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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 14639 del 29 maggio 2019
Rilevato che:
La società O. s.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale avviso di accertamento, relativo all'anno d'imposta 2004, con il quale l'Agenzia delle Entrate accertava, ai fini IRES, IRAP e I.V.A., ricavi non contabilizzati, costi indeducibili e costi non inerenti. Deduceva, con riguardo alla contestata mancata contabilizzazione di ricavi, che nell'anno oggetto di accertamento aveva effettuato per conto della C. s.r.l. lavorazioni di oli per euro 348.569,00, per le quali era previsto un calo tecnico o sfrido di lavorazione, e con riferimento ai costi ritenuti indeducibili, che essi riguardavano spese promozionali, di rappresentanza, provvigioni passive ed ammortamenti, per cui erano stati contabilizzati come costi di competenza dell'anno 2003; in relazione, inoltre, agli ammortamenti, precisava di svolgere la propria attività in un opificio di proprietà della I. s.p.a., sottoposta a concordato preventivo, con la quale aveva concluso un contratto di locazione, e che su tale immobile aveva effettuato lavori di manutenzione rientranti nella fattispecie di cui all'art. 102, comma 6, del t.u.i.r. e non nell'art. 108, comma 3, del t.u.i.r., come sostenuto dall'Agenzia delle Entrate. I giudici di primo grado rigettavano il ricorso con sentenza avverso la quale la contribuente proponeva appello, ribadendo le argomentazioni difensive già in precedenza esposte. La Commissione tributaria regionale confermava la sentenza di primo grado, rilevando che i maggiori ricavi accertati dall'Ufficio non potevano subire decurtazioni, non avendo la società prodotto idonea documentazione a sostegno delle proprie deduzioni difensive, e che neppure la società aveva provato la inerenza dei costi sostenuti, per cui la omessa contabilizzazione dei ricavi risultava fondata.
Ricorre per la cassazione della decisione la società O. s.r.l., con due motivi. L'Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
Considerato che:
1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., sostiene che la decisione impugnata è nulla perché non fornisce alcuna valida spiegazione idonea a supportare l'operato dell'Amministrazione finanziaria e risulta superficiale e generica anche nella esposizione dei fatti. Richiamando l'art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, lamenta che i giudici di appello non hanno esplicitato i motivi per cui hanno ritenuto di condividere la sentenza dì primo grado e di respingere le doglianze della contribuente.
1.1. Deve, in primo luogo, evidenziarsi che, nonostante l'errato riferimento, da parte della ricorrente, al n. 3 dell'art. 360 cod. proc. civ., anziché al n. 4 dello stesso art. 360 cod. proc. civ., la censura si sostanzia nella denunzia di nullità della sentenza impugnata per difetto assoluto di motivazione. Questa Corte ha affermato che, seppure il ricorso per cassazione deve essere articolato in specifici motivi, riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione espressamente e tassativamente previste dall'art. 360 cod. proc. civ., non è necessaria l'esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi, purchè il contenuto del motivo rechi univoco riferimento allo specifico vizio dedotto (Cass. Sez. U, n. 17931 del 24/7/2013). Nel caso di specie, la società contribuente lamenta la mancata esposizione, nella sentenza gravata, delle ragioni che hanno indotto il giudice a confermare l'accertamento operato dall'Ufficio ed a disattendere le questioni prospettate dalla società, sottolineando che la Commissione regionale ha in sostanza aderito in modo acritico alla tesi prospettata da una delle parti, e deduce, pertanto, nullità della sentenza.
1.2. Premesso ciò, la censura è infondata. Secondo la giurisprudenza di questo giudice di legittimità, la motivazione è solo «apparente» e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all'interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U, Sentenza n. 22232 del 03/11/2016). Ciò non ricorre nel caso in esame, laddove la Commissione regionale, sia pure con motivazione estremamente sintetica, ha ritenuto di confermare quanto statuito dai giudici di primo grado, non condividendo le argomentazioni addotte dalla contribuente a sostegno dei motivi di appello, sia in ordine alla sufficiente motivazione dell'atto impositivo, anche per relationem, sia in ordine alla indeducibilità dei costi per difetto del requisito di inerenza all'attività svolta ed alla omessa contabilizzazione di maggiori ricavi. Trattasi di motivazione che esplicita le ragioni della decisione, per cui i profili di genericità ed apodicittità della motivazione, pure censurati con il mezzo in esame, non viziano tale motivazione in modo così radicale da renderla meramente apparente e da escludere l'idoneità della stessa ad assolvere alla funzione di cui all'art. 36 del d.lgs. n. 546/1992.
2. Con il secondo motivo, si deduce omessa e/o insufficiente motivazione su un fatto decisivo per il giudizio. La ricorrente, trascrivendo uno stralcio dell'atto di appello, deduce di avere spiegato nel corso del giudizio di merito l'errore compiuto dai verificatori nella determinazione dei maggiori ricavi valutati come non contabilizzati, specificando che essi erano da ricondurre a sfridi e cali tecnici di lavorazione, ma che i giudici di appello si sono limitati ad affermare che «...non era stata prodotta valida documentazione...» a sostegno delle argomentazioni difensive; lamenta pure che, nonostante avesse giustificato i costi ritenuti indeducibili, la Commissione regionale non ha chiarito le ragioni che sorreggono il recupero a tassazione di detti costi, né quelle che consentono di ricondurre le spese sostenute per la manutenzione dell'opificio tra quelle indicate dall'art. 108, comma 3, del t.u.i.r., anziché nell'ipotesi contemplata dall'art. 102, comma 6, del d.P.R. n. 917/1986.
3. Il motivo è fondato. Secondo l'orientamento di questa Corte con riferimento all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ., vigente ratione temporis, ai fini della sufficienza della motivazione, quando esamina i fatti di prova, il giudice non può limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la sua valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve anche descrivere il processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della dichiarazione stessa (Cass. n. 15964 del 29/7/2016; Cass. n. 13294 del 28/6/2016, in motivazione; Cass. n. 1236 del 23/1/2006). Alla luce del suddetto principio, le affermazioni contenute nella sentenza impugnata, secondo cui «i ricavi, così come accertati dall'Ufficio, non possono meritare decurtazione, tenuto conto che gli appellanti non hanno prodotto valida documentazione a sostegno», «...per quanto attiene le spese di ristorazione, gli appellanti non hanno fornito prova valida in ordine all'inerenza dell'attività svolta...», «...gli appellanti non hanno dimostrato l'inerenza dei costi sostenuti, producendo valida documentazione, né hanno fornito dettagliate osservazioni in ordine al recupero a tassazione dei costi ritenuti non inerenti dall'Ufficio...» risultano apodittiche e non adeguatamente motivate, avendo il giudice d'appello omesso di prendere in esame gli elementi di fatto contrari dedotti dalla contribuente con i motivi di gravame e richiamati in ricorso.
4. In conclusione, in accoglimento del secondo motivo, rigettato il primo, la sentenza impugnata va cassata e va disposto il rinvio alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, che provvederà al riesame, oltre che alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo ed accoglie il secondo motivo di ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale del Lazio, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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