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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 3
Sentenza del 16/04/2019 n. 16523 –
Svolgimento del processo
Il Tribunale di Grosseto, con ordinanza del 13 giugno 2018, ha respinto la richiesta di riesame che era stata presentata avverso il decreto di sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, delle somme di danaro rinvenute nella disponibilità di B.M., R.M. e di S.S., tutti indagati in relazione alla ipotesi di violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5, per avere, in concorso fra loro, omesso di presentare, quanto agli anni di imposta 2010, 2011 e 2012, al fine di evadere le imposte, la dichiarazione dei redditi per conto della L. ONLUS, sede di (XXXXX) e di (XXXXX), nonchè in relazione alla violazione dell'art. 316-ter c.p., per avere indebitamente percepito erogazioni pubbliche con danno per lo Stato.
Il Tribunale, avendo premesso che di fronte al giudice del riesame erano state sollevate solo questioni inerenti alla sussistenza del fumus del reato tributario contestato, dopo una ampia illustrazione dei fatti per i quali è stata disposta la misura cautelare reale, ha rilevato, in sintesi, che, per effetto delle irregolarità nella gestione della contabilità fiscale e finanziaria della L., la quale in (XXXXX) ed (XXXXX) conduceva un ambulatorio medico ove somministrava prestazioni diagnostiche e terapeutiche previo pagamento di una quota associativa (in tal modo percependo corrispettivi il cui ammontare superava il limite di cui al comma 5 dell'art. 10 dell'allora vigente D.Lgs. n. 460 del 1997), la predetta L. sarebbe decaduta dai benefici tributari di cui essa avrebbe potuto godere stante la sua qualità di organizzazione non lucrativa di utilità sociale.
Avverso l'ordinanza in questione hanno interposto ricorso per cassazione i tre indagati, presentando due distinti ricorsi, uno nell'interesse della sola B., l'altro nell'interesse della R. e del S., i cui contenuti sono, tuttavia, in larga parte coincidenti e possono, pertanto essere illustrati, ove non ne siano evidenziati profili di originalità, congiuntamente.
Tutti i ricorrenti, in tal modo in sostanza reiterando una delle censure dedotte di fronte al Tribunale del riesame, hanno lamentato la violazione di legge in cui sarebbe incorso il giudice maremmano nel prevedere il sequestro preventivo dei beni degli indagati, senza che sia stata preventivamente esaminata la eventualità di procedere al sequestro dei beni della L., soggetto, come gli stessi hanno precisato, dotato di piena soggettività giuridica.
Tale provvedimento sarebbe stato prodromico alla confisca non per equivalente dei beni degli attuali ricorrenti ma alla confisca diretta del profitto conseguito dalla L. per effetto del reato tributario in ipotesi commesso.
Sostengono, infatti, i ricorrenti che non sia stata esperita alcuna indagine volta a verificare la possibilità di eseguire il sequestro sui beni dell'ente che si sarebbe avvantaggiato delle violazioni tributarie; ciò sebbene detto ente fosse titolare di diversi rapporti bancari ed abbia avuto negli anni di cui alla contestazione provvisoria ingenti e crescenti entrate finanziarie.
Con specifico riferimento alla posizione della R. e del S., si osserva nel ricorso ad essi riferito, che, peraltro, gli stessi non sarebbero stati in grado di indicare la esistenza di specifici cespiti patrimoniali di pertinenza della L. - avendo il Tribunale giustificato il rigetto della istanza di riesame da loro formulata riguardo alla capienza del patrimonio della predetta associazione in ragione del fatto che non erano stati indicati dai ricorrenti i beni di questa che sarebbe stato possibile aggredire prima di accedere ai beni dei ricorrenti medesimi - in quanto al momento dell'esecuzione del sequestro a loro danno i predetti indagati non svolgevano alcuna funzione all'interno della L. e, pertanto, non potevano accedere ad informazioni specifiche in ordine al suo stato patrimoniale.
