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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 10656 del 17 aprile 2019
FATTI DI CAUSA
Con ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Caserta V. impugnava l'avviso di accertamento con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva rideterminato maggiori ricavi derivanti dall'attività di commercio al dettaglio di articoli di pelletteria, con conseguente recupero a tassazione di maggiori imposte ai fini IRPEF, IRAP e I.V.A., in relazione all'anno d'imposta 2008. I giudici di primo grado accoglievano il ricorso con sentenza che veniva impugnata dall'Ufficio dinanzi alla Commissione tributaria regionale che, con la sentenza indicata in epigrafe, lo accoglieva parzialmente, rideterminando il maggior reddito nella misura di euro 28.068,00. I giudici di appello, in particolare, rilevato che l'accertamento traeva origine da una verifica dell'inventario fisico del magazzino, da cui era stata desunta la giacenza, il cui valore era stato ottenuto mediante l'applicazione del prezzo finale di vendita dei prodotti al netto della percentuale di ricarico del 79 per cento e dell'I.V.A. (20%), osservavano, aderendo alla sentenza di primo grado, che il computo della percentuale di ricarico non aveva tenuto conto della circostanza che il prezzo del cartellino non costituiva il prezzo reale di vendita e che, di conseguenza, «tenuto conto delle defalcazioni che il commerciante pratica sui prezzi di cartellino, che portano ad abbattere la percentuale di ricarico nella minore percentuale del 60%», doveva procedersi al ricalcolo del valore della giacenza, sul quale doveva essere applicata la nuova percentuale di ricarico (60 per cento), con la conseguenza che la differenza fra i valori contabili e quelli riscontrati conduceva ad una rideterminazione dell'ammontare dei ricavi non documentati. Quanto alle altre censure rivolte all'atto impositivo, ritenevano che esse non fossero in grado di inficiare la metodologia dell'accertamento, che poteva basarsi sulle tipologie di merci e sulle operazioni ritenute più signifcative e che, peraltro, a fronte di precisi dati contabili utilizzati dall'Ufficio, la contribuente non aveva offerto alcuna prova idonea a scalfirne l'attendibilità, essendosi piuttosto limitata ad una generica contestazione priva di riscontro probatorio. Ricorre per la cassazione della suddetta decisione V., con un unico motivo. L'Agenzia delle Entrate resiste mediante controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Con un unico motivo, la contribuente deduce «omesso o insufficiente esame circa fatti decisivi per il giudizio oggetto di discussione, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., illegittimità dell'azione accertativa per violazione e falsa applicazione, ex art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ., degli artt. 39, primo comma, lett. c) e d) del d.P.R. n. 600/1973, 54 del d.P.R. n. 633/1972, 2697 e 2729 cod. civ., 92 del d.P.R. n. 917/1986, nonché degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ.». Sostiene che la sentenza impugnata si caratterizza per l'estrema superficialità e contraddittorietà delle conclusioni, oltre che per l'omessa considerazione di elementi di fatto e di diritto che hanno riguardato la vicenda, e contesta sia la metodologia di determinazione della media ponderata di ricarico calcolata dai verificatori, atteso che le merci in giacenza non potevano essere valutate in base al prezzo di acquisto, sia la rimodulazione della percentuale di ricarico operata dai giudici di appello. Addebita alla Commissione regionale di avere omesso di esaminare tutte le allegazioni dalla stessa offerte e di avere stabilito una riduzione della percentuale di ricarico dal 79 per cento al 60 per cento in assenza dì indicazione dei criteri di calcolo adottati. Precisa, altresì, che l'impugnazione dell'avviso di accertamento relativo all'anno d'imposta 2007, scaturito dal medesimo processo verbale di constatazione, è stata definita con sentenza d'appello che ha annullato l'atto impositivo ritenendo inattendibile la metodologia di determinazione della percentuale di ricarico. Sottolinea che sin dal ricorso introduttivo aveva evidenziato che la determinazione della percentuale di ricarico era inficiata da numerosi errori materiali e di metodo, in assenza dei quali si sarebbe pervenuti ad un risultato ben diverso, facendo rilevare che: a) i verificatori, al fine di stabilire la percentuale di ricarico, avevano quantificato gli acquisti (dal 2005 al 2008) di sole quattro categorie di articoli commercializzati, ossia borse, cartelle, portafogli e valigie; successivamente avevano redatto un prospetto nel quale, per ognuna delle predette categorie merceologiche, avevano proceduto alla comparazione dei prezzi di vendita (del 2008) con i prezzi di acquisto rilevati dal 2005 al 2008, addivenendo ad una percentuale di ricarico del 79 per cento, su cui si fondava l'accertamento, tralasciando numerosi beni che costituivano un costo di