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L’Amministrazione non può disconoscere il diritto alla detrazione dell’IVA versata con l’autofattura. Respinto il ricorso dell’Agenzia delle Dogane. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “l'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'IVA all'importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all'art. 50 bis, comma 4, lett. b) d.l. n. 331 del 1993 n. 331, qualora costui abbia già provveduto all'adempimento, sia pur tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile mediante un'autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell'IVA, realizzata dall'importatore per effetto dell'immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 4398 del 14 febbraio 2019

RILEVATO CHE:

L'Agenzia delle Dogane ricorre per la cassazione della sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio n. 1991/14/14 del 28.3.2014 che ha rigettato l'appello erariale avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Roma che, in accoglimento del ricorso di B. s.r.I., aveva annullato l'avviso n. XXX del 3 ottobre 2007, notificato alla società il 15 ottobre 2007, volto al recupero di IVA all'importazione, scaturente, nella prospettazione dell'ufficio, dall'omessa introduzione fisica, nei depositi fiscali IVA, di merce di provenienza extracomunitaria e dalla conseguente, ritenuta inapplicabilità del regime fiscale contemplato dall'art. 50 bis, comma 4, lett. b), del d.l. n. 331 del 1993. Il ricorso è affidato a due motivi. La contribuente resiste con controricorso.

CONSIDERATO CHE:

Con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Dogane denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione dell'art. 98, lett. a), codice doganale comunitario (Regolamento CE n. 2913 del 1992) e dell'art. 50 bis d.l. n. 331 del 1993, per avere la Commissione tributaria regionale erroneamente escluso che la mancata effettiva consegna della merce al depositario e la sua omessa introduzione fisica nel deposito IVA fossero circostanze ostative all'applicazione del regime fiscale di cui al richiamato art. 50 bis.

- Con il secondo motivo di ricorso l'Agenzia delle Dogane denuncia, ex art. 360, comma 1, n. 3, la violazione e/o errata applicazione dell'art. 1 del d.P.R. n. 633 del 1972, per avere la Commissione tributaria regionale ritenuto che l’IVA non corrisposta in dogana al momento dell'importazione potesse essere compensata con quella successivamente versata in virtù dell'autofatturazione effettuata dalla contribuente per l'estrazione della merce dal deposito IVA e la sua immissione in consumo.

-Il principio della ragione "più liquida", secondo il quale la causa può essere decisa sulla base della questione ritenuta di più agevole soluzione, (Cass., sez. un., n. 9636 del 2014; Cass. n. 12002 del 2014), consente l'esame prioritario del secondo motivo di ricorso che, essendo infondato, assorbe la censura -logicamente pregiudiziale - dedotta nel primo motivo.

- Col mezzo in esame l'Agenzia contesta che l'avviso abbia determinato una duplicazione del carico impositivo, posto che l'atto non si sarebbe risolto in una liquidazione aggiuntiva di imposta, che andava ad affiancarsi all'IVA già corrisposta attraverso l'emissione di autofattura e successivo versamento in sede di liquidazione periodica; nell'ottica erariale l’IVA all'importazione rappresenterebbe, invero, un tributo distinto ed autonomo rispetto all'IVA interna.

- Va in contrario osservato che l'Amministrazione finanziaria non può pretendere il pagamento dell'IVA all'importazione dal soggetto passivo che, non avendo materialmente immesso i beni nel deposito fiscale, si è illegittimamente avvalso del regime di sospensione di cui all'art. 50 bis, comma 4, lett. b) d.l. n. 331 del 1993 n. 331, qualora costui abbia già provveduto all'adempimento, sia pur tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile mediante un'autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite, atteso che la violazione del sistema del versamento dell'IVA, realizzata dall'importatore per effetto dell'immissione solo virtuale della merce nel deposito, ha natura formale e non può mettere, pertanto, in discussione il suo diritto alla detrazione, come chiarito dalla Corte di giustizia nella sentenza del 17 luglio 2014, in C-272/13 Equoland (v. Cass. n. 17815 del 2015; Cass. n. 15988 del 2015; Cass. n. 10911 del 2015; Cass. 19749 del 2014).

- L'Agenzia delle Dogane, quindi, non può disconoscere il pagamento dell'IVA avvenuto mediante inversione contabile, senza che tale esborso conferisca un diritto a detrazione, pena la violazione del principio comunitario di neutralità dell'imposta in oggetto.

