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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 13773 del 22 maggio 2019
Rilevato che:
Con l'avviso di accertamento n. XXX, l'Agenzia delle Entrate-Ufficio di XXX, per l'anno 2004, rettificava alla Società C. srl il risultato economico imponibile ad Ires da una perdita di € 51.940 ad un utile di € 104.128, il valore della produzione industriale rilevante ai fini Irap da € zero ad € 149.869 e il volume d'affari soggetto ad Iva da € 179.752 ad € 335.820, quantificando le correlative imposte e irrogando le sanzioni per dichiarazioni infedeli. Le rettifiche era state effettuate ai sensi dell'art. 62 sexies del D.L. n. 331/93, con i criteri di cui all'art. 39, comma 1, lettera d) del DPR n. 600/73, sulla base delle risultanze dello studio di settore TDO4A, dopo avere instaurato con la società contribuente il contraddittorio. In tale sede la società contribuente giustificava le discordanze col mancato esercizio, durante l'anno 2004, della normale attività di estrazione di sabbia a causa della mancanza dell'autorizzazione a ciò necessaria, ottenuta solo nel 2005, nonostante si fosse attivata per ottenerla già nel 2003, con la conseguente necessità, per non perdere la clientela, nell'anno in questione, di commercializzare e di lavorare materiali acquistati da altri estrattori, e quindi il cluster relativo alle "imprese di piccole dimensioni che estraggono e lavorano in c/o proprio materiali", al quale si riferiva lo studio di settore applicato, non inquadrava l'attività effettivamente svolta. Ritenendo infondate le giustificazioni addotte dalla società contribuente, l'Agenzia delle entrate emetteva il menzionato avviso di accertamento. La società contribuente proponeva ricorso alla CTP di Pavia che, con sentenza n.145/01/11 del 29/03/2011, depositata il 24/05/2011, accoglieva il ricorso, compensando le spese, in quanto la contribuente era risultata priva dell'autorizzazione ad estrarre la sabbia e pertanto, per l'anno in esame, non poteva essere applicato lo studio di settore individuato dall'ufficio. Avverso tale sentenza la Direzione provinciale di Pavia dell'Agenzia delle Entrate proponeva appello alla CTR della Lombardia e C. srl si costituiva depositando controdeduzioni. La CTR adìta, con la sentenza deliberata il 9 luglio 2012 e depositata il successivo 27 luglio accoglieva l'appello proposto dall'Ufficio e riformava la sentenza di primo grado. Contro la sentenza della CTR della Lombardia la società contribuente propone ricorso deducendo un unico motivo. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Considerato che:
Con il motivo dedotto, che, nel caso di specie, viene trattato ed argomentato come unico, anche se prospettato sotto i due distinti profili dell' «Omessa ovvero insufficiente ovvero contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio (art.62, I° comma, d.lvo. 546/1992 ed art. 360, comma 1, n.5 cod. proc. civ.) » e della «Violazione o falsa applicazione di norme di diritto (art. 62, I° comma, d.lvo n.546/1992 e art. 360, comma 1 n.3, cod. proc. civ. in relazione agli articoli 12,13,14,15,16 e 18 della legge regionale della Regione Lombardia n. 14/1998», la società C. srl lamenta che la CTR abbia ritenuto fondata la tesi dell'Ufficio impositore, di una prosecuzione, nell'anno 2004, dell'attività già in precedenza autorizzata, mentre la ricorrente sostiene che nell'anno di imposta 2004 era priva dell'autorizzazione allo scavo ed estrazione della sabbia perché la precedente autorizzazione era scaduta nel 2002, due anni prima, e la «ripresa» necessitava di nuova autorizzazione non ancora rilasciata e quindi non aveva espletato alcuna attività estrattiva. Ad un primo esame, la formulazione sopra riportata delle censure mosse dalla ricorrente alla decisione della CTR, potrebbe dar adito ad inammissibilità dell'unico motivo proposto a causa della mescolanza e della sovrapposizione di profili di d'impugnazione eterogenei, che fanno riferimento alle diverse ipotesi contemplate dall'art. 360, primo comma, nn. 3, e 5, cod. proc. civ., non essendo consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili incompatibili, quali quello della violazione di norme di diritto, che suppone accertati gli elementi del fatto in relazione al quale si deve decidere della violazione o falsa applicazione della norma, e del vizio di motivazione, che quegli elementi di fatto intende precisamente rimettere in discussione. Tuttavia si tratta di una