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Gli avvisi non sottoscritti dal Direttore dell’Ufficio o da un suo delegato devono essere annullati. Accolti i ricorsi dei contribuenti. La Cassazione dichiara nulli tutti gli avvisi. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “accolti in ragione della questione posta nel quinto motivo - relativa alla nullità assoluta degli atti impositivi, per la mancata loro sottoscrizione da parte del direttore dell'Ufficio o di un suo delegato - che è fondata ed assorbente di tutte le altre. In tema di IVA, l'avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dell'art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato.”

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 4388 del 14 febbraio 2019

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale della Toscana, con le sentenze, di identico contenuto, nn. 229/23/12, 230/23/12 e 231/23/12 (tutte depositate il 20 novembre 2012) ha respinto gli appelli di B. contro tre sentenze della Commissione tributaria provinciale di Livorno che avevano rigettato altrettanti ricorsi proposti da B. avverso gli avvisi di accertamento definitivi, ex art. 11 d.lgs. n. 374 del 1990, notificatigli dall'Ufficio doganale di Livorno in rettifica del valore dichiarato di numerose partite di pesce congelato, importate da I. Ltd. Inc., per il tramite di un rappresentante fiscale italiano, nell'interesse di B. s.r.l. e di Gruppo B. s.r.1, società di cui il ricorrente era amministratore unico. Le sentenze sono state impugnate da B. con distinti ricorsi per cassazione (nn. 15530/2013, 15533/2013 e 15536/2013), ciascuno affidato a diciotto, identici motivi, cui l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ha resistito con controricorsi. B. ha inoltre impugnato per cassazione la sentenza n. 75/13, depositata il 10 luglio 2013, della Commissione tributaria regionale del Veneto che ha respinto il suo appello contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Padova che ne aveva, a sua volta, respinto il ricorso avverso la cartella esattoriale 077/2010/00129958/27, notificatagli il 22 giugno 2010 da Equitalia Polis s.p.a. (poi Equitalia Nord s.p.a.) per il pagamento della somma complessiva di euro 1.087.114,44, pretesa dall'Agenzia delle dogane, in forza dei predetti avvisi di accertamento, a titolo di dazi doganali, IVA all'importazione, indennità e interessi di mora. Al ricorso (n. 7895/2015), affidato a due motivi, hanno resistito con separati controricorsi l'Agenzia delle dogane e dei monopoli ed Equitalia Nord s.p.a.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Deve essere preliminarmente disposta, ai sensi dell'art. 274 c.p.c., la riunione al procedimento n. 13530/2013 di quelli recanti i nn. 13533/2013, 13536/2013 e 7895/2014. Sussiste, invero, un'evidente connessione non solo tra i primi tre giudizi, pendenti fra le stesse parti ed aventi ad oggetto le impugnazioni di una serie di analoghi avvisi di accertamento, respinte in primo grado e in appello con sentenze contrassegnate da identica motivazione, ma anche fra questi ed il quarto, nel quale si discute della validità della cartella di pagamento emessa per il recupero delle somme complessivamente pretese in forza dei predetti atti impositivi. Questa Corte ha di recente ribadito il principio - mutuabile nel caso di specie - secondo il quale la riunione delle impugnazioni, che è obbligatoria, ai sensi dell'art. 335 c.p.c., ove investano lo stesso provvedimento, può altresì essere facoltativamente disposta, anche in sede di legittimità, ove esse siano proposte contro provvedimenti diversi ma fra loro ma connessi, quando la loro trattazione separata prospetti l'eventualità di soluzioni contrastanti, siano ravvisabili ragioni di economia processuale ovvero appaiano configurabili profili di unitarietà sostanziale e processuale delle controversie (Cass. n. 27550 del 2018; v. anche Cass., sez. un., n. 18050 del 2010 e Cass., sez. un., n. 1521 del 2013). I diciotto motivi svolti dal ricorrente in ciascuno dei ricorsi nn. 13533/2013, 13636/2013 e 13350/2013 sono perfettamente coincidenti. Con il primo, B. eccepisce la nullità delle sentenze impugnate per sostanziale difetto di motivazione. Con il secondo, il terzo ed il quarto motivo, il ricorrente si duole del rigetto dei motivi di appello con i quali aveva eccepito, sotto plurimi profili, l'inesistenza delle notificazioni degli atti impositivi.

