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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 13749 del 22 maggio 2019
FATTI DI CAUSA
La G. srl presentava la dichiarazione IVA per l'anno 2004 riportandovi un credito IVA per euro 173.083,72 asseritamente risultante dalla dichiarazione precedente. L'Agenzia delle Entrate, non risultando affatto presentata la dichiarazione per l'anno 2003, procedeva all'accertamento automatizzato della inesistenza del credito vantato con conseguente rettifica della dichiarazione ex artt. 36 bis d.p.r. 600/1973 e 54 bis d.p.r. 633/1972 ed emissione di cartella. La società impugnava tale cartella deducendo, a parte vari vizi formali dell'atto, la esistenza del credito portato in detrazione, in quanto risultante dai registri Iva e dalle liquidazioni periodiche. La Commissione Tributaria Provinciale con sentenza del 5 novembre 2008, pur confermando la effettività del credito Iva, rigettava il ricorso ritenendo che «la società con il suo comportamento omissivo ha tuttavia rinunciato ad una delle opzioni consentite dalla legge, e cioè al riporto del credito nell'anno successivo»: dava peraltro atto della ammissibilità di un recupero dell'Iva con la domanda di rimborso. La sentenza era integralmente confermata dalla Commissione Tributaria Regionale con sentenza 1/2/2011 del 18 gennaio 2011 avverso la quale la società contribuente proponeva ricorso per cassazione il 14 novembre 2012. Nelle more di tale contenzioso, il 28 dicembre 2007 la società presentava una richiesta all'Agenzia delle Entrate chiedendo: - il riconoscimento del credito Iva di euro 173.083,72 risultante dalla dichiarazione Modello Unico 2005 per l'anno 2004 con conseguente compensazione: - in subordine il rimborso del credito ex art, 21, comma 2, d.lgs 546/1992. Non intervenendo alcuna risposta, la società impugnava il silenzio rifiuto chiedendo il riconoscimento del credito Iva per l'anno 2003 sulla scorta della contabilità con compensazione con i successivi debiti, ovvero il rimborso. La Commissione Tributaria Provinciale accoglieva il ricorso. La Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza 8/26/2013 del 4/2/2013, oggetto della odierna impugnazione, rigettava l'appello della Agenzia delle Entrate, fondato sulla intervenuta decadenza del diritto al rimborso, richiesto oltre due anni dopo il pagamento dell'Iva in eccesso. In particolare, la CTR dava atto che, essendovi alternatività tra diritto alla detrazione e diritto al rimborso, quest'ultimo era sorto solo nel momento del diniego della possibilità di detrazione originariamente richiesta dal contribuente.
L'Agenzia delle Entrate ricorre contro tale decisione con un unico motivo con il quale deduce la violazione e falsa applicazione dell'art. 21, d. Igs. n. 546/1992 e degli artt. 19, 28 e 30, d.p.r. n. 633/1972, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, cod. proc. civ. Ritiene che la CTR abbia violato il principio di alternatività tra diritto alla detrazione e diritto al rimborso sancito dall'art. 30, comma 1 del D.P.R. n. 633/1972. La società G. con il proprio controricorso: deduce quale motivo di ricorso incidentale la violazione dell'art. 2697 cod. civ. in relazione all'articolo 360, comma 1, numero 4, cod. proc. civ. Ribadisce l'inammissibilità dell'atto di appello in quanto sottoscritto da funzionario dell'ufficio controlli senza prova della delega da parte del direttore dell'ufficio; erroneamente è stato affermato che l'onere della prova della carenza di poteri del funzionario spettasse ad essa società ricorrente. Deduce quali motivi di controricorso: l'eccezione di giudicato esterno in quanto le sentenze delle CT nella diversa vertenza avverso la cartella esattoriale hanno riconosciuto il diritto al rimborso non essendo stato possibile procedere alla detrazione. la infondatezza degli argomenti del ricorso. L' Agenzia delle Entrate ha presentato controricorso con il quale rileva che non si è formato giudicato esterno non essendovi pronuncia suscettibile di passaggio in giudicato sull'accertamento del diritto rimborso e ribadisce la regolarità dell'atto di appello.
