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L’Agenzia delle Entrate non deposita in giudizio il PVC e così non assolve l’onere probatorio su di essa gravate. Confermato l’annullamento dell’avviso emesso per presunto utilizzo di false fatture. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “Il giudice d'appello ha anzi, all'esito dell'esame compiuto, affermato che non era stata raggiunta la prova, gravante sull'ufficio, dell'inesistenza delle operazioni - e quindi della legittimità dell'atto impositivo -, e che non era stato prodotto in giudizio il verbale di constatazione cui in proposito facevano riferimento tanto l'avviso di accertamento quanto l'amministrazione nelle deduzioni difensive”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 5904 del 28 febbraio 2019

FATTI DI CAUSA

L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con quattro motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, rigettandone l'appello, nel giudizio introdotto dalla srl T. con l'impugnazione dell'avviso di accertamento, ai fini dell'IRPEG, dell'IRAP e dell'IVA per l'anno 2000, con il quale veniva contestata l'emissione di fatture per operazioni inesistenti e la connessa contabilizzazione di costi indeducibili, ha confermato l'annullamento dell'atto impositivo per non avere l'ufficio fornito la prova della pretesa, segnatamente per non aver prodotto in giudizio il processo verbale di constatazione redatto il 14 ottobre 2004 dalla tenenza di S. della Guardia di finanza, atto richiamato dall'avviso impugnato. Espone infatti il giudice d'appello che il detto verbale di costatazione era integralmente richiamato nella motivazione dell'avviso di accertamento, ma non era stato mai prodotto in giudizio da alcuna delle parti - circostanza dedotta fin dal ricorso introduttivo - e tantomeno dall'ufficio, che ne avrebbe avuto l'onere e l'interesse, di guisa che le affermazioni dell'ufficio appellante, ad esempio in merito all'asserita "inesistenza" di talune operazioni commerciali apparentemente poste in essere dalla contribuente, non potevano ritenersi acquisite e provate indipendentemente da qualsiasi analisi e/o vaglio critico ed in assenza persino del processo verbale che avrebbe dovuto contenere o, quanto meno, indicare, le prove di quanto affermato dai verificatori. Con riguardo all'operatività delle forme di definizione agevolata previste dalla legge n. 289 del 2002, ha del pari confermato quanto ritenuto dal primo giudice circa l'inapplicabilità dell'art. 15 per ragioni cronologiche, e circa, al contrario, la preclusione dell'accertamento per il periodo d'imposta in questione in presenza di definizione automatica, per quell'anno, ai sensi dell'art. 9. La società contribuente resiste con controricorso, illustrato con successiva memoria.

