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Comm. Trib. Reg. per la Lombardia Sezione/Collegio 19
Sentenza del 18/06/2019 n. 2632 -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Trattasi di appello proposto dall'Ufficio avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Lecco che, in data 23 luglio 2018, aveva accolto il ricorso presentato dalla società I. A. J. (Cayman) L. contro il diniego d rimborso IVA di euro 636.416,00 relativo al periodo di imposta 2014.
In data 15 dicembre 2012, la società I., soggetto non residente in Italia, acquistava dalla società V. I. SpA, in amministrazione straordinaria e successivamente dichiarata fallita, quattro impianti ubicati negli stabilimenti di Porta Marghera e Porto Torres per un importo complessivo di euro 5.650.000,00 più IVA pari ad euro 1.186.5000,00 (fattura emessa in data 27 febbraio 2013).
In data 1 luglio 2014 la società I. presentava dichiarazione IVA chiedendo il rimborso di euro 1.186.500,00.
Successivamente, la società I. vendeva gli impianti a due società del suo stesso gruppo societario, joint venture costituite nel 2014 tra la società I. di diritto statunitense e la società N. Ho. L., anche di diritto statunitense: gli impianti di Porto Torres alla società I. A. J. (Cayman) L. per euro 3.529,216,00 più IVA pari ad euro 636.416,00; gli impianti di Porto Marghera alla società I. A. J. L. per euro 3.363.784,00 più IVA pari ad euro 606.584,00 e, in data 19 novembre 2014, presentava dichiarazione integrativa chiedendo la compensazione in luogo del rimborso.
L'anno successivo, il 22 maggio 2015, la società I. compensava in dichiarazione il credito IVA di euro 1.186.500,00 con i due debiti IVA di euro 636.416,00 ed euro 606.584,00.
In data 28 settembre 2015, la società I. A. J. (Cayman) L., in sede di dichiarazione IVA per l'anno d'imposta 2014, chiedeva il rimborso di euro 636,416,00.
In data 14 dicembre 2015, la società I. A. J. L. revocava la richiesta di rimborso esposta in dichiarazione e formalizzava una richiesta di rimborso diretta all'Ufficio.
L'Ufficio, previa verifica, comunicava il diniego di rimborso, oggetto di impugnazione, assumendo che l'operazione di acquisto degli impianti era finalizzata ad un mero risparmio di imposta.
In particolare, in sede di controdeduzioni nel processo di primo grado, sosteneva che il rimborso era stato chiesto in assenza dei requisiti previsti, precisando che:
il rappresentante fiscale era stato nominato oltre il termine di sei mesi, previsto dalla normativa e dalla Corte di Giustizia causa C-358/09;
la società ricorrente non era qualificabile quale soggetto passivo IVA, atteso che la documentazione esibita non dimostrava una capacità decisionale ed operativa;
l'operazione di acquisto degli impianti era stata un'operazione isolata, non effettuata nell'esercizio di una regolare attività d'impresa.
La Commissione provinciale accoglieva il ricorso, rilevando, in particolare, che la Corte di Giustizia aveva in realtà chiarito che l'atto di nomina del rappresentante IVA deve avvenire entro un termine ragionevole, senza identificare un termine di sei mesi e che la stessa Agenzia delle Entrate, con la circolare n. 129 /E del 27.5.2009, aveva impartito direttiva agli Uffici di verificare la sussistenza dei requisiti sostanziali per ottenere il rimborso e non limitarsi ad eccepire la tardiva identificazione del rappresentante. I primi giudici precisavano, inoltre, che la qualificazione di un soggetto quale soggetto passivo IVA, ai fini dell'art. 1 del DPR n. 633 del 1972 e dell'art. 9 della Direttiva 2006/112/CEE, non richiede una struttura organizzata e un'autonoma capacità decisionale, essendo semplicemente richiesto lo svolgimento di un'attività commerciale, sussistente nel caso di specie.
Specificavano, infine, che l'assunto che l'acquisto degli impianti è stata un'operazione isolata è smentito dalla stessa natura dell'impianto, trattandosi di un impianto di raffinazione, e che la ricorrente ha peraltro ampiamente documentato l'attività commerciale svolta, consistente nell'acquisto di impianti produttivi usati, nella loro rigenerazione e rivendita.
La sentenza impugnata concludeva sottolineando che lo stesso Ufficio aveva successivamente riconosciuto e rimborsato un credito IVA esposto dalla stessa società nella dichiarazione IVA 2018 per l'anno di imposta 2017, circostanza ritenuta dai primi giudici un vero e proprio riconoscimento del requisito di soggetto passivo IVA da parte dell'Ufficio e prova dell'illegittimità del diniego di rimborso.
