione controricorrente non poteva distribuire utili; - il deficit della medesima Fondazione era ripianato dal Comune di XXX; - essa si occupava di soggetti bisognosi seguiti dai servizi sociali locali e di concerto con l'amministrazione; - gli alloggi erano concessi per periodi limitati; - i corrispettivi erano molto modesti e di gran lunga inferiori ai canoni di mercato; - non era stato dimostrato che i detti canoni remunerassero il capitale investito.
Si tratta di un giudizio di merito, compiutamente motivato, che non è più possibile contestare nella presente sede.
3. Il ricorso va, quindi, respinto.
4. Le spese di lite sono compensate in base al disposto dell'art. 92 c.p.c., alla luce della non univocità dei precedenti di legittimità. Sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi dell'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1 quater all'art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002, dell'obbligo, a carico del Comune ricorrente di versare l'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l'impugnazione integralmente rigettata, trattandosi di ricorso per cassazione la cui notifica si è perfezionata successivamente alla data del 30 gennaio 2013 (Cass., n giudizio di merito, Sez. 6-3, sentenza n. 14515 del 10 luglio 2015).
P.Q.M.
- rigetta il ricorso; - compensa le spese di lite; - ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall'art. 1, comma 17, legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del Comune ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 5^ Sezione.
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