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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 9247 del 3 aprile 2019
ESPOSIZIONE DEL FATTO
1. L'agenzia delle Entrate chiede sulla base di tre motivi la cassazione della sentenza n. 323/16/11 con cui la C.T.R. della Sicilia - in controversia relativa alla notifica di cartella di pagamento per recupero del credito di imposta non spettante, attraverso controllo automatizzato delle dichiarazioni m.u. 740 per l'anno di imposta 2004 ex art. 36 bis DPR 600/73 - ha affermato che il gravame proposto dalla concessionaria e dall'ufficio avesse attinto solo la prima delle due rationes decidendi su cui si fondava la sentenza di primo grado; vale a dire solo il capo con cui la CTP aveva annullato l'atto impositivo per l'omesso preventivo invio della comunicazione del risultato della liquidazione prima dell'iscrizione a ruolo ex art. 6 dello statuto del contribuente, con il conseguente passaggio in giudicato della statuizione concernente il secondo motivo, avente ad oggetto l'omesso invio della preventiva notifica dell'avviso di recupero del credito di imposta. La società di riscossione si costituisce con controricorso (denominato ricorso successivo), formulando analoghe censure alla pronuncia dei giudici di appello. G.C. resiste con controricorso, illustrato nelle memorie del 28.01.2019.
ESPOSIZIONE DELLE RAGIONI DI DIRITTO
2. In via preliminare, occorre precisare che la proposizione di plurime impugnazioni per cassazione avverso una stessa sentenza implica che ognuna di quelle successiva alla prima si converte, indipendentemente dalla forma assunta ed ancorché promossa con atto a sé stante, in ricorso incidentale, la cui ammissibilità è condizionata al rispetto del termine, senza che, a tal fine, incida il termine di impugnazione previsto dall'art. 22, comma 10, del d.lgs. n. 150 cit. o la natura adesiva dell'impugnazione ( v. Cass n. 18696/2016).
3. Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 49, 53 e 61 d.lgs 1992/546 nonché dell'art.2909 c.c. ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici di secondo grado ritenuto che la seconda "ratio decidendi" non impugnata era passata in giudicato, benchè non integrasse un
capo autonomo della sentenza, risolvendosi al contrario in una mera argomentazione.
4. Con la seconda censura, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 49, 53, 56 e 61 del d.lgs 546/92 nonché degli artt. 324 e 329 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c. ex art. 360 n.3 c.p.c.. ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere il decidente violato le norme rubricate ritenendo necessario l'invio della comunicazione preventiva, benchè si trattasse di mero controllo formale della dichiarazione dei redditi, per il quale non è necessaria la comunicazione di cui all'art. 6 cit., non avendo l'avviso rivelato un risultato diverso rispetto a quello indicato nella dichiarazione.
5. Con il terzo mezzo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 49, 53 e 61 del d.lgs 546/92 nonché degli artt. 324 e 329 c.p.c. e dell'art. 2909 c.c. nonché dell'art. 36 bis DPR 602/73 e dell'art. 6 comma 5 I.n. 212/2000 del ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici territoriali escluso che l'amministrazione potesse avvalersi delle procedure automatizzate per ridurre i crediti di imposta esposti in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni.
6. Analoghi motivi sono stati formulati dalla società di riscossione per la cassazione della pronuncia impugnata.
7. La prima censura è destituita di fondamento. La sentenza di primo grado ha dichiarato la nullità della procedura automatizzata sia per l'omesso invio della comunicazione di cui all'art. 6 comma 5 L. n. 212 del 2000 sia per l'omessa comunicazione dell'avviso di recupero del credito di imposta. In particolare, l'art. 6 cit. prevede che "prima di procedere alle iscrizioni a ruolo derivanti dalla liquidazione di tributi risultanti da dichiarazioni, qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione, l'amministrazione finanziaria deve invitare il contribuente, a mezzo del servizio postale o con mezzi telematici, a fornire i chiarimenti necessari o a produrre i documenti mancanti entro un termine congruo e comunque non inferiore a trenta giorni dalla ricezione della richiesta. La disposizione si applica anche qualora, a seguito della liquidazione, emerga la spettanza di un minor rimborso di imposta rispetto a quello richiesto". Oltre a detta comunicazione la CTP di Siracusa riteneva necessario anche l'invio dell'avviso di recupero del credito di imposta non riconosciuto. La censura - parzialmente trascritta dalla Agenzia delle Entrate nel ricorso di appello - formulata dall'Ufficio avverso detta sentenza attingeva la decisione nella parte in cui aveva ritenuto che l'attività svolta avesse natura accertativa, trattandosi al contrario di una mera rilevazione automatica dell'importo effettivamente utilizzato in compensazione, ritenendo superfluo dunque la comunicazione di cui all'art. 6 dello statuto del contribuente. E' evidente che attraverso detto motivo, l'amministrazione finanziaria non ha censurato la sentenza di primo grado sotto il profilo della carenza dell'avviso di recupero.
