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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 19792 del 23 luglio 2019
Rilevato che
- con sentenza n. 321/28/2012, depositata il 3 dicembre 2012, non notificata, la Commissione tributaria regionale della Campania, rigettava l'appello proposto dalla Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, in persona del Direttore pro tempore, nei confronti di S. s.r.I., in persona del legale rappresentante pro tempore, avverso la sentenza n. 674/29/2011 della Commissione tributaria provinciale di Napoli che aveva accolto il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l'avviso di rettifica dell'accertamento n. 25696 dell'i° luglio 2009, con il quale l'Agenzia delle dogane aveva recuperato maggiori diritti doganali, oltre interessi e spese di notifica, in relazione all'operazione di importazione - di cui alla bolletta doganale n. XXX/3 del 23 aprile 2008 - relativa ad un carico di biancheria, con allegato certificato Eur 1 attestante l'origine preferenziale egiziana e relativa fattura di acquisto n. 5825 dell'8 febbraio 2007 che, a seguito di richiesta all'autorità egiziana, risultava attestare un valore della merce (euro 11.593,80) inferiore a quello (euro 82.595,70) emergente nella fattura dell'esportatore egiziano, con conseguente rideterminazione a cura dell'Agenzia delle dogane di Napoli della differenza di tributo evaso (Iva all'importazione) pari a euro 14.200,38, oltre interessi e spese di notifica;
- la CTR in punto di diritto, per quanto di interesse, ha osservato che: 1) era infondato il motivo di appello con il quale l'Agenzia delle dogane aveva denunciato il difetto di motivazione della sentenza di primo grado quanto alla dichiarata non imputabilità alla società contribuente della condotta contestata; ciò in quanto, come rilevato dal giudice di primo grado: 1) l'unico supporto documentale esibito dall'Ufficio era una fotocopia quasi illeggibile della seconda parte della fattura in contestazione inviata dalla Dogana egiziana; 2) l'Ufficio non aveva provato che il prezzo di euro 11.593,80 della merce importata indicato nella fattura esibita all'autorità doganale fosse inferiore a quelli di comune commercio; 3) si era voluto dare la prova della violazione esibendo solo una parte della fattura inviata dalla Dogana egiziana che riportava un diverso maggiore importo di euro 82.595,70; 4) avendo l'esportatore egiziano modificato gli importi di numerose fatture di vendita all'esportazione al fine di potere fruire di agevolazioni statali, alcuna colpa poteva essere imputata all'importatore italiano; - avverso la sentenza della CTR, l'Agenzia delle dogane propone ricorso per cassazione affidato a quattro motivi; la società contribuente ha depositato "atto di costituzione"; - il ricorso è stato fissato in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 375, secondo comma, e dell'art. 380-bis.1 cod. proc. civ., introdotti dall'art. 1-bis del d.l. 31 agosto 2016, n. 168, convertito, con modificazioni, dalla legge 25 ottobre 2016, n. 197.