acquisto complessivo pari al 37,42 per cento del totale; b) la Guardia di Finanza aveva determinato la percentuale di ricarico comparando i prezzi di vendita esposti al pubblico nel 2008 con i prezzi di acquisto degli anni precedenti, anziché prendere in esame i prezzi di vendita, depurati degli sconti, di ogni singolo periodo d'imposta per poi confrontarli con i prezzi di acquisto parimenti rilevati in ogni singola annualità; c) il prezzo di vendita considerato dai verificatori corrispondeva a quello dei "cartellini", ossia al prezzo "consigliato" dalle aziende fornitrici, e non teneva conto dello sconto normalmente concesso, né di quello praticato nei periodi dei saldi, durante i quali lo sconto si attestava fra il 30 ed il 50 per cento, fino a raggiungere anche il 70-80 per cento per alcuni beni; d) per il calcolo della percentuale di ricarico erano state considerate n. 16 fatture di acquisto su 764 quantità di articoli registrati nel periodo considerato e su circa 21.969 quantità di articoli rilevati dalle fatture di acquisto erano stati esaminati i prezzi di solo 18 articoli; e) nel prospetto di calcolo del ricarico (allegato al processo verbale di constatazione) erano stati rilevati errori materiali afferenti sia i prezzi che gli stessi articoli. Lamenta, pertanto, che di tutti gli elementi di fatto offerti e provati documentalmente i giudici di appello non hanno tenuto minimamente conto, avendo omesso di farne specifica menzione nella motivazione della sentenza, e che la procedura adottata dai verificatori non risulta fondata su dati precisi, certi e verosimili, ma su calcoli non affidabili, dovendo il valore corretto delle rimanenze essere ricavato dalle scritture contabili, costituite da appositi registri in cui sono stati annotati tutti gli articoli acquistati e sono stati depennati quelli venduti. La ricorrente assume, inoltre, che la Commissione regionale sarebbe incorsa nei vizi di violazione di legge denunciati in rubrica, in quanto nel caso di specie non sussiste alcun elemento certo o noto a cui ancorare il fatto ignoto, non essendovi certezza che i prezzi di vendita considerati dai verbalizzanti per la determinazione della percentuale di ricarico siano quelli effettivamente praticati.
2. Va, preliminarmente, rilevato che la sentenza n. 1882/33/2014, prodotta unitamente al ricorso, con la quale la Commissione tributaria provinciale di Napoli ha accolto l'appello della contribuente concernente l'impugnazione dell'avviso di accertamento per l'anno 2007, scaturito dal medesimo processo verbale di constatazione da cui trae origine l'atto impositivo oggetto di impugnazione in questa sede, non risulta munita dell'attestazione di passaggio in giudicato e che, in ogni caso, anche laddove fosse divenuta definitiva, non potrebbe spiegare efficacia vincolante nel presente giudizio con riferimento alla pretesa tributaria oggetto dell'avviso di accertamento in esame.
2.1. Come è stato costantemente evidenziato da questa Corte, le controversie in materia di I.V.A. sono soggette a norme comunitarie imperative, la cui applicazione non può essere ostacolata dal carattere vincolante del giudicato nazionale, previsto dall'art. 2909 c.c., e dalla sua eventuale proiezione oltre il periodo di imposta, che ne costituisce specifico oggetto, atteso che, secondo quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia CE 3 settembre 2009, in causa C-2/08, la certezza del diritto non può tradursi in una violazione dell'effettività del diritto euro-unitario (Cass. n. 8855 del 04/05/2016; Cass.n. 16996 del 5/10/2012; Cass. n. 9710 del 19/4/2018).
2.2. Relativamente alle imposte sui redditi, si ripropone la questione dei limiti in cui è configurabile nel processo tributario l'istituto del giudicato esterno e la sua efficacia espansiva. Secondo i principi enunciati dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 13916 del 16/6/2006, «qualora due giudizi tra le stesse parti abbiano riferimento al medesimo rapporto giuridico, ed uno di essi sia stato definito con sentenza passata in giudicato, l'accertamento così compiuto in ordine alla situazione giuridica ovvero alla soluzione di questioni di fatto e di diritto relative ad un punto fondamentale comune ad entrambe le cause, formando la premessa logica indispensabile della statuizione contenuta nel dispositivo della sentenza, preclude il riesame dello stesso punto di diritto accertato e risolto, anche se il successivo giudizio abbia finalità diverse da quelle che hanno costituito lo scopo ed il petitum del primo»; e «tale principio non trova deroga in caso di situazioni giuridiche di durata, giacchè anche in tal caso l'oggetto del giudicato è un unico rapporto e non gli effetti verificatisi nel corso del suo svolgimento, e conseguentemente neppure il riferimento al principio dell'autonomia dei periodi di imposta può consentire un'ulteriore disamina tra le medesime parti della qualificazione giuridica del rapporto stesso contenuta in una decisione della commissione tributaria passata in giudicato».
