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Confermata la spettanza del rimborso a favore dell’agente di commercio. Irrilevante che il professionista abbia due studi. Tesi dell’Agenzia delle Entrate respinta in tutti i gradi con condanna dell’Agenzia a pagare le spese processuali.

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Estratto: “questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 22878/2014; Cass. 2967/2014; Cass. 13/10/2016, n. 26651) che il fatto che il professionista operi presso due (o più) strutture materiali non è circostanza che possa dar luogo ad un'autonoma organizzazione, ove tali studi costituiscano semplicemente uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio della attività professionale autonoma”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 4577 del 15 febbraio 2019

FATTI DI CAUSA

1.11 contribuente P. ha presentato all'Agenzia delle Entrate domanda di rimborso dell'importo indebitamente versato, a titolo di imposta regionale sulle attività produttive, per gli anni d'imposta dal 2001 al 2002, assumendo l'insussistenza del presupposto dell'autonoma organizzazione dell'attività di agente di commercio, esercitata nei medesimi periodi. 2. Avverso il provvedimento di rigetto dell'istanza di rimborso, il contribuente ha proposto ricorso dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Foggia, che lo ha accolto, ritenendo provata l'insussistenza di un'autonoma organizzazione. 3. L'Agenzia delle Entrate ha quindi proposto appello, contro la decisione di primo grado, dinanzi alla Commissione tributaria regionale della Puglia- sezione staccata di Foggia, che lo ha respinto con la sentenza n.82/26/12, depositata 1'8 maggio 2012, a sua volta escludendo la ricorrenza dell'autonoma organizzazione presupposto dell'imposizione.

4. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per la cassazione della predetta sentenza di secondo grado, articolando un solo motivo, con il quale denuncia, ai sensi dell'art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ. (nella versione, applicabile ratione temporis, antecedente la novella operata dal d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modifiche dalla I. 7 agosto 2012, n. 134), l'omessa o insufficiente motivazione in ordine all'asserita insussistenza dell'autonoma organizzazione dell'attività esercitata dal contribuente. 5. Resiste con controricorso il contribuente, eccependo l'inammissibilità e l'infondatezza del motivo dedotto dalla ricorrente. 6.11 Pubblico Ministero ha prodotto requisitoria scritta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Giova premettere alla trattazione del primo motivo del ricorso principale la sintetica ricostruzione degli elementi costitutivi del presupposto d'imposta dell'IRAP, come dettati dal legislatore ed interpretati dalla giurisprudenza costituzionale e di legittimità, in particolar modo con riferimento a fattispecie, come quella sub iudice, nelle quali l'eventuale soggetto passivo dell'imposizione esercita l'attività produttiva di agente di commercio ed ha alle proprie dipendenze un dipendente, con mansioni di segreteria.

1.1. L'art. 2 d.lgs. n. 446/1997 stabilisce che il presupposto dell'IRAP, già definita dall'art. 1 come imposta a carattere reale, è «l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.».

1.2. La Corte costituzionale, con la sentenza n. 156 del 21 maggio 2001, ribadito che l'IRAP non è un'imposta sul reddito, bensì un'imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, ha rilevato che mentre l'elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l'attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un'attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui, con la conseguente inapplicabilità dell'imposta, per difetto del suo necessario presupposto, l'autonoma organizzazione, il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto, rimessa pertanto al giudice di merito. 1.3. Cass., Sez.U., 10/05/2016, n. 9451 (in continuità con Cass., Sez.U., 12/5/2009, n. 12108, ma specificando ulteriormente i requisiti dell'impiego del lavoro altrui) ha chiarito, proprio con riferimento all'attività di agente di commercio, i parametri alla cui stregua la questione di fatto deve essere valutata: «con riguardo al presupposto dell'IRAP, il requisito dell'autonoma organizzazione - previsto dall'art. 2 del d.lgs. 15 settembre 1997, n. 446 -, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato, ricorre quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione e non sia, quindi, inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui che superi la soglia dell'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria ovvero meramente esecutive».