Con atto di appello, l'Ufficio chiede preliminarmente la sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata sussistendo gravi e fondati motivi atteso che, l'erogazione del rimborso renderebbe impossibile il successivo recupero in caso di decisione favorevole all'Ufficio, trattandosi di società di diritto straniero.
Nel merito, chiede la riforma della sentenza lamentando che la Commissione provinciale ha valutato le circostanze dedotte dall'Ufficio singolarmente, senza un esame complessivo della vicenda, che avrebbe dimostrato il vero fine dell'operazione, vale a dire il risparmio di imposta.
Insiste, in particolare, sull'assenza di elementi comprovanti l'esistenza di un'attività commerciale, non dimostrata dalla contribuente, che non ha prodotto idonea documentazione. Sottolinea le anomalie riscontrate, nel corso della verifica effettuata a seguito della richiesta di rimborso, nella fatturazione della cessione degli impianti, palesemente artefatta perché riporta il numero di partita IVA, attribuito in data successiva e il nominativo del rappresentante fiscale non ancora nominato. Rileva, inoltre, l'assenza di prova dell'avvenuto pagamento. Ribadisce, infine, che la nomina del rappresentante fiscale è avvenuta dopo la cessione dei beni, contrariamente a quanto previsto dall'art. 1 DPR 441/1997, e riporta il contenuto di mail tra il consulente della società I. e il rappresentante fiscale della ricorrente dalle quali si evincono le perplessità di quest'ultimo sul rimborso IVA a una società non ancora registrata a fini IVA in Italia e il vero scopo dell'operazione, esplicitamente indicato nel "risparmio d'imposta delle tasse statunitensi".
Si è costituita in giudizio l'appellata chiedendo, preliminarmente, il rigetto dell'istanza di sospensione dell'esecutività della sentenza impugnata per carenza dei presupposti, in particolare del fumus boni iuris, come si evince dalla stessa sentenza impugnata, e del periculum in mora non sussistendo un pregiudizio di dissolvimento dei beni della società, solida e solvente, come emerge anche dal bilancio d'esercizio al 31.12.2015 depositato in atti, e dalla proprietà degli impianti di Porto Torres, di valore superiore al credito IV A.
Nel merito, chiede la conferma della sentenza impugnata e ribadisce l'illegittimità del diniego di rimborso IVA, precisando che la nomina del rappresentante fiscale e la registrazione ai fini IVA erano effettivamente intervenute poco più di sei mesi dopo l'operazione di conferimento per la difficoltà di reperire una persona idonea in Italia e che, tuttavia, ciò non inficia la legittimità della richiesta di rimborso dell'IVA, come afferma chiaramente la Corte di Giustizia causa C-358/09 "l'obbligo di registrazione ai fini IVA previsto dall'art. 214 della Direttiva 2006/ 112/ CEE non è un atto costitutivo del diritto alla detrazione, che sorge quando l'imposta detraibile diventa esigibile, bensì rappresenta un requisito formale ai fini di controllo" e ancora "la Direttiva 2006/ 112/ CEE relativa al sistema comune d'imposta sul valore aggiunto, deve essere interpretata nel senso che essa osta a che un soggetto passivo dell'imposta sul valore aggiunto, il quale soddisfi i requisiti sostanziali per detrarre quest'ultima ... e che si registri ai fini dell'imposta sul valore aggiunto entro un termine ragionevole a decorrere dalla realizzazione delle operazioni che danno luogo al diritto alla detrazione, possa essere privato della possibilità di esercitare tale diritto da parte di una normativa nazionale che vieta la detrazione dell'imposta sul valore aggiunto versata in occasione dell'acquisto di beni qualora tale soggetto passivo non si sia registrato ai fini IVA prima di impiegare questi ultimi ai fini della sua attività imprenditoriale".
Quanto alla negazione della qualifica di operatore economico della società ricorrente, perché priva di capacità decisionale ed operativa, l'appellata richiama la documentazione prodotta in primo grado (bilanci, contratti di supervisione degli impianti di raffinazione, contratto per la demolizione e smantellamento degli stessi) precisando che l'attività commerciale svolta consiste proprio nell'acquisto, rigenerazione e successiva rivendita di impianti produttivi. Osserva, in ogni caso, che il concetto di soggetto passivo IVA di cui all'art. 1 del DPR n. 633 del 1972 e all'art. 9 della Direttiva IVA 2006/112/CEE non richiede affatto la presenza di un'autonoma capacità decisionale e di una struttura organizzativa essendo semplicemente richiesto l'esercizio di una attività di tipo commerciale.