2.3. In applicazione dei suddetti principi, questa Corte, con pronunce successive a quella delle Sezioni Unite ha ribadito che «La sentenza del giudice tributario con la quale si accertano il contenuto e l'entità degli obblighi del contribuente per un determinato anno d'imposta fa stato con riferimento alle imposte dello stesso tipo dovute per gli anni successivi solo per quanto attiene a quegli elementi costitutivi della fattispecie che, estendendosi ad una pluralità di periodi di imposta (ad es. le qualificazioni giuridiche preliminari all'applicazione di una specifica disciplina tributaria), assumano carattere tendenzialmente permanente, mentre non può avere alcuna efficacia vincolante quando l'accertamento relativo ai diversi anni si fondi su presupposti di fatto potenzialmente mutevoli» (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 20029 del 30/09/2011; Cass. n. 6953 del 8/4/2015).
2.4. Il giudicato opera, pertanto, solo in riferimento al medesimo rapporto giuridico o titolo negoziale e all'accertamento di un punto fondamentale comune quale premessa logica indispensabile della statuizione che ne precluda il riesame, sicchè detta efficacia trova ostacolo in relazione a presupposti d'imposta non aventi caratteristiche di durata e comunque tendenzialmente variabili da periodo a periodo (Cass. n. 24433 del 30/10/2013; Cass. n. 14353 del 8/6/2017), risultando, invece, irrilevante il mero coinvolgimento di tratti storici eventualmente similari (Cass. n. 1837 del 29/1/2014).
2.5. In conformità ai principi sopra richiamati, deve, pertanto, escludersi che la sentenza n. 1883/33/2014 pronunciata dalla Commissione tributaria provinciale di Napoli tra le stesse parti possa spiegare effetti preclusivi nel presente giudizio relativo ad avviso di accertamento emesso in relazione a diverso anno d'imposta (2008), in quanto, sebbene i diversi avvisi di accertamento scaturiscano da una medesima verifica, i presupposti fattuali che caratterizzano i diversi anni d'imposta variano da periodo a periodo e non hanno carattere permanente.
3. Passando all'esame del mezzo di ricorso che investe più profili di doglianza, va rilevato che la contribuente non si limita a contestare la percentuale di ricarico applicata dai verificatori, ma sostiene pure che i giudici d'appello, in assenza di espressa indicazione dei criteri posti a base della valutazione, hanno erroneamente proceduto ad una rimodulazione della percentuale di ricarico sulla merce venduta, riducendola forfettariamente dal 79 per cento al 60 per cento.
3.1. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, dalla natura del processo tributario - il quale non è annoverabile tra quelli di «impugnazione - annullamento», ma tra i processi di «impugnazione - merito», in quanto non è solo diretto alla eliminazione giuridica dell'atto impugnato, ma alla pronuncia di una decisione di merito sostitutiva sia della dichiarazione resa dal contribuente che dell'accertamento dell'Ufficio, discende che, ove il giudice tributario ritenga invalido l'avviso di accertamento non per motivi formali, ma per motivi di carattere sostanziale, non può limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura, entro i limiti posti dalle domande di parte (Cass. n. 17127 del 3/8/2007; Cass. n. 15825 del 12/7/2006).
3.2. Dalla sentenza impugnata si evince che i giudici regionali, nel censurare la decisione resa dalla Commissione provinciale - la quale, anziché procedere ad una autonoma valutazione della ricostruzione del reddito effettuata dall'Ufficio, si era limitata ad annullare integralmente l'atto impositivo - tenuto conto « delle defalcazioni che il commerciante pratica sui prezzi di cartellino che portano ad abbattere la percentuale di ricarico nella minore percentuale del 60%», hanno ritenuto di poter procedere al ricalcolo del valore delle giacenze relative all'anno 2008 e ad una diversa quantificazione delle vendite non documentate di merci, che sono state stimate pari ad euro 28.068,00, a fronte dell'importo di euro 43.193,70 contestato. La Commissione regionale ha, quindi, riconosciuto la legittimità dell'accertamento analitico induttivo effettuato dall'Ufficio ai sensi dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600/1973 e l'esistenza di presunzioni gravi, precise e concordanti, che, attraverso una percentuale di ricarico applicata al costo del venduto di diverse categorie merceologiche di beni, ha condotto l'Ufficio ad accertare maggiori ricavi, ma ha comunque diminuito l'ammontare di questi attraverso una riduzione di natura equitativa della percentuale di ricarico applicata in sede di verifica.
3.3. I giudici regionali, in tal modo, aderendo alla tesi difensiva della contribuente secondo cui il computo della percentuale di ricarico non aveva tenuto conto della circostanza che il prezzo del cartellino non costituisse il prezzo reale di vendita, hanno proceduto ad un abbattimento dei ricavi accertati in base ad un ragionamento di tipo equitativo, non consentito al giudice tributario che non ha poteri di equità sostitutiva, dovendo il giudizio
estimativo essere motivato in rapporto al materiale istruttorio (Cass. n. 11354 del 3/9/2001; n. 24520 del 21/11/2005; Cass. n. 4442 del 24/2/2010; Cass. n. 25707 del 21/12/2015; Cass. n. 7534 del 23/3/2018).
3.4. Il percorso argomentativo seguito dalla Commissione regionale non consente, infatti, di verificare i criteri e le ragioni sulla base di quali essa sia stata indotta a ridurre i maggiori ricavi accertati previa applicazione di un diverso indice di ricarico apoditticamente individuato, atteso che le conclusioni cui essa perviene non sono supportate dalla dimostrazione di elementi di determinazione del reddito fondati su specifiche prove, ma sono piuttosto volte a determinare il reddito sulla base di valutazioni di tipo equitativo, non ammesse.
3.5. La sentenza gravata, forfettizzando la riduzione della percentuale di ricarico (dal 79 per cento al 60 per cento), in assenza della indicazione di validi riscontri probatori desunti da elementi fattuali certi, è, quindi, censurabile per violazione dell'art. 2729 cod. civ., tenuto conto della struttura logica della prova per presunzioni.
3.6. Come è stato chiarito dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 9961 del 28/4/2006, nella prova per presunzioni, ai sensi degli artt. 2727 e 2729 cod. civ., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità (Cass. 5 luglio 1990, n. 1621; Cass. 30 gennaio 1990, n. 644; Cass. 16 novembre 1989, n. 4878): basta che l'inferenza tra il fatto noto e quello ignoto sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal giudice per giungere all'espresso convincimento circa tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto supposto con quello accertato (Cass. 18 settembre 1991, n. 9717; Cass. 4 maggio 1985, n. 2790).
3.7. Ne consegue che «in tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione e concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all'art. 360, primo comma, n. 3 cod. proc. civ. (e non già alla stregua del n. 5 dello stesso art. 360), competendo alla Corte di Cassazione, nell'esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell'art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di proclamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell'applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta» (Cass. 4 agosto 2017, n. 19485; Cass. 26 giugno 2008, n. 17535).
3.8. Considerato che l'art. 2729 c.c. ammette solo le presunzioni che abbiano i connotati della gravità, precisione e concordanza, laddove: la «precisione» va riferita al fatto noto (indizio) che costituisce il punto di partenza dell'inferenza e postula che esso non sia vago, ma ben determinato nella sua realtà storica; la «gravità» va ricollegata al grado di probabilità della sussistenza del fatto ignoto che, sulla base della regola d'esperienza adottata, è possibile desumere da quello noto; la «concordanza» richiede che il fatto ignoto sia, di regola, desunto da una pluralità di indizi gravi e precisi, univocamente convergenti nella dimostrazione della sua sussistenza (Cass. n. 2482 del 29/01/2019), risulta evidente che, nella specie, il ragionamento presuntivo operato dalla Commissione regionale, la quale si è limitata a desumere minori ricavi rispetto a quelli contestati dall'Ufficio sulla base di una stima forfettaria del ricarico esclusivamente fondata su una valutazione equitativa, risulta viziato.
4. La accertata fondatezza della suddetta censura consente di ritenere assorbiti gli altri profili di doglianza dedotti dalla ricorrente.
5. La sentenza va, pertanto, cassata in relazione al motivo accolto, con rinvio alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, affichè proceda al riesame del merito, nonché alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale
della Campania, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 marzo 2019
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