2. Tanto premesso, venendo quindi all'esame dell'unico motivo del ricorso, deve preliminarmente rilevarsi l'infondatezza dell'eccezione di inammissibilità sollevata dal controricorrente in ragione dell'intrinseca contraddizione tra i vizi di omessa ed insufficiente motivazione, contemporaneamente evocati nella relativa rubrica del ricorso. Infatti, solo nell'intestazione del paragrafo che introduce l'esposizione del vizio i due possibili vizi della motivazione sono contemporaneamente esposti, presumibilmente con l'intento di riprodurre e richiamare il testo dell'art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ.; mentre nella successiva descrizione della specifica censura, concretamente sollevata dalla ricorrente, risulta inequivocabile che la critica riguarda esclusivamente l'insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, la cui esistenza (nel senso sia grafico e formale che sostanziale) non viene messa in dubbio. Non è quindi ravvisabile la contraddittorietà intrinseca del vizio eccepita dal controricorrente.

2.1. Il motivo, per quanto ammissibile, è infondato. Infatti, la ricorrente censura innanzitutto la motivazione del provvedimento impugnato nella parte in cui, dopo aver dato atto che il contribuente aveva dedotto di avvalersi della collaborazione di una segretaria per rispondere al telefono, ha ritenuto «irrilevanti i costi della collaboratrice non essendo addetta alla vendita». La pretesa insufficienza della motivazione sul punto - sostenuta con riferimento esclusivo alle risultanze contabili relative ai costi per salari e stipendi, e senza contestare che il contribuente abbia impiegato un sola dipendente con funzioni di segreteria - appare infondata, in quanto il giudice a quo, sia pur sinteticamente, ha dato conto dell'accertamento che la fattispecie concreta controversa non supera l'impiego di un collaboratore che esplichi mansioni di segreteria, che la giurisprudenza di questa Corte (cfr. la citata Cass., Sez.U., 10/05/2016, n. 9451) ritiene, con riferimento al fattore della forza lavoro, la soglia minima da oltrepassare per poter presumere ragionevolmente la sussistenza dell'autonoma organizzazione, a sua volta presupposto dell'IRAP. 2.2. Parimenti infondata è la denuncia della pretesa insufficienza della motivazione della sentenza impugnata riguardo alla mancata esplicita considerazione dell'asserita disponibilità, da parte del contribuente, «di due studi, anche se in uso promiscuo con l'abitazione». Infatti, la ricorrente non specifica da quale dato dei «quadri RF prodotti dall'Ufficio avanti alla ctp» (e riprodotti inserendone copia nel corpo del ricorso), e con quale operazione logica, il giudice a quo avrebbe dovuto ricavare il dato relativo agli studi professionali ed all'utilizzo promiscuo dell'abitazione, da parte del contribuente. Inoltre, sempre con riguardo alla questione specifica dell'asserito utilizzo di più studi, questa Corte ha già avuto modo di chiarire (Cass. 22878/2014; Cass. 2967/2014; Cass. 13/10/2016, n. 26651) che il fatto che il professionista operi presso due (o più) strutture materiali non è circostanza che possa dar luogo ad un'autonoma organizzazione, ove tali studi costituiscano semplicemente uno strumento per il migliore (e più comodo per il pubblico) esercizio della attività professionale autonoma. L'attribuzione, ai sensi dell'art. 360, comma 1, num. 5, cod. proc. civ., della rilevanza di fatto decisivo alla questione relativa alla pretesa disponibilità dei locali in questione avrebbe quindi comunque richiesto, nella censura dell'asserita insufficienza motivazionale, anche la specificazione della concreta rilevanza funzionale (e non meramente quantitativa) del dato rispetto alla sussistenza dell'autonoma organizzazione, ciò che invece difetta nel contesto dell'elaborazione del motivo.

2.3. Neppure può ravvisarsi, nel motivo in questione, un'ulteriore specifica censura riferita alla motivazione della valutazione operata dal giudice a quo con riferimento ai beni strumentali, nel loro complesso, utilizzati dal contribuente, ed alle relative spese, poiché l'esposizione di tale argomentazione, come evidenziato dal controricorrente, appare tronca ed incompleta, quindi incomprensibile (cfr. ultima pag. del ricorso, ultimo periodo prima delle conclusioni:« Per converso, l'Ufficio aveva allegato e dimostrato la circostanza che").

2.4. Tanto premesso, deve in conclusione escludersi che, attraverso la formulazione di censure alla motivazione, che non ne evidenziano l'assunta insufficienza, la ricorrente possa ottenere in questa sede di legittimità, una diversa valutazione dei fatti, in ordine al requisito dell'autonoma organizzazione, il cui accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile se, come nel caso di specie, congruamente motivato.

3. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

4. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

P.Q.M.

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 17/01/2019

 

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