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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 3737 dell’8 febbraio 2019
RILEVATO CHE
1. con sentenza n. 33/09/11 del 10/06/2011, la CTR della Toscana accoglieva l'appello proposto dalla E. s.r.l. (d'ora in poi solo E.) avverso la sentenza n. 94/09/10 della CTP di Firenze, che aveva rigettato il ricorso proposto dalla società contribuente avverso l'avviso di accertamento con il quale l'Amministrazione finanziaria procedeva alla rettifica del reddito della società contribuente con riferimento all'anno d'imposta 2004 e recuperava le maggiori somme dovute a fini IVA, IRES ed IRAP;
1.1. come si evince dalla sentenza della CTR e dagli atti di parte: a) l'avviso di accertamento veniva emesso in ragione dello scostamento dei ricavi della E. rispetto a quanto previsto nello studio di settore ritenuto applicabile al caso di specie; b) la CTP respingeva il ricorso della società contribuente; c) la sentenza della CTP era appellata dalla E.;
1.2. Su queste premesse, la CTR motivava l'accoglimento dell'appello osservando che: a) «la procedura adottata dall'Ufficio in ordine alla rettifica dei redditi deriva esclusivamente da procedimento induttivo a seguito di parametri senza ausilio di ulteriori elementi di fatto corroboranti le presunzioni adottate»; b) dall'esame degli atti, risultava che l'attività svolta dalla società contribuente aveva specifiche peculiarità in riferimento sia al settore dell'editoria nel quale è stata inquadrata, sia alle aziende alla quale è stata paragonata in sede di contraddittorio; c) tali peculiarità erano caratterizzate dall'edizione «in massima aliquota di fatturato» di depliant, cataloghi e materiali promozionali «in occasione di mostre, fiere, mercati culturali e di moda per conto di Enti Pubblici territoriali e morali», nonché dalla esternalizzazione dei costi e dall'apporto diretto dei soci; d) tali peculiarità si riflettevano sul modesto risultato economico della società, giustificato dal fatto che la clientela è costituita da aziende di emanazione pubblica che imponevano prezzi esigui;
2. l'Agenzia delle entrate impugnava la sentenza della CTR con ricorso per cassazione, affidato a due motivi;
3. la E. resisteva con controricorso e depositava memoria ex art. 380 bis.1 cod. proc. civ..
CONSIDERATO CHE
1. con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle entrate deduce la violazione e/o la falsa applicazione degli artt. 62 sexies del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv. con modif. nella I. 29 ottobre 1993, n. 427, 39, primo comma, lett. d), del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 e 54, quarto comma, del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., evidenziando che, contrariamente a quanto sostenuto dalla CTR, l'Ufficio ha dato conto, nella motivazione dell'atto impositivo, delle ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dalla società contribuente in sede di contraddittorio, sicché non sarebbero richiesti ulteriori elementi di fatto idonei a corroborare la pretesa impositiva fondata sugli studi di settore;
2. il motivo è inammissibile perché non coglie la ratio decidendi della sentenza della CTR;
2.1. è vero che la CTR ha affermato che l'Ufficio ha proceduto allegando unicamente lo scostamento dagli studi di settore, senza la indicazione di ulteriori elementi di fatto che vadano a corroborare le presunzioni adottate, ma è altrettanto vero che il giudice di appello ha riconosciuto la legittimità dell'operato dell'ufficio sotto il profilo formale («nella fattispecie risulta comunque legittimo l'operato dell'Ufficio circa l'applicazione delