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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 14027 del 23 maggio 2019
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza n.202/25/13 pubblicata il 4 luglio 2013 la Commissione Tributaria Regionale della Puglia, sezione distaccata di Foggia, ha confermato la sentenza n. 108/7/12 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di Foggia con la quale era stato accolto il ricorso proposto da P. avverso il diniego di rimborso dell'Agenzia delle Entrate delle somme corrisposte a titoli di IRAP per gli anni dal 2006 al 2010. La Commissione Tributaria Regionale ha considerato che il contribuente, medico generico convenzionato con la A.S.L. di competenza, aveva provato la mancanza del requisito dell'autonoma organizzazione necessario per l'applicazione dell'imposta; in particolare, svolgeva la propria attività di medico presso la A.S.L. avvalendosi, dal punto di vista organizzativo, solo di uno studio e di una segretaria che non costituiscono elementi qualificanti la sua attività che si svolgeva invece solo personalmente senza l'ausilio di alcuno. L'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su tre motivi. P. non si è costituito.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo si lamenta violazione e/o falsa applicazione degli artt. 2 e 3 del d.lgs. n. 446 del 1997 e violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2697 cod. civ. con riferimento alla sussistenza dell'autonoma organizzazione comprovata dal costo per personale dipendente risultante dalla dichiarazione dei redditi del contribuente, e con la conseguente sussistenza del presupposto dell'applicazione dell'IRAP, e della violazione del principio dell'onere della prova da parte del medesimo contribuente che non avrebbe fornito la prova dell'assenza dell'autonoma organizzazione presupposto della stessa imposta. Il motivo è infondato. La decisione impugnata, invero, non si discosta dai principi regolatori della materia definitivamente certificati da Cass., Sez. Un., Sentenza n. 9451 del 10/05/2016, laddove si afferma che, «con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 446/1997, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente; a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive». A sostegno di tale principio, le Sezioni Unite hanno rimarcato che, «se fra "gli elementi suscettibili di combinarsi con il lavoro dell'interessato, potenziandone le possibilità necessarie", accanto ai beni strumentali vi sono i mezzi "personali" di cui egli può avvalersi per lo svolgimento dell'attività, perché questi davvero rechino ad essa un apporto significativo occorre che le mansioni svolte dal collaboratore non occasionale concorrano o si combinino con quel che è il proprium della specifica professionalità espressa nella "attività diretta alla scambio di beni a di servizi", di cui fa discorso l'art. 2 del d.lgs. n. 446/1997, e ciò vale tanto per il professionista che per l'esercente l'arte, come, più in generale, per il lavoratore autonomo ovvero per le figure "di confine" individuate nel corso degli anni dalla giurisprudenza di questa Corte. E', infatti, in tali casi che può parlarsi, per usare l'espressione del giudice delle leggi, di "valore aggiunto" o, per dirla con le pronunce della sezione tributaria del 2007, di "quel qualcosa in più". Diversa incidenza assume perciò l'avvalersi in modo non occasionale di lavoro altrui quando questo si concreti nell'espletamento di mansioni di segreteria o generiche o meramente esecutive, che rechino all'attività svolta dal contribuente un apporto del tutto mediato o, appunto, generico. Lo stesso limite segnato in relazione ai beni strumentali - "eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza dì organizzazione" - non può che valere, armonicamente, per il fattore lavoro, la cui soglia minimale si arresta all'impiego di un collaboratore»; orbene, dalla lettura combinata della sentenza d'appello e del ricorso per cassazione emerge che, nella specie, il thema decidendum riguarda soltanto l'utilizzo di un lavoratore dipendente non occasionale e segnatamente di una segretaria che non influisce sull'attività produttiva del contribuente costituendone solo un supporto pratico e organizzativo, il che esclude che i parametri enunciati dalle Sezioni Unite siano stati superati, nella specie, dall'attività del contribuente stesso.
Con il secondo motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, n. 4 d.lgs. 546 del 1992 in relazione all'art. 360, n. 3 cod. proc. civ.
Con il terzo motivo si lamenta insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia in riferimento all'art. 360, n. 5 cod. proc. civ. Tali motivi possono esaminarsi congiuntamente riferendosi entrambi alla motivazione della sentenza e si lamenta che il giudice dell'appello ha considerato irrilevanti i dati risultanti dalla dichiarazione dei redditi e non avrebbe valutato correttamente la presenza di personale dipendente. I motivi sono inammissibili. Come detto, il giudice dell'appello ha considerato che la segretaria non influisce sull'attività del medico convenzionato che svolge autonomamente il suo incarico di medico generico. Ai fini della completezza della motivazione censurata con i motivi in esame, la sentenza appare corretta. Nel merito il giudice ha dato conto del suo convincimento in relazione all'elemento costituito dalla presenza di una dipendente, legittimo per quanto considerato al motivo che precede, per cui nessuna censura può essere mossa sotto il profilo della sufficiente motivazione che, in realtà la ricorrente censura nel merito in modo non consentito in sede di legittimità. Del resto, il citato art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ. non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico-formale e della correttezza giuridica, l'esame e la valutazione operata dal giudice del merito al quale soltanto spetta individuare le fonti del proprio convincimento, e, in proposito, valutarne le prove, controllarne l'attendibilità e la concludenza, scegliendo, tra le varie risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione. Risultando soccombente l'unica parte costituita, nulla si dispone sulle spese del presente giudizio. Risultando soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1 quater d.P.R. 30 maggio 2002, n. 515 (nel caso di prenotazione a debito il contributo non è versato ma prenotato al fine di consentire, in caso di condanna della controparte alla rifusione delle spese in favore del ricorrente, il recupero dello stesso in danno della parte ricorrente).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; Nulla sulle spese. Roma, 9 aprile 2019
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