- Le coordinate tratteggiate dalla Corte di Giustizia sono state seguite anche dall'Amministrazione Finanziaria (Agenzia delle Entrate, Circolare n. 12/E del 24 marzo 2015) che, con un'inversione di rotta, in linea con i suddetti principi giurisprudenziali, ha ritenuto non doversi procedere, in casi analoghi a quello esaminato dai giudici lussemburghesi, alla richiesta dell'imposta già assolta mediante reverse charge, a condizione, da accertare caso per caso, che non sussista evasione o tentativo di evasione (Cfr. in tal senso anche Agenzia delle Dogane, Circolare n. 16/D del 20 ottobre 2014).

- Si è così avuto il superamento del precedente orientamento giurisprudenziale secondo cui l'avvenuto assolvimento, mediante auto fatturazione, dell'IVA interna non avrebbe potuto compensare l'omesso pagamento dell'imposta all'importazione, fondato sul rilievo, ormai inattuale, che "il sistema di accertamento dei due tributi è diverso, in quanto l'IVA all'importazione è diritto di confine che deve essere accertato e riscosso nel momento in cui si verifica il presupposto impositivo, e di cui una quota parte deve essere riversata alla Comunità Europea, mentre l'IVA nazionale viene autoliquidata e versata in relazione alla massa di operazioni attive e passive poste in essere dal contribuente e inserite nella dichiarazione periodica" (Cass. n. 12262 del 2010; Cass. n. 12578 del 2010; Cass. n. 10734 del 2013; Cass. n. 2254 del 2014).

- L'IVA all'importazione non può, d'altronde, essere considerata un tributo diverso da quella interna, il che si ricava perspicuamente dall'art. 1 del D.P.R. n. 633 del 1972, che, nell'individuare le operazioni rilevanti ai fini dell'applicazione del tributo, menziona espressamente, oltre alle cessioni di beni ed alle prestazioni di servizi, anche le importazioni, a riprova del fatto che si tratta comunque di operazioni per le quali si verifica il presupposto applicativo della stessa imposta

- Il fatto che l’IVA all'importazione costituisca un tributo interno al pari dell'IVA nazionale è stato, altresì, riconosciuto dalla stessa Agenzia delle Dogane (Circolare n. 10/D del 4 marzo 2003) la quale, in relazione al condono tombale di cui alla Legge n. 289 del 2002, ha affermato che questo ultimo si può applicare solamente ai tributi nazionali, tra i quali rientra espressamente l'Iva all'importazione, mentre ne restano esclusi i dazi, in quanto risorsa propria comunitaria.

- Essendo l’IVA all'importazione un tributo interno ed essendo stati nella specie posti in essere gli adempimenti contabili in materia di reverse charge, ne deriva che non vi è stata alcuna evasione di imposta e, quindi, alcun danno all'Erario.

- In effetti, per chiara scelta normativa, il meccanismo dell'inversione contabile è idoneo, di per sé, a costituire adempimento dell'obbligazione tributaria: l'art. 17, comma primo, del d.P.R. n. 633 del 1972 dispone che "l'imposta è dovuta dai soggetti che effettuano le cessioni di beni e le prestazioni di servizi imponibili, i quali devono versarla all'erario, cumulativamente per tutte le operazioni effettuate e al netto della detrazione prevista dall'art. 19".

- Non essendovi alcuna frode, dato l'assolvimento dell'IVA, l'Amministrazione non può chiedere il pagamento dell'IVA all'importazione, né può disconoscere il diritto alla detrazione, essendo l'omessa introduzione delle merci nel deposito una violazione meramente formale, che non ha inciso in alcun modo sulla debenza dell'IVA che, seppur tardivamente, è stata incamerata dall'Erario.

- Il diritto alla detrazione è un diritto comunitariamente riconosciuto, sicché, fuori dei casi di frode, il Fisco non può precludere l'esercizio di tale diritto in tutti i casi in cui l'operazione sia stata correttamente adempiuta e contabilizzata, in quanto non vi è alcun debito di imposta a giustificazione di tale disconoscimento (cfr. Corte di Giustizia UE, sentenza 8 maggio 2008, C- 95/07 e C- 96/07, nota come "Ecotrade", la quale afferma che: "Infatti, se è vero che tali disposizioni consentono agli Stati membri di adottare talune misure, esse non devono tuttavia eccedere quanto è necessario per conseguire gli obiettivi indicati al punto precedente. Simili misure non possono quindi essere utilizzate in modo tale da rimettere sistematicamente in questione il diritto alla detrazione dell'IVA, il quale è un principio fondamentale del sistema comune dell'IVA istituito dalla normativa comunitaria in materia"). - Il ricorso va, in conclusione, respinto.

- Il recente consolidarsi della giurisprudenza di questa Corte in materia induce a compensare fra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il secondo motivo di ricorso, assorbito il primo, e compensa le spese. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Tributaria della Suprema Corte di Cassazione, 1'8 gennaio 2019.

 

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