Con il quinto motivo, che denuncia la violazione, ex art. 360, comma 1, n. 3, degli artt. 5, 6 e 21 octies della I. n. 241 del 1990 e dell'art. 68 del d. Igs. 300/99, B. lamenta che i giudici d'appello abbiano ritenuto sanato, ai sensi dell'art. 21 octies cit., il vizio di nullità degli avvisi derivante dalla loro mancata sottoscrizione da parte del direttore dell'Ufficio o di un suo delegato. Con il sesto mezzo il ricorrente denuncia il vizio di motivazione delle sentenze impugnate in ordine alla dedotta illegittimità degli atti impositivi, siccome emessi in eccesso di potere ed in violazione delle indicazioni impartite dalla sovraordinata Direzione dell'Ufficio con nota prot. n. 16032 del 10 marzo 2005. Con i motivi che vanno dal settimo all'undicesimo B. lamenta, sotto i distinti profili del vizio di motivazione e della violazione degli artt. 201 codice doganale comunitario e dell'art. 2462 c.c., che le pronunce impugnate abbiano ritenuto che la sua qualità di amministratore unico e legale rappresentante di B. s.r.l. e di Gruppo B. s.r.I., in quanto tale ritenuto a conoscenza dell'illecito e rinviato a giudizio per plurimi reati di contrabbando commessi in continuazione (dichiarati estinti per prescrizione dal giudice penale), fosse sufficiente a rendergli opponibili le pretese fiscali, che potevano invece essere fatte valere nei soli confronti delle società da lui rappresentate. Con il dodicesimo motivo il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 57 del d.lgs. n. 546 del 1992, per avere i giudici d'appello ritenuto tardiva, e perciò inammissibile, l'eccezione concernente la violazione del principio del "ne bis in idem", da lui sollevata in ragione della pendenza, fra una società coobbligata e l'Agenzia, di altri procedimenti aventi ad oggetto la medesima pretesa tributaria. Con il tredicesimo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 3, comma 3, I. n. 241 del 1990, 7 della I. n. 212 del 2000 e 24 Cost., per avere le sentenze impugnate omesso di rilevare la nullità degli avvisi, cui non erano allegati gli atti richiamati per relationem nella motivazione. Con i motivi dal quattordicesimo al sedicesimo il ricorrente lamenta il vizio di motivazione delle sentenze impugnate per l'omesso esame di fatti decisivi, costituiti dalla carenza di prova del meccanismo fraudolento e della sua responsabilità in ordine al preteso illecito, nonché dall'effettuata applicazione di un criterio di rettifica "privo di fondamento giuridico". Con il diciassettesimo motivo il ricorrente denuncia l'ulteriore vizio di motivazione delle sentenze, per avere la CTR ritenuto fondata la contestazione dell'Ufficio concernente l'evasione dell'IVA all'importazione, comportante una illegittima duplicazione d'imposta. Con il diciottesimo motivo, che denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 3 I. 212 del 2000 e dell'art. 24 Cost., il ricorrente lamenta infine il rigetto dell'eccezione di prescrizione della pretesa impositiva, rilevando che per i fatti di contrabbando commessi sino all'8.6.99 egli era stato assolto già in primo grado, e che, comunque, l'Agenzia non aveva comunicato la notitia criminis all'autorità giudiziaria penale entro il termine di tre anni dalla data di contabilizzazione degli importi originariamente richiesti. Con il primo motivo del ricorso n. 7895/2013, B. denuncia la violazione e falsa applicazione, dell'art. 2697 c.c. e dell'art. 12, comma 4, del d.P.R. n. 602 del 1973, nonché il vizio di motivazione della sentenza della Commissione tributaria regionale del Veneto, che avrebbe omesso di "affrontare con la dovuta profondità, decisione e conseguente determinazione, l'indefettibile fatto processuale che in atti non vi è prova della sottoscrizione del titolo esecutivo azionato", ossia del ruolo, il quale, proprio in quanto non sottoscritto, sarebbe da ritenersi nullo.

Con il secondo motivo, il ricorrente lamenta la violazione e falsa applicazione dell'art. 26 del d.P.R. n. 602 del 1973, per avere il giudice d'appello reputato valida e legittima la notifica della cartella di pagamento, ancorchè la stessa fosse stata effettuata con l'ausilio del servizio postale, secondo la modalità, asseritamente irrituale, dell'invio mediante raccomandata con avviso di ricevimento.