Il Procuratore generale ha depositato conclusioni scritte.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Col primo motivo, denunciando nullità della sentenza ex art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per omessa pronuncia, in violazione degli artt. 112 e 132 cod. proc. civ., si duole che la CTR abbia obliterato gli argomenti relativi al merito della causa, in violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., omettendo cioè di pronunciarsi su tutti i punti del gravame: la fattispecie si basava sulle risultanze e sui rilievi emergenti dal verbale di constatazione, dal quale risultava che la contribuente nell'anno in esame: a) aveva emesso fatture per operazioni inesistenti nei confronti della J. srl; b) aveva contabilizzato costi indeducibili relativi a operazioni inesistenti (foglio 50/51 della premessa del verbale di constatazione del 14 ottobre 2004 "allegato al presente ricorso") risultanti dai riscontri con fornitori che hanno dichiarato di aver emesso fatture per importi superiori a quelli reali. Il motivo è infondato, non essendo incorsa nel vizio di omessa pronuncia - con riguardo alle due contestazioni evidenziate: l'emissione di fatture per operazioni inesistenti e la contabilizzazione di costi indeducibili relativi ad operazioni inesistenti - la sentenza impugnata. Il giudice d'appello ha anzi, all'esito dell'esame compiuto, affermato che non era stata raggiunta la prova, gravante sull'ufficio, dell'inesistenza delle operazioni - e quindi della legittimità dell'atto impositivo -, e che non era stato prodotto in giudizio il verbale di constatazione cui in proposito facevano riferimento tanto l'avviso di accertamento quanto l'amministrazione nelle deduzioni difensive. Col secondo motivo, denunciando violazione e/o falsa applicazione dell'art. 42 del d.P.R. n. 600/73 e all'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, assume che la nullità dell'avviso di accertamento per vizio di motivazione potrebbe essere dichiarata soltanto nell'ipotesi in cui non sia ad esso allegato un atto non conosciuto né ricevuto dal contribuente, mentre nessun vizio di nullità viene prescritto per l'accertamento nell'ipotesi di non allegazione al fascicolo di causa di un qualche atto, come del tutto erroneamente affermato dalla sentenza, che sarebbe così incorsa in un grave errore di diritto confondendo la prova della pretesa impositiva in giudizio con la motivazione dell'atto di accertamento. Il motivo è infondato, riposando sull'equivoco che la "non allegazione al fascicolo di causa di un qualche atto" incida sulla motivazione dell'atto impositivo, laddove nella specie non si controverte della motivazione dell'avviso ai fini della completa ed efficace difesa del contribuente, ma della prova, il cui onere grava sull'ufficio, della pretesa impositiva. Come ha osservato il giudice d'appello, non vale in contrario la circostanza che il verbale di constatazione sia stato a suo tempo notificato alla società contribuente, dal momento che, a seguito dell'impugnazione giudiziale del provvedimento conclusivo del procedimento amministrativo di accertamento dell'imposta, ci si muove in un ambito strettamente processuale, in cui anche, e soprattutto, il giudice, oltre che le parti, deve essere messo in grado di conoscere - e per intero - tutti gli atti rilevanti ai fini della decisione, fra cui riveste un ruolo primario quello richiamato per relationem nella motivazione del provvedimento impugnato, di guisa che le affermazioni dell'ufficio appellante, ad esempio in merito all'asserita "inesistenza" di talune operazioni commerciali apparentemente poste in essere dalla contribuente, non potevano ritenersi acquisite e provate indipendentemente da qualsiasi analisi e/o vaglio critico ed in assenza persino, appunto, del processo verbale che avrebbe dovuto contenere o, quanto meno, indicare, le prove di quanto affermato dai verificatori. Questa Corte ha chiarito come "il contribuente, anche in sede di impugnazione di atti impositivi notificati dopo dell'entrata in vigore della legge n. 212 del 2000, non ha l'onere di produrre in giudizio il processo verbale di constatazione richiamato nell'avviso di accertamento, non essendone, all'epoca, richiesta la contestuale notifica e trattandosi di adempimento che grava sull'ufficio anche in sede contenziosa" (Cass. n. 3456 del 2009), e come "l'art. 7 del d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, attribuisce al giudice tributario il potere di disporre l'acquisizione d'ufficio di mezzi di prova non per sopperire alle carenze istruttorie delle parti, sovvertendo i rispettivi oneri probatori, ma soltanto in funzione integrativa degli elementi di giudizio, il cui esercizio è consentito ove sussista una situazione obiettiva di incertezza e laddove la parte non possa provvedere per essere i documenti nella disponibilità della controparte o di terzi: in applicazione di detto principio, la S.C. ha ritenuto che il giudice tributario non potesse esercitare il potere di acquisizione d'ufficio di un processo verbale di constatazione richiamato nell'avviso di rettifica" (Cass. n. 955 del 2016). Con il terzo motivo denuncia insufficiente e/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso decisivo per il giudizio, in relazione all'art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere la sentenza impugnata omesso di considerare, e quindi di motivare, circa la produzione del verbale di constatazione da parte dell'ufficio, verbale che sarebbe stato prodotto fin dal primo grado del giudizio. Il motivo è inammissibile, essendo diretto a porre in discussione, in modo non adeguato, un accertamento di fatto compiuto dal giudice del merito sugli atti di causa, ed a denunciare così un vizio revocatorio. Con il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 9 della legge n. 289 del 2002 per avere la sentenza impugnata confermato la sentenza di primo grado dichiarando illegittimo l'avviso di accertamento perché emesso in violazione dell'art. 9, comma 10, lettera a) della legge in rubrica, laddove la norma precluderebbe l'accertamento dei debiti tributari dei contribuenti che hanno ottenuto il condono, ma non impedirebbe l'accertamento dell'inesistenza dei crediti e/o rimborsi d'imposta scaturenti dalla deduzione di costi o dalla detrazione di imposta per operazioni inesistenti, nonché l'accertamento della maggiore imposta dovuta per l'effetto del recupero a tassazione di costi e/o di detrazioni d'imposta per operazioni inesistenti. Il motivo è inammissibile, perché la tesi dell'amministrazione in ordine all'applicazione della norma muove dall'erroneo presupposto dell'esistenza nel caso in esame di "crediti e/o rimborsi d'imposta scaturenti dalla deduzione di costi o dalla detrazione di imposta per operazioni inesistenti, nonché della maggiore imposta dovuta per l'effetto del recupero a tassazione di costi e/o di detrazioni d'imposta per operazioni inesistenti", il che è stato escluso nel presente giudizio, come del resto nel giudizio di appello. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato. Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

 P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio, liquidate in euro 7.500, oltre alle spese generali, liquidate nella misura forfetaria del 15 % oltre ad accessori di legge. Così deciso in Roma il 29 settembre 2017.

 

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