sovrapposizione solo apparente, in quanto i vari profili di censura sono presentati in modo distinto ed è possibile individuare in modo certo le censure effettivamente mosse nei confronti della decisione impugnata. Il primo dei due profili di censura sopra richiamati è infondato. Va innanzi tutto rilevato che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 20/7/2002, in data quindi anteriore all'entrata in vigore dell'art. 54 I. 7 agosto 2012 n.134, pertanto è prospettabile, ratione temporis, ex art.360 cod. proc. civ., comma 1, n.5 cod. proc. civ., il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione. Peraltro, tale vizio si configura solamente quando dall'esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o insufficiente esame di punti decisivi della controversia prospettati dalle parti o rilevabili d'ufficio, ovvero un insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico giuridico posto a base della decisione. Tale vizio non consiste, invero, nella difformità dell'apprezzamento dei fatti e delle prove preteso dalla parte rispetto a quello operato dal giudice di merito e la deduzione di tale vizio conferisce ai giudice di legittimità non già il potere di riesaminare il merito dell'intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la mera facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, cui, in via esclusiva, spetta il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, di dare prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti ( sul punto si veda, ex plurimis, Cass.7/3/2006,n.4342, Cass. 8718/2005, Cass. 2910/2013, Cass. 17233/2013, Cass. 951/2018, Cass. N.18937/2018). Nel caso di specie la sentenza impugnata contiene una diffusa motivazione che dà atto e valuta comparativamente tutti gli elementi fattuali addotti e nessuna censura, per il profilo indicato, può essere mossa all'impugnata sentenza. La censura mossa alla sentenza impugnata è invece fondata per il secondo dei profili indicati e concernente la violazione degli articoli di legge regionale della Regione Lombardia 8 agosto 1998 n. 14. La rettifica ai fini IRES, IRAP ed IVA, per l'anno 2004, operata dall'Agenzia delle Entrate con l'avviso di accertamento emesso nei confronti della ricorrente, deriva dalla ritenuta infondatezza delle ragioni addotte dalla società contribuente in sede di contradditorio. In tale sede la società ricorrente aveva giustificato la discordanza dei propri risultati economici rispetto a quelli risultanti dallo studio di settore TDO4A, dichiarato dalla società stessa e relativo alle imprese di estrazione di minerali vari, adducendo la circostanza che, nel corso dell'anno 2004, la sua attività era stata limitata alla lavorazione ed alla commercializzazione di sabbia che veniva acquistata da terzi, mentre non vi era stata attività di estrazione in proprio per il mancato rilascio della necessaria autorizzazione provinciale. Nonostante fosse stata addotta tale giustificazione e fosse stato fatto rilevare che lo studio di settore applicato non inquadrava l'attività effettivamente svolta nell'anno 2004 dalla società contribuente, l'Ufficio aveva operato le rettifiche indicate ai sensi dell'art. 62 sexies del d.l. n. 331/93, con i criteri di cui all'art. 39, comma 1, lettera d) del DPR n. 600/73, sulla base delle risultanze dello studio di settore TDO4A, ritenendo non giustificato quanto prospettato dalla società contribuente in sede di contradditorio. Questa Corte ha chiarito che in tema di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore, la relativa procedura costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli "standards" in sé considerati — meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale reddittività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente con il contribuente, il quale, in tale sede, ha l'onere di provare, senza limitazione alcuna di mezzi e di contenuto, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli "standards" o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo di tempo in esame. (Cass. 22 novembre 2018 n. 30230; Cass.20 settembre 2017, n. 21754; Cass. 7 giugno 2017, n. 14091; Cass. 12 aprile 2017, n. 9484). La CTR, nella sentenza impugnata, nel ritenere fondata la rettifica operata dall'Ufficio con l'applicazione, per l'anno 2004, dello studio di settore TDO4A, pone erroneamente a base della sua decisione la presunzione che l'attività estrattiva, nell'anno d'imposta considerato, fosse stata esercitata sulla base di una domanda di