RAGIONI DELLA DECISIONE
I ricorsi sono infondati. Va innanzitutto escluso che, come eccepito, l'atto di appello dell'ente fosse inammissibile. La stessa ricorrente incidentale non contesta affatto che l'atto di appello provenga dalla Agenzia delle Entrate bensì fonda la propria eccezione sul fatto che risulti «sottoscritto dal funzionario capo dell'ufficio controlli, senza che fosse stata data prova della delega da parte del Direttore dell'Ufficio». Va quindi applicata la regola, affermata in situazioni simili, secondo la quale si deve presumere che l'atto di impugnazione sia regolare in quanto sottoscritto da un soggetto che possa rappresentare la volontà dell'ente, spettando quindi alla controparte dimostrare nel caso concreto la carenza del potere di impugnare la sentenza in capo al soggetto che ha sottoscritto l'impugnazione (si veda, tra le varie, Sez. 6 - 5, Decreto n. 15470 del 26/07/2016 (Rv. 640640 - 01) in tema di appello proposto dall'ufficio periferico). Il ricorso incidentale, quindi, va rigettato.
L'unico motivo di ricorso è infondato.
Gli argomenti della ricorrente sono basati sulla esistenza di distinti ed alternativi "diritto alla detrazione" e "diritto al rimborso" e, in conseguenza, afferma che la decorrenza del termine di decadenza per esercitare il secondo è indipendente dall'esercizio del diritto alla detrazione. L'errore della sentenza impugnata, quindi, sarebbe stato quello di fare partire il termine di decadenza del diritto al rimborso dal momento del diniego della detraibilità. La situazione, sempre a dire della ricorrente, sarebbe la stessa considerata nella ordinanza n. 5224/12 di questa Corte di Cassazione che, appunto, avrebbe escluso tale decorrenza differita del termine di decadenza sostenendo, invece, la tesi della Agenzia delle Entrate, ovvero che i due anni per la richiesta di rimborso decorrevano dal momento del versamento dell'Iva in eccedenza. Tale affermazione è infondata per ragioni che sono chiaramente desumibili proprio dalla ordinanza invocata: l'art. 30 d.p.r. 633/1972 prevede un unico diritto al recupero dell'eccedenza Iva che si può esercitare o con la detrazione o la richiesta di rimborso ("... diritto di computare l'importo dell'eccedenza in detrazione nell'anno successivo, ovvero di chiedere il rimborso nelle ipotesi di cui ai commi successivi e comunque in caso di cessazione di attività ...3. Ed è proprio quello che si legge nella ordinanza 5224/12 ("detrazione e rimborso d'imposta sono manifestazioni alternative del medesimo diritto, ancorché non subordinate ai medesimi presupposti") che interveniva nella assolutamente diversa situazione in cui la parte non aveva chiesto la detrazione, quindi non aveva affatto esercitato - correttamente o meno - il diritto al recupero dell'eccedenza. È ovvio, quindi, che in quel caso non potesse spostarsi nel tempo il termine per il rimborso a quello di inutile esaurimento di quello per richiedere la detrazione; ma ciò non ha alcun rilievo nella diversa situazione qui in discussione. La G., con la richiesta di detrazione dell'Iva, aveva esercitato il diritto al recupero del pagamento in eccesso di tale imposta: se, quindi, la Agenzia ricorrente intende fare valere una decadenza rispetto all'esercizio del diritto al recupero dell'Iva, va considerato che tale diritto era stato tempestivamente esercitato con l'opzione della richiesta di detrazione. Se, invece, intende fare valere il mancato rispetto del termine per la proposizione del ricorso, anche in tale caso non vi è stata alcuna decadenza in quanto il presupposto per la restituzione si è verificato con il diniego della opzione di recupero dell'Iva mediante detrazione. Difatti solo con tale diniego è divenuto necessario percorrere la diversa via per il recupero dell'Iva.
E' del resto evidente che l'effetto della lettura della ricorrente sarebbe nel senso che, una volta chiesta la detrazione dell'Iva commettendo un qualsiasi errore, a fronte del diniego successivo, tenuto conto dei tempi di dichiarazione e intervento dell'Amministrazione, si realizzerebbe pressoché sempre la decadenza dal diritto al rimborso. La considerazione del complessivo contenzioso sorto per la vicenda, in relazione alla indebita detrazione Iva a fronte della omissione di presentazione della dichiarazione che consentiva formalmente tale modalità di recupero e, d'altra parte, l'indebito diniego di restituzione dell'eccesso di imposta versata, integra giusti motivi per la piena compensazione delle spese di tutti i gradi del giudizio.
Per questi motivi la Corte:
Rigetta il ricorso e compensa le spese di tutti i gradi del giudizio. Ai sensi dell'art. 13, comma 1 quater del d.P.R. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13. Così deciso nella camera di consiglio dell'11 settembre 2018.
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