Rubrica periodica a cura dell’avv. Federico Pau. Per richieste e opinioni scrivere all'indirizzo Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. È necessario abilitare JavaScript per vederlo.
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1) Se esprimiamo le nostre idee sotto forma di storia siamo grado di catturare maggiormente l’attenzione di chi ci ascolta, sollecitare un investimento emotivo e spingere ad agire.
2) Se esprimiamo le nostre idee e tesi sotto forma di una storia sarà molto più facile che le stesse rimangano impresse nella mente di chi ci ascolta. Secondo gli studi dello psicologo Jerome Bruner, citato dall’autore, se i fatti sono resi sotto forma di storia, la possibilità che gli stessi siano ricordati aumenta di 20 volte.
3) È più facile che siano ricordate le regole espresse sotto forma di storia così come che le stesse siano rispettate;
4) Se cerchiamo di motivare qualcuno ci riuscirà meglio farlo con una storia. Si pensi alla differenza che c’è tra dire a qualcuno di dare il 110% e raccontargli la storia del famoso maratoneta della Tanzania John Stephen Akhwari. Ve la racconto.
Siamo nel 1968. Un atleta di nome John Stephen Akhwari sta correndo la maratona ai giochi Olimpici. Tutto procede regolarmente quando, improvvisamente, l’atleta cade e s’infortuna al ginocchio. Rimane per un momento a terra, in agonia. Avrebbe potuto interrompere in quel momento, rivolgersi ai dottori, farsi curare e tornare a casa. Ma non lo fa. L’atleta decide di rimettersi in piedi e, combattere quel dolore, continuando la sua gara. Dopo un’ora dai primi arrivi, si intravede un atleta che si dirige anch’egli verso l’arrivo, è John Stephen Akhwari, che, dimostrando un estremo valore nell’arrivare fino alla fine nonostante l’infortunio, viene acclamato dalla folla, in delirio per l’impresa e la motivazione di questo atleta. Le sue parole restano scritti negli annuali: “Il mio Paese non mi ha spedito qui, 5.000 miglia da casa, per “iniziare” questa corsa, mi ha spedito qui, 5.000 miglia da casa, per “finirla”. Cosa vi ispira di più, questa storia o l’incoraggiamento a dare “il massimo?
5) Una storia di successo comprende tre elementi, un contesto, un’azione ed un risultato. Il contesto è il “dove” ed il “quando” la nostra storia ha luogo, e “chi” ne sono i “protagonisti” e gli “antagonisti”. Quando cerchiamo di stabilire il contesto di riferimento è importante che sia facile per gli ascoltatori rapportarsi e/o immedesimarsi in tale contesto. Il secondo elemento è l’azione, la dinamica temporale degli eventi, l’evoluzione della storia. Il terzo elemento è la conclusione / il risultato.
6) Le storie migliori coinvolgono le emozioni di chi le ascolta. È la capacità di evocare emozioni degli ascoltatori che costituisce per l’appunto una “buona” storia. Ma si badi bene. Perché tutto ciò vi serva, le emozioni evocate devono essere quelle corrette. Qual è l’emozione che più di ogni altra ci sarebbe utile evocare? Qual è l’emozione idonea a motivare chi ci ascolta nel senso sperato? È fondamentale farsi quest’ordine di domande. È la compassione? Spesso non lo è. È la furia? È la voglia di reprimere e/o punire qualcuno? Magari è proprio questa. L’emozione corretta varia di caso in caso, ed è fondamentale individuarla.
7) Inserisci un minimo di “sorprese” nella tua storia per sollecitare l’interesse di chi ti ascolta e farti ricordare. L’autore ci spiega, dal punto di vista biologico, perché le emozioni forti rimangono più impresse. Durante la c.d. “memory consolidation”, i nostri ricordi rimangono più delineati se ad essi si associa uno “stimolo” intenso, come quello causato dal rilascio di adrenalina nel corpo (rilasciata da diverse emozioni, come il rimanere “scioccati” da una data vicenda o circostanza o affermazione). Dunque, chiudere la propria storia con un picco di adrenalina agevola il processo di memorizzazione della storia stessa.
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