I ricorrenti hanno, altresì, lamentato sotto il profilo della violazione di legge, la circostanza che il Tribunale avesse ritenuto che la L. fosse soggetto tenuto alla presentazione della dichiarazione dei redditi ove fosse risultato che la stessa aveva svolto attività commerciale; hanno, infatti, ritenuto i ricorrenti che, anche a voler accedere alla tesi dell'avvenuta perdita dei benefici previsti dal D.Lgs. n. 600 del 1973, art. 20-bis (norma questa, peraltro, abrogata per effetto della entrata in vigore del D.Lgs. n. 117 del 2017, cioè il cosiddetto Codice del terzo settore), ciò non avrebbe comunque comportato la perdita della qualifica di ente non commerciale e, pertanto, non avrebbe determinato l'obbligo della presentazione della dichiarazione dei redditi con la conseguenza, in caso di omissione di tale adempimento, della integrazione del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 5; ad avviso dei ricorrenti l'eventuale mancata osservanza della regolarità contabile da parte della L. avrebbe comportato a carico di questa solamente la perdita degli specifici benefici previsti per le ONLUS, ma non la cessazione dello statuto speciale previsto dall'art. 148 del Testo Unico sulla Imposte sui Redditi in favore degli enti non commerciali.
Il terzo motivo di ricorso ha avuto ad oggetto la violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 12-bis in quanto il sequestro era stato disposto e mantenuto anche per le annualità di imposta 2011 e 2010, sebbene per queste la stessa Agenzia delle entrate avesse dichiarato la insussistenza del debito tributario.
Con il quarto motivo di impugnazione, infine, i ricorrenti hanno contestato il criterio di computo - in sede di determinazione dell'importo delle imposte in ipotesi evase, rilevante ai fini dell'affermazione dell'avvenuto superamento delle soglie di punibilità - delle spese affrontate per l'acquisto da parte della L. di apparecchiature diagnostiche.
Hanno, infatti, osservato sul punto i ricorrenti che il Tribunale di Grosseto ha ritenuto applicabili i criteri di ammortamento previsti in sede civile ai fini della compilazione dello stato patrimoniale della Associazione e non, invece, i criteri, più favorevoli per il contribuente, previsti dalla normativa tributaria.
Motivi della decisione
Il ricorso è risultato fondato alla luce delle considerazioni che seguono e, pertanto, l'ordinanza impugnata deve essere annullata, unitamente agli atti ad essa presupposti.
Deve preliminarmente ribadirsi che la impugnazione di fronte a questa Corte di legittimità dei provvedimenti emessi in sede di riesame in relazione a misure cautelari reali è limitata alla contestazione riguardante il vizio di violazione di legge, in tal senso deponendo il chiaro disposto dell'art. 325 c.p.p., comma 1.
Deve, tuttavia, darsi, altresì, atto di come la ferma giurisprudenza di questa Corte, nel dare un contenuto al concetto dei violazione di legge, abbia ripetutamente confermato che siffatto vizio è riferibile non soltanto agli errores in iudicando aut in procedendo, dovendo esso ricomprendere anche quei vizi della motivazione che siano così radicali da rendere l'apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l'itinerario logico seguito dal giudice (Corte di cassazione, Sezione II penale, 20 aprile 2017, n. 18951).
Tanto premesso, rileva la Corte, come sia fattore preliminarmente rilevante la valutazione in ordine alla astratta soggezione della L. agli ordinari obblighi tributari gravanti sui soggetti impersonali esercenti attività di impresa ovvero se la stessa sia tuttora avvantaggiata, come sostenuto dai ricorrenti, dallo statuto speciale a lei derivante dal fatto di essere una ONLUS. Alla relativa indagine, svolta peraltro entro i limiti di carattere delibativo giustificati dalla presente fase ancora cautelare del giudizio, appaiono essere di utile soccorso i principi espressi in materia tributaria dalla competente Sezione civile di questa stessa Corte di legittimità.
E' stato, infatti, osservato che in materia di ONLUS, ai fini dell'applicazione del regime tributario di favore previsto dal D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 10, non rileva la veste giuridica assunta dall'ente ma l'effettivo svolgimento di attività aventi natura solidaristica, quali la cessione di beni o la prestazioni di servizi riconducibili agli scopi associativi, effettuati verso corrispettivo nei confronti di soggetti svantaggiati o anche non svantaggiati, purché non si travalichi il limite del reperimento dei fondi necessari per finanziare l'attività solidaristica concretando un'attività avente fine di lucro (Corte di cassazione, Sezione V civile, 19 aprile 2017, n. 9831; idem Sezione V civile, 18 settembre 2015, n. 18396).
Nel caso di specie il giudice del riesame ha ritenuto, con motivazione che essendo certamente plausibile ed ampiamente illustrata nella ordinanza oggetto di impugnazione non è sicuramente oggetto di sindacato in questa sede di legittimità, che la sede di (XXXXX) della L. svolgesse attività imprenditoriale trasmodante rispetto alle esclusive o quanto meno prevalenti finalità solidaristiche proprie del tipo associativo in questione sulla base del dato che i corrispettivi che la stessa percepiva per l'attività di tipo diagnostico e terapeutico svolta presso la le sue strutture operativa di (XXXXX) ed (XXXXX) avevano determinato un introito finanziario il cui importo era di gran lunga superiore all'ammontare delle spese sostenuto, il che fa ragionevolmente presumere una gestione di tipo imprenditoriale, quindi finalizzata alla realizzazione di un utile di esercizio, della attività svolta e non una finalizzazione solidaristica della stessa, atteso che questa dovrebbe, di regola, portare al massimo ad un pareggio di bilancio e non alla formazione di un utile (concetto questo che, presupponendo la creazione di un plusvalore fra costi sostenuti e ricavo per i servizi erogati, si pone in ontologica contrapposizione con uno scopo solidaristico dello svolgimento dell'attività istituzionale).
Ciò posto rileva, tuttavia, il Collegio la fondatezza del primo motivo di impugnazione con il quale è stata lamentata, sotto lo profilo della violazione di legge, l'avvenuta emanazione del provvedimento di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente nei confronti delle persone fisiche che avevano la amministrazione della L. negli anni di imposta interessati dalle indagini in corso, senza che sia stata preventivamente esaminata la possibilità di procedere al sequestro del profitto dei reati ipotizzati tuttora rinvenibile presso la predetta L., diretta ed immediata beneficiaria dei reati in provvisoria contestazione.
Al riguardo va osservato che in diverse e non contrastate occasioni questa Corte ha rilevato che in caso di reati tributari commessi dall'amministratore di una società, il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente può essere disposto, nei confronti dello stesso, solo quando, all'esito di una valutazione allo stato degli atti sullo stato patrimoniale della persona giuridica, risulti impossibile il sequestro diretto del profitto del reato nei confronti dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato (Corte di cassazione, Sezione IV penale, 7 marzo 2018, n. 10418), dovendo, in altre parole, il Pm, prima di richiedere il sequestro finalizzato alla confisca per equivalente, procedere ad una valutazione, allo stato degli atti, della capienza patrimoniale dell'ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato (Corte di cassazione, Sezione III penale, 13 ottobre 2015, n. 41073), valutazione che, sebbene non debba consistere nel compimento di specifici atti di indagine, non può; tuttavia, essere del tutto pretermessa sulla base di considerazioni estranee alla effettiva reperibilità di tale cespiti prioritariamente aggredibili (Corte di cassazione, Sezione III penale, 23 agosto 2016, n. 35330).
Applicando i suddetti principi al caso ora in esame si rileva che, sebbene sia stata segnalata anche nella ordinanza impugnata la esistenza di un consistente flusso finanziario in favore della L., riveniente proprio dallo svolgimento - con criteri di massimizzazione, o quanto meno di produzione, degli utili - della attività d'istituto, non è stata fatta alcuna valutazione, preventivamente alla richiesta ed alla esecuzione del sequestro in danno degli attuali ricorrenti, in relazione alla possibilità di eseguire la misura cautelare direttamente sul profitto del reato in questione e sulla perdurante esistenza del prodotto dei citati flussi finanziari.
Tale omissione inficia la validità sia della ordinanza impugnata, che non ha tenuto conto della fondatezza del rilievo formulato al riguardo di fronte al Tribunale del riesame, sia dello stesso provvedimento di sequestro, che è stato adottato senza il preventivo scrutinio della possibilità di procedere al sequestro diretto, anziché a quello per equivalente (sulla esistenza della presupposta impossibilità di procedere al sequestro diretto quale fattore logicamente condizionante l'adozione del sequestro per equivalente ancora di recente: Corte di cassazione, Sezione III penale, 16 ottobre 2018, n. 46973).
Al conseguente annullamento sia dell'ordinanza impugnata che del primigenio provvedimento cautelare, fa seguito, con l'assorbimento dei residui motivi di ricorso, la doverosa restituzione agli aventi diritto di quanto in sequestro.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio il provvedimento impugnato ed il decreto di sequestro in data 25 maggio 2018, disponendo la restituzione di quanto in sequestro agli aventi diritto.
Così deciso in Roma, il 20 novembre 2018.
Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2019.
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