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Caso di esenzione dall’IVA per le spese di trasporto (in quanto prestazioni accessorie). Confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

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Estratto: “ai fini del riconoscimento dell'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto alle prestazioni accessorie, fra cui i servizi di trasporto, è condizione necessaria e sufficiente che il loro valore sia compreso nella base imponibile, non essendo richiesto che tali prestazioni siano state effettivamente assoggettate all'imposta sul valore aggiunto in dogana, all'atto dell'importazione”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 9215 del 3 aprile 2019

FATTI DI CAUSA

1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 28 settembre 2010, di reiezione dell'appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della F. coop. a r.l. per l'annullamento dell'avviso di accertamento con cui, relativamente all'anno 2000, era stata contestata la dichiarazione di operazioni non imponibili, aventi ad oggetto prestazioni di trasporto di beni in uscita dallo Stato di San Marino ed ingresso nello Stato italiano, e recuperata l'i.v.a. non versata.

2. Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha respinto il gravame dell'Amministrazione finanziaria ritenendo non imponibili i corrispettivi dei servizi di trasporto relativi a beni in importazione dallo Stato di San Marino, in quanto già assoggettati ad imposizione perché, aggiunti al corrispettivo del bene ceduto, erano inclusi nella base imponibile, a nulla rilevando l'impossibilità di determinare e riscuotere l'imposta nella misura prevista dall'art. 69, primo comma, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per assenza della vigilanza doganale al confine.

3. Il ricorso è affidato a due motivi.

4. Resiste con controricorso la F. s. coop. a r.l. in liquidazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso proposto l'Agenzia delle Entrate denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 9, primo comma, n. 2, 69 e 71, d.P.R. n. 633 del 1972, nonché del principio della doppia imposizione, per aver la sentenza impugnata riconosciuto la non imponibilità delle spese di trasporto dei beni importati pur in assenza di separata indicazione, sul documento di trasporto, del costo del trasporto medesimo e di controllo sulla tassazione effettuato in dogana per assenza di vigilanza doganale.

1.1. Il motivo è infondato. L'art. 9, primo comma, d.P.R. n. 633 del 1972 prevede che costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili, tra gli altri, «i trasporti relativi a beni in esportazione, in transito o in importazione temporanea, nonché i trasporti relativi a beni in importazione i cui corrispettivi sono assoggettati all'imposta a norma del primo comma dell'art. 69». Tale ultima disposizione stabilisce che l'imposta è commisurata, con le aliquote indicate nell'art. 16, al valore dei beni importati determinato ai sensi delle disposizioni in materia doganale, aumentato dell'ammontare dei diritti doganali dovuti, ad eccezione dell'i.v.a., nonché dell'ammontare delle spese di inoltro fino al luogo di destinazione all'interno del territorio della Comunità che figura sul documento di trasporto sotto la cui scorta i beni sono introdotti nel territorio medesimo. A livello eurounitario, tali disposizioni trovano corrispondenza negli artt. 11, B, paragrafo 3, e 14, par. 1, lett. i), della direttiva 77/388/CE del 17 maggio 1977, oggi 86 e 144 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, secondo cui gli Stati membri esentano dall'i.v.a. le prestazioni di servizi connesse con l'importazione di beni e il cui valore è compreso nella base imponibile. Pronunciandosi sulla compatibilità delle riferite disposizioni interne con la normativa eurounitaria, la Corte di Giustizia, con sentenza del 4 ottobre 2017, Federal Express, ha affermato che ai fini del riconoscimento dell'esenzione dall'imposta sul valore aggiunto alle prestazioni accessorie, fra cui i servizi di trasporto, è condizione necessaria e sufficiente che il loro valore sia compreso nella base imponibile, non essendo richiesto che tali prestazioni siano state effettivamente assoggettate all'imposta sul valore aggiunto in dogana, all'atto dell'importazione. Nelle more, il legislatore nazionale aveva approvato una disposizione, inserita, quale comma 4-bis, all'art. 9, d.P.R. n. 633 del 1972, secondo cui costituiscono servizi internazionali o connessi agli scambi internazionali non imponibili «i servizi accessori relativi alle piccole spedizioni di carattere non commerciale e alle spedizioni di valore trascurabile di cui alle direttive 2006/79/CE del Consiglio, del 5 ottobre 2006, e 2009/132/CE del Consiglio, del 19 ottobre 2009, sempreché i corrispettivi dei servizi accessori abbiano concorso alla formazione della base imponibile ai sensi dell'articolo 69 del presente decreto e ancorché la medesima non sia stata assoggettata all'imposta». Da quanto precede consegue che in una situazione, quale quella in esame, in cui non è controverso che il corrispettivo della spedizione sia incluso nella base imponibile della prestazione principale, contestando l'Ufficio solo la mancata separata indicazione dello stesso, non sussistono ostacoli al riconoscimento della esenzione dall'i.v.a. invocata dalla contribuente.

2. Con il secondo motivo, proposto in via subordinata, la ricorrente deduce l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, in relazione alla ritenuta presenza della clausola «franco destino» sulle fatture in oggetto. 2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto si risolve in una censura della complessiva valutazione delle risultanze processuali contenuta nella sentenza impugnata in ordine alla sufficienza e idoneità della documentazione prodotta a dimostrare l'assunto della contribuente, cui è contrapposta una diversa interpretazione al fine di ottenere la revisione degli accertamenti di fatto compiuti. Una siffatta censura non può trovare ingresso in questa sede in quanto la Corte di cassazione non è mai giudice del fatto in senso sostanziale ed esercita un controllo sulla legalità e logicità della decisione che non consente di riesaminare e di valutare autonomamente il merito della causa (cfr. Cass. 28 novembre 2014, n. 25332; Cass., ord., 22 settembre 2014, n. 19959).

3. Il ricorso va, pertanto, respinto.

4. In considerazione della novità della questione e della portata decisiva della richiamata sentenza della Corte di Giustizia, intervenuta successivamente alla proposizione del ricorso, appare opportuno disporre l'integrale compensazione delle spese processuali tra le parti.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibile il secondo; compensa integralmente tra le parti le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il 7 dicembre 2018.

 

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