Considerato che
- con il primo motivo, la Agenzia delle dogane denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c - nonché eventualmente n. 3 c.p.c. - la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 c.c., 115 e 116 c.p.c., 94 Reg. CE n. 2454 del 1993, per avere la CTR, a fronte della fede privilegiata della documentazione (originale della fattura dell'esportatore egiziano n. 5825 dell'8 febbraio 2007), acquisita dall'Ufficio tramite la procedura di cooperazione amministrativa, prevista dalla normativa comunitaria, fatto ricadere su quest'ultimo l'onere della prova circa la non corrispondenza del minore prezzo (euro 11.593,80) indicato nella fattura esibita dall'importatore a quelli di comune commercio e, dunque, circa la effettiva conclusione dell'operazione commerciale contestata al diverso maggiore importo di cui all'originale della fattura trasmessa dalle autorità egiziane;
- con il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente motivazione su un punto decisivo e controverso per il giudizio, per avere la CTR affermato apoditticamente dovere ricadere sull'Amministrazione l'onere della prova circa la conoscenza da parte della società importatrice della falsità della fattura esibita alle autorità doganali, ciò, peraltro, in contrasto con il consolidato principio secondo cui grava sul soggetto passivo che intende godere di speciali disposizioni agevolative, in deroga al regime ordinario, l'onere di provare la sussistenza dei relativi presupposti (sono richiamate Cass. n. 17638 del 2004; n. 14146 del 2003 e n. 4598 del 2002);
- i motivi primo e secondo - che possono essere trattati congiuntamente - sono infondati; - invero, posto che se è vero che, a fronte di una discrepanza tra il valore della merce di cui alla fattura esibita dall'importatore e quello di cui alla fattura dell'esportatore trasmessa dalle autorità estere, e dunque di elementi presuntivi di un maggiore imponibile (di Iva all'importazione), ricade sul contribuente l'onere della prova della effettiva corrispondenza del valore dichiarato in dogana a quello pagato o da pagare, nella specie, la CTR, con un accertamento di fatto non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che difettasse un elemento presuntivo della contestata discrepanza di valore che aveva condotto l'Ufficio alla rideterminazione della maggiore Iva all'importazione; ciò, in quanto ha considerato complessivamente inutilizzabile - poiché quasi illeggibile e prodotta peraltro solo in parte- la fattura inviata dalla Dogana egiziana recante l'ammontare (euro 82.595,70) superiore a quello (11.593,80) di cui alla fattura esibita dall'importatore all'Ufficio; da qui la corretta applicazione da parte del giudice di appello, con una motivazione congrua e scevra da vizi logici giuridici, dei criteri in tema di onere della prova;
- con il terzo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 - nonché eventualmente n. 4 c.p.c. - la violazione e falsa applicazione dell'art. 220 del Reg. CE n. 2913 del 1992 (C.D.C.) e dei principi generali in materia di imposizione fiscale delle importazioni, per avere la CTR erroneamente affermato la non imputabilità della condotta contestata alla società contribuente, avendo l'esportatore egiziano modificato gli importi di numerose fatture di vendita all'esportazione (al fine di potere usufruire di indebite agevolazioni statali), senza considerare che era onere dell'importatore che intendeva godere di trattamenti agevolativi provare la sussistenza dei relativi presupposti, e che, nella specie, era irrilevante l'assunto affidamento incolpevole della contribuente sulla veridicità della fattura rilasciata dall'esportatore, poi riconosciuta come falsa, in quanto tale buona fede non risultava correlata ad alcun errore imputabile all'autorità doganale, dipeso da comportamento attivo dell'autorità medesima e, dunque, alle altre condizioni per l'operatività dell'art. 220, par. 2, lett. b) cit.;
- con il quarto motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c., la insufficiente motivazione della sentenza impugnata per non avere la CTR, da un lato, evidenziato in base a quali elementi l'operato dell'Amministrazione potesse ritenersi illegittimo, e, dall'altro, incongruamente valutato l'elemento dello stato soggettivo dell'importatore quale esimente di responsabilità; - i motivi terzo e quarto- da trattarsi congiuntamente per connessione- sono inammissibili; - invero, la ricorrente non ha colto la ratio decidendi della sentenza impugnata, in quanto nell'impianto motivazionale di quest'ultima il riferimento alla assenza di "colpa" dell'importatore, per avere l'esportatore egiziano modificato gli importi di numerose fatture di vendita all'esportazione, è svolto ad abundantiam (peraltro giammai sotto il profilo dell'assunta prova della sussistenza dei presupposti per godere del trattamento agevolativo, il che nella specie non è contestato, afferendo il rilievo dell'Ufficio soltanto ad un preteso maggiore imponibile Iva) per essere il decisum del giudice di appello fondato sulla riscontrata mancanza di uno degli elementi presuntivi - per inutilizzabilità della fattura dell'esportatore - posto dall'ufficio a base della determinazione della maggiore Iva all'importazione; - in conclusione il ricorso va rigettato; nulla sulle spese essendo la società contribuente rimasta intimata;
P.Q.M.
la Corte rigetta il ricorso; Così deciso, in Roma, il 23 gennaio 2018.
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