6. Parimenti, gli ultimi due motivi, da scrutinarsi congiuntamente, in quanto attinenti a questioni intimamente connesse, sono privi di pregio. Vale osservare che, benchè i giudici territoriali abbiano ritenuto la sussistenza di un giudicato interno, il dispositivo della sentenza impugnata resta comunque conforme a diritto per cui, a norma dell'art. 384 c.p.c., può pervenirsi al rigetto del ricorso con la sola correzione della motivazione: detta disposizione codicistica prevede che, qualora il vizio denunziato riguardi non un punto di fatto ma una questione di diritto, il giudice di legittimità ha il potere di integrare e correggere la motivazione della sentenza impugnata, senza cassarla, nel caso in cui la decisione adottata dal giudice di merito sia conforme a diritto, sostituendo la motivazione erronea con altra corretta, che conduca all'identico dispositivo della sentenza censurata, purché la sostituzione della motivazione sia soltanto in diritto e non comporti indagini e valutazioni di fatto (com'è sicuramente nel caso in esame), né violazione del principio dispositivo, nel senso che non dovrà esservi pronunzia su eccezioni non sollevate dalle parti e non rilevabili di ufficio (Cass. n. 20806/2017; Cass. n.19567 /2017; n.273172017).
7. Ebbene, ai sensi dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, avvalendosi di procedure automatizzate, l'Amministrazione finanziaria provvede a: a) correggere gli errori materiali e di calcolo commessi dai contribuenti nella determinazione degli imponibili, delle imposte, dei contributi e dei premi; b) correggere gli errori materiali commessi dai contribuenti nel riporto delle eccedenze delle imposte, dei contributi e dei premi risultanti dalle precedenti dichiarazioni; c) ridurre le detrazioni d'imposta indicate in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalle dichiarazioni; d) ridurre le deduzioni dal reddito esposte in misure superiore a quella prevista dalla legge; e) ridurre i crediti di imposta esposta in misura superiore a quella prevista dalla legge ovvero non spettanti sulla base dei dati risultanti dalla dichiarazione; f) controllare la rispondenza con la dichiarazione e la tempestività di versamenti delle imposte, dei contributi e dei premi dovuti a titolo di acconto e di saldo e delle ritenute alla fonte operate in qualità di sostituto di imposta.
7.1. Con riferimento a tale procedura di controllo, la diretta iscrizione a ruolo della maggiore imposta ai sensi dell'art. 36 bis cit. e 54 bis d.P.R. n. 633 del 1972 è ammissibile, e può evitare l'attività di rettifica, quando il dovuto sia determinato mediante un controllo della dichiarazione meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente, o di una mera correzione di errori materiali o di calcolo (Cass. n. 14070 del 2011, n. 12762 del 2006). Con ordinanza n. 5318 del 2012, questa Corte ha affermato che con tali modalità non possono risolversi questioni giuridiche, sicchè il disconoscimento del credito di imposta non può essere ricondotta al mero controllo cartolare, in quanto implica, appunto, verifiche e valutazioni giuridiche; con la conseguenza che il disconoscimento e l'iscrizione della conseguente maggiore imposta deve avvenire previa emissione di motivato avviso di rettifica. Con specifico riferimento alla fattispecie in esame, questa Corte ha affermato il principio, a cui si intende dare continuità, secondo cui: "In tema di accertamenti e controlli delle dichiarazioni tributarie, l'iscrizione a ruolo della maggiore imposta, ai sensi degli artt. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973 e 54 bis del d.P.R. n. 633 del 1972 è ammissibile solo quando il dovuto sia determinato mediante un controllo meramente cartolare, sulla base dei dati forniti dal contribuente o di una correzione di errori materiali o di calcolo, non potendosi, invece, con questa modalità, risolvere questioni giuridiche, sicchè il disconoscimento, da parte dell'Amministrazione finanziaria, di un credito d'imposta non può avvenire tramite emissione di cartella di pagamento avente ad oggetto il relativo importo, senza essere preceduta da un avviso di recupero di credito di imposta o quanto meno bonario" (in senso conforme: Cass. n. 14949/2018; Cass. n. 30791/2018; Cass. n. 4630/2017; Cass. nn. 5394, 19860 e n. 11292 del 2016; Cass.n. 545/2014).
7.2. Tali principi, enunciati in fattispecie che presentano un'evidente analogia con quella in esame, induce a ritenere che il recupero dell'ulteriore credito di imposta portato in deduzione dalla società contribuente nell'anno 2004, non poteva essere effettuato mediante l'iscrizione a ruolo, ai sensi dell'art. 36 bis del d.P.R. n. 600 del 1973, ma richiedeva un previo avviso di recupero di credito di imposta; in difetto di previo avviso di recupero, sarebbe stato necessario quanto meno l'avviso bonario, la cui mancanza rende illegittima la procedura automatizzata. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte - Rigetta il ricorso; - Condanna in solido i ricorrenti alla refusione delle spese di legittimità sostenute dal contribuente che liquida in euro 2.900,00, per compensi, oltre rimborso forfettario e accessori come per legge. - Così deciso in Roma nella camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 27.02.2019
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