Infine, richiama la stessa valutazione operata dall'Ufficio in occasione di un analogo rimborso IVA per l'anno di imposta 2017, laddove è stato pienamente riconosciuta la sussistenza di soggetto passivo IVA in capo alla ricorrente.
Quanto alle riferite anomalie riscontrate, nel corso della verifica e riportate nell'atto di appello a sostegno del fine elusivo dell'operazione, l'appellata eccepisce la tardività di queste nuove argomentazioni, introdotte solo in questo grado di giudizio, peraltro assolutamente infondate e ininfluenti: l'anomalia della fatturazione non è altro che una mera integrazione della fattura emessa da I., resasi necessaria proprio a causa della tardiva registrazione; la mancata prova dell'avvenuto pagamento dipende semplicemente dal fatto che si è trattato di un conferimento di beni in cambio di azioni e non di somme di denaro. Per quanto riguarda la sussistenza del fine di perseguire un risparmio d'imposta, motivo introdotto solo in questo grado di giudizio, l'Ufficio non spiega in cosa consisterebbe l'indebito risparmio d'imposta e tantomeno lo dimostra a fronte, al contrario, delle ampie spiegazioni fornite dalla ricorrente sulle ragioni dell'operazione.
Con successiva memoria depositata per l'udienza, l'appellata ritorna su quest'ultima questione, di cui ribadisce in ogni caso l'assoluta novità e inammissibilità. Riepiloga tutte le ragioni sottese all'operazione ed eccepisce la mancata applicazione del procedimento di contestazione dell'abuso del diritto previsto dall'art. 10 bis della legge n. 212 del 2000.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello non merita accoglimento.
Con riferimento al motivo relativo alla tardività della nomina del rappresentante fiscale, il diniego del rimborso non è legittimo in quanto, come ampiamente argomentato nella sentenza impugnata, la nomina tardiva del rappresentante fiscale non può pregiudicare l'esercizio dei diritti sostanziali connessi con l'attività esercitata.
Ancora recentemente, la Corte di Cassazione, in linea con la giurisprudenza comunitaria sopra richiamata, ha ribadito che la nomina irregolare del rappresentante fiscale non preclude il diritto alla detrazione e, quindi, al rimborso dell'imposta, poiché il principio di neutralità implica che la detrazione non possa essere limitata o esclusa se i requisiti sostanziali previsti per il suo esercizio risultano soddisfatti.
La stessa Amministrazione finanziaria d'altronde, con la Risoluzione 129/E/2009, ha impartito istruzioni agli Uffici affinché verifichino la sussistenza dei requisiti sostanziali per ottenere il rimborso dell'imposta, anziché limitarsi ad eccepire la tardiva identificazione da parte del soggetto estero.
Per quanto concerne il non riconoscimento, da parte dell'Ufficio, della qualifica di operatore economico in capo alla società ricorrente perché priva di capacità decisionale ed operativa, è stata depositata in atti ampia documentazione a dimostrazione dell'attività commerciale svolta dalla società, dedita all'acquisto, rigenerazione e successiva rivendita di impianti produttivi, unico requisito per il riconoscimento di soggetto passivo IVA ai sensi dell'art. 1 del DPR n. 633 del 1972 e dell'art. 9 della Direttiva IVA 2006/ 112/CEE.
D'altronde, che l'acquisto degli impianti di raffinazione non sia stata un'attività isolata è provato dalla documentazione prodotta e dalla circostanza che, per gli anni successivi, lo stesso Ufficio ha riconosciuto il diritto al rimborso IVA e dunque la qualifica di soggetto passivo IVA in capo alla ricorrente.
Le ulteriori anomalie rilevate nel corso della verifica desunte dallo scambio di mail tra i rappresentanti delle società del gruppo, esposte per la prima volta in questo grado di giudizio e dunque inammissibili, non modificano peraltro la sostanza e l'effettività delle transazioni e non dimostrano in alcun modo l'asserito risparmio d'imposta denunciato dall'Ufficio, che non viene esplicitato nei suoi contenuti.
Le spese seguono la soccombenza.
PER QUESTI MOTIVI
la Commissione conferma la sentenza di primo grado. Condanna l'appellante alla rifusione delle spese, che si liquidano in complessivi euro 4.000,00.
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