Osserva la Corte che, in base al principio processuale della "ragione più liquida" - desumibile dagli artt. 24 e 111 Cost. - (che, imponendo un approccio interpretativo teso alla verifica delle soluzioni sul piano dell'impatto operativo, piuttosto che su quello della coerenza logico sistematica, consente al giudice di sostituire il profilo dell' evidenza a quello dell'ordine delle questioni da trattare, di cui all' art. 276 c.p.c., in una prospettiva aderente alle esigenze di economia processuale e di celerità del giudizio, e dunque di decidere la causa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, quand'anche se del caso logicamente subordinata, senza che sia necessario esaminare previamente le altre; cfr: Cass., nn. 12002 del 2014, 23621 del 2011), i ricorsi nn. 15530/2013, 15533/2013 e 15536/2013 devono essere accolti in ragione della questione posta nel quinto motivo - relativa alla nullità assoluta degli atti impositivi, per la mancata loro sottoscrizione da parte del direttore dell'Ufficio o di un suo delegato - che è fondata ed assorbente di tutte le altre. In tema di IVA, l'avviso di accertamento è nullo, ai sensi dell'art. 42 del d.P.R. 29 settembre 1973 n. 600 e dell'art. 56 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 (che, nel rinviare alla disciplina sulle imposte dei redditi, richiama implicitamente il citato art. 42), se non reca la sottoscrizione del capo dell'ufficio o di altro impiegato della carriera direttiva da lui delegato. Se la sottoscrizione non è quella del titolare dell'ufficio, incombe all'Amministrazione dimostrare, in caso di contestazione, il corretto esercizio del potere sostitutivo da parte del sottoscrittore e la presenza della delega del titolare dell'ufficio (v. Cass. n. 18758 del 2014; Cass. n. 17400 del 2012; Cass. n. 14195 del 2000). Fermi, infatti, i casi di sostituzione e reggenza di cui all'art. 20, comma 1, lett. a) e b) del d.P.R. n. 266 del 1987, è espressamente richiesta la delega a sottoscrivere: neanche il possesso della qualifica dirigenziale abilita il funzionario tributario alla sottoscrizione, dovendo il potere di organizzazione essere in concreto riferibile al capo dell'ufficio. Nel caso di specie la circostanza della mancata provenienza degli avvisi dal responsabile del procedimento è pacifica, in quanto implicitamente accertata dalla Commissione tributaria regionale, laddove ha ritenuto detta violazione sanata ai sensi dell'art. 21 octies I. n. 241 del 1990. Mette punto rilevare, tuttavia, che la norma in parola si mostra inapplicabile al caso di specie, in quanto con riferimento agli atti di determinazione dell'imponibile e dell'imposta investiti dai ricorsi nn. 15530/2013, 15533/2013 e 15536/2013, a difettare è proprio il carattere della vincolatività dell'atto, valorizzata dall'art. 21 octies, venendo per contro in rilievo una discrezionalità perlomeno di matrice tecnica. Nello specifico, l'equivalenza "atto tributario - atto vincolato" sostanzialmente avallata dal giudice d'appello, attraverso il riferimento applicativo alla norma da ultimo richiamata, si risolve in una formula generalizzante, che riconduce nella categoria degli atti vincolati anche quegli atti i quali, ancorchè non siano espressione di potestà discrezionale o di potere negoziale, nondimeno postulano un accertamento non rigidamente predeterminato, ovvero l'esercizio della c.d. "discrezionalità tecnica", tanto che, se possono essere vincolati nell'"an", non necessariamente vengono emessi con contenuto dispositivo prestabilito ex lege; ciò in quanto: i) possono presentare margini di valutazione tecnica nella rilevazione, come pure nell'accertamento del fatto presupposto cui la legge ricollega l'esigenza di provvedere; li) condizionano in modo variabile il loro contenuto dispositivo in relazione alle diverse caratteristiche e qualificazioni giuridiche del fatto presupposto come in concreto rilevato. L'atto impositivo tradottosi in un avviso di rettifica, quand'anche non dia luogo ad esercizio di discrezionalità amministrativa, cionondimeno non può ritenersi vincolato nel "quid", atteso che - qualora il relativo potere venga esercitato - il suo contenuto dispositivo non può ritenersi conoscibile ex ante, ovvero già interamente predeterminato ex lege. In effetti, la pretesa tributaria formalizzata nell'avviso di accertamento o di rettifica dell'accertamento stesso, poichè atto a contenuto "variabile" in relazione al diverso fatto economico presupposto, non pare rispondere alla fenomenologia dell'atto a contenuto vincolato che, nella ricostruzione delle Sezioni Unite di questa Corte, "è configurabile allorchè, non soltanto la scelta dell'emanazione o meno dell'atto, ma anche il suo contenuto siano rigidamente predisposti da una norma o da altro provvedimento sovraordinato, sicchè all'Amministrazione non residui alcuna facoltà di scelta tra determinazioni diverse" (cfr. Cass., sez. un., n. 5445 del 2012). La figura dell'atto vincolato, in diritto tributario, pare ricorrere, in tal senso, solo negli atti conseguenziali, meramente esecutivi, quali ad esempio la "cartella" e l'"avviso di mora" (v. Cass. n. 4516 del 2012; Cass. n. 332 del 2016). In definitiva, non può ignorarsi che l'art. 21 octies si indirizza ai soli casi in cui la correttezza del contenuto dell'atto sia palese e necessitata, situazione che generalmente non ricorre per gli atti di determinazione dell'imponibile e dell'imposta e della quale, nondimeno, parte ricorrente ha omesso di dare prova. Nella specie, infatti, l'Amministrazione finanziaria non ha né allegato né dimostrato che il contenuto dispositivo dei provvedimenti non avrebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato. In accoglimento del quinto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, le sentenze nn. 229/23/12, 230/23/12 e 231/23/12 vanno pertanto cassate. Non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito ed accogliere le impugnazioni originariamente proposte dal contribuente, con conseguente annullamento degli avvisi che ne hanno formato oggetto. L'esito favorevole al ricorrente dei giudizi promossi e qui riuniti integra un fatto estintivo della pretesa tributaria, necessariamente destinato a ripercuotere i propri effetti sull'iscrizione a ruolo, rimasta priva di titolo, e sulla cartella di pagamento, divenuta mancante dell'obbligazione e del suo contenuto (Cass. n. 16967 del 2016; Cass. n. 718 del 2017). L'intervenuta caducazione degli avvisi di accertamento determina, infatti, l'illegittimità della successiva attività di riscossione veicolata attraverso la cartella di pagamento oggetto del giudizio riunito n. 7895/2014. Gli avvisi assurgevano, in effetti, ad atti impositivi presupposti in relazione alla cartella di pagamento in parola, di talchè il giudicato formatosi su di essi finisce per travolgere quest'ultima proprio in quanto atto dipendente da quelli; deve, in definitiva, valorizzarsi l'effetto espansivo correlato all'art. 336, comma 2, c.p.c., secondo cui "la riforma o la cassazione estende i suoi effetti ai provvedimenti e agli atti dipendenti dalla sentenza riformata o cassata". L'impugnazione originaria del contribuente va, pertanto, accolta e la cartella di pagamento n. 077/2010/00129958/27, notificata al B. il 22 giugno 2010, dev'essere conseguentemente annullata. Le spese del doppio grado di merito dei giudizi riuniti vanno compensate fra le parti, in ragione del numero e della complessità delle questioni controverse; quelle del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quinto motivo dei ricorsi riuniti nn. 13530/2013, 13533/2013 e 13536/2013 R.G., assorbiti gli altri. Cassa le sentenze nn. 229/23/12, n. 230/23/12 e n. 231/23/12 della Commissione tributaria regionale della Toscana in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, accoglie gli originari ricorsi di B. e annulla gli avvisi di rettifica da questi impugnati. Cassa la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Veneto n. 75/13 e, decidendo nel merito, annulla la cartella di pagamento n. 077/2010/00129958/27. Dichiara compensate fra le parti le spese del doppio grado di merito dei giudizi riuniti. Condanna l'Agenzia delle Dogane a rifondere al ricorrente le spese dei giudizi riuniti nn. 13530/2013, 13533/2013 e 13536/2013 R.G., che liquida in Euro 20.000,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie ed agli accessori dovuti per legge. Condanna l'Agenzia delle Dogane ed Equitalia Nord s.p.a., in via fra loro solidale, a pagare al ricorrente le spese del giudizio riunito n. 7895/2015, che liquida in Euro 12.000,00 per compensi, oltre al 15% per spese forfettarie ed agli accessori dovuti per legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Quinta Sezione Civile, il 9 gennaio 2019.

 

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