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Le “presunzioni” che l’Agenzia delle Entrate usa nelle contestazioni tributarie non sono vere “prove” e non sono in grado di provare reati. E comunque i reati, nel caso di specie, sono estinti per prescrizione. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “Più volte, infatti, questa Corte ha affermato, confermato e ribadito il principio secondo il quale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione dei reati”.

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Corte di Cassazione - Sezione/Collegio 3

Sentenza del 18/02/2019 n. 7242 -

Ritenuto in fatto

La Corte di appello di Catanzaro, con sentenza del 28 settembre 2017, ha confermato la sentenza del 10 marzo 2015 con la quale il Tribunale di Cosenza aveva dichiarato la penale responsabilità di G., relativamente ai reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, artt. 4 e 2, limitatamente alla evasione dell'IRES quanto alla prima delle due imputazioni contestate, per avere egli, in esecuzione di un unico disegno criminoso, in qualità di legale rappresentante della L. Srl, indicato nelle dichiarazioni dei redditi della predetta Società nell'anno di imposta 2010 elementi passivi fittizi ed avendo omesso di indicare elementi attivi reali per un complessivo importo superiore al 10% degli elementi attivi indicati e per essersi avvalso, nella redazione della predetta dichiarazione dei redditi, di fatture relative ad operazioni passive oggettivamente inesistenti.

Per i reati di cui sopra, unificati sotto il vincolo della continuazione e concesse le circostanze attenuanti generiche, la Corte di Catanzaro ha confermato la pena già irrogata dal Tribunale bruzio nella misura di anni 1 e mesi 1 di reclusione, oltre accessori.

La Corte di appello ha, altresì, escluso sia di potere considerare il fatto di particolare tenuità, ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen., sia di potere concedere il beneficio della non menzione, in considerazione della complessiva gravità delle condotte in contestazione.

Avverso la predetta sentenza ha interposto ricorso per cassazione il prevenuto, articolando sette motivi di impugnazione.

Il primo motivo di impugnazione concerne il vizio di motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui è stata ritenuta la inesistenza di taluni costi indicati in deduzione nella dichiarazione presentata dal G., sebbene la documentazione presente in atti abbia, al massimo, consentito di affermarne la indeducibilità per difetto di documentazione ma non per la loro inesistenza; ha altresì aggiunto il ricorrente che la circostanza che i rapporti sottostanti alle fatture passive ricevute dalla L. non abbiano una base documentale scritta è di scarsa rilevanza, ove si consideri che i rapporti in questione, sebbene la sommatoria degli importi relativi agli stessi sia di considerevole importo, hanno, singolarmente considerati, valori monetari non elevati.

Il secondo motivo di impugnazione attiene alla violazione del D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, nella sua attuale formulazione, ove è esclusa la rilevanza penale della non corretta classificazione in sede di dichiarazione dei redditi della deducibilità di elementi passivi reali, circostanza che si sarebbe verificata nel caso concreto, in quanto il ricorrente avrebbe portato in deduzione oneri non inesistenti, ma indeducibili.

Il terzo motivo riguarda la violazione di legge per non avere il giudice del gravame ritenuto di potere concedere il beneficio della non menzione, pur avendo affermato la non particolare gravità del fatto contestato.

Analoga censura è stata formulata con riferimento alla mancata qualificazione del fatto fra quelli di particolare tenuità ai sensi dell'art. 131-bis cod. pen..

Il quinto motivo di impugnazione ha ad oggetto la contraddittorietà e la manifesta illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sono stati ricondotti a reddito, sulla base di una presunzione tipica del diritto tributario, i prelievi di cassa operati dal ricorrente e nella parte in cui non sono stati considerati provati gli impieghi di essi come costi riferiti al ciclo produttivo della impresa.

Il sesto motivo riguarda la illogicità della motivazione della sentenza impugnata nella parte in cui sono state ritenute relative ad operazioni inesistenti le fatture emesse dalla T a nome della L., sebbene l'esistenza dei sottostanti rapporti è stata documentata non solo attraverso le dichiarazioni del commissario liquidatore della T. ma anche attraverso la dimostrazione della esistenza di un'azione giudiziaria di questa volta al conseguimento dei crediti da essa vantati verso la L.

Il settimo motivo di ricorso riguarda la violazione di legge ed il vizio di motivazione per avere la Corte di appello confermato la sentenza di condanna, pur in presenza di elementi che avrebbero dovuto condurre alla assoluzione dell'imputato in considerazione della sussistenza quanto meno di un legittimo dubbio in ordine alla sua penale responsabilità.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato nei sensi di cui in motivazione.

Per evidenti ragioni di economia processuale ritiene il Collegio di dovere esaminare prioritariamente il quinto fra i motivi di ricorso dedotti dalla difesa del G., riferito all'aver i giudici del merito considerato presuntivamente riferibili a ricavi, non dichiarati, i prelievi di cassa eseguiti dall'imputato.

Tale deduzione, tuttavia, si basa su una presunzione che, nella sua assolutezza risulta essere tipicamente riconducibile al solo diritto tributario e non può estendere il suo campo di azione anche all'accertamento penale dei reati.

Più volte, infatti, questa Corte ha affermato, confermato e ribadito il principio secondo il quale le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione dei reati previsti dal D.Lgs. n. 74 del 2000, potendo solamente essere fondamento di elementi indiziari atti a giustificare l'adozione di misure cautelari reali a carico del soggetto interessato (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 8 giugno 2018, n. 26274). Si tratta, infatti, come in altra occasione è stato precisato da questa Corte con riferimento alle risultanze derivanti dalla presunzioni previste dal diritto tributario (ed il richiamo era proprio alla riconduzione a ricavi o compensi dei prelevamenti operati dal contribuente), di elementi che non possono costituire di per sè fonte di prova della commissione del reato, assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente ad elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa (Corte di cassazione, Sezione 3 penale, 16 luglio 2015, n. 30890; idem 13 febbraio 2013, n. 7078).

Nel caso in esame non risulta che la Corte catanzarese abbia preso in esame, come indicato dalla giurisprudenza di questa Corte, ulteriori elementi di riscontro, essendosi basata esclusivamente, ai fini della affermazione della penale responsabilità del G., sulla esistenza dei predetti prelievi di cassa.

La sentenza impugnata, stante la insufficienza motivazionale e la violazione di legge insita nella utilizzazione in ambito improprio della presunzione tipica del diritto tributario, deve essere annullata, con assorbimento dei restanti motivi di impugnazione.

Non vi è luogo ad annullamento con rinvio, considerato che i reati contestati al G., sono oramai prescritti a decorrere dal 19 marzo 2018.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perchè i reati sono estinti per prescrizione.

Così deciso in Roma, il 30 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 18 febbraio 2019

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