proroga della precedente autorizzazione, domanda che avrebbe consentito alla società ricorrente di proseguire l'attività estrattiva «limitatamente alle quantità di e nei limiti areali già autorizzati»; tale domanda è solo presunta e la relativa esistenza non trova fondamento alcuno negli atti. Simile domanda di proroga non può neppure essere in qualche modo ricondotta, come sembra lasci sottintendere la CTR, alla richiesta di autorizzazione presentata alla Provincia di Pavia il 16/4/2004, in quanto tale identificazione costituisce violazione della norma di cui all'art. 13, comma 3, I. reg. 14/1998. Infatti la precedente autorizzazione all'estrazione di sabbia, ottenuta dalla ricorrente il 6/12/1995 aveva una durata iniziale di sette anni, con scadenza il 7 dicembre 2002 e quindi nell'anno 2004 l'autorizzazione era abbondantemente scaduta e sicuramente non poteva essere presentata, ed eventualmente accolta, una richiesta di proroga dei termini di durata di quella autorizzazione: ai sensi dell'art. 13 comma 3 I. reg. n.14/1998 la richiesta avrebbe dovuto essere presentata tre mesi prima della scadenza, quindi entro il 6/9/2002, come appunto recita la norma citata: « La domanda di proroga deve essere presentata almeno 3 mesi prima della scadenza dell'autorizzazione e l'attività, in attesa dell'atto di proroga, può proseguire limitatamente alle quantità di e nei limiti areali già autorizzati.» Inoltre, l'esistenza di una domanda di mera proroga che, sulla base del disposto dell'art. 13 appena citato, avrebbe consentito l'esercizio di attività estrattiva, è contrastata dalla documentazione presentata ed allegata al ricorso. La società contribuente ha prodotto la richiesta di parere preventivo presentata al Comune di T. il 26/2/2004 con la quale chiedeva «il parere di competenza in merito al progetto di ripresa dei volumi già autorizzati (pregressa autorizzazione scaduta) e prosecuzione attività estrattiva ai sensi dell'art. 12 L.R. n.14/1998, come da relazione tecnica ed elaborati grafici allegati». Il preventivo parere del Comune e l'allegazione alla richiesta di autorizzazione di una nuova relazione tecnica e di nuovi elaborati grafici, volti a descrivere il proprio piano estrattivo ed i conseguenti interventi di riassetto ambientale, come imposto dagli articoli 13 e 14 I.reg. 14/1998, costituiscono incombenti non richiesti da una semplice domanda di proroga. Infine la domanda indirizzata alla Provincia di Pavia in data 16/4/2004 e finalizzata al rilascio di nuova autorizzazione, così come previsto dagli articoli 12 e 14 I. reg. Regione Lombardia n. 14/1998, nonché l'autorizzazione rilasciata dalla Provincia di Pavia il 7 luglio 2005, Prot. N. 24379, con la quale si autorizzava «la ripresa dei volumi già autorizzati e la prosecuzione di attività estrattiva su terreni ubicati nel comune di T.» non lasciano adito ad alcun dubbio circa il tipo e la portata del provvedimento richiesto dalla società contribuente e non consente di ritenere fondata la presunta esistenza di una domanda di proroga — distinta o coincidente con la richiesta rivolta alla Provincia il 16/4/2004-, domanda che avrebbe consentito alla contribuente l'esercizio di attività estrattiva nell'anno d'imposta considerato. Da ultimo, ad escludere ogni possibilità di identificare il contenuto di una domanda di mera proroga nella richiesta appena citata, vale richiamare l'attenzione sui termini usati sia dalla ricorrente sia negli atti amministrativi. Infatti un conto è una richiesta di proroga» che è volta ad ottenere il differimento della scadenza di un termine e che è proponibile soltanto quando la scadenza non sia ancora sopravvenuta, altro conto è invece la richiesta di «ripresa» di un'attività, che presuppone un nuovo inizio dopo un'interruzione, verificatasi, nel caso di specie, per effetto della scadenza il 7 dicembre 2002 della precedente autorizzazione. Ritenendo quindi fondato il secondo profilo dell'unico motivo di ricorso, la decisione impugnata va cassata, con rinvio alla CTR della Lombardia, che, in diversa composizione, provvederà all'esame del motivo di gravame, senza incorrere nel vizio sopra rilevato, nonché in ordine al regolamento delle spese relative al presente giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla CTR della Lombardia in diversa composizione cui demanda anche la determinazione delle spese del presente grado di giudizio. Così deciso in Roma il 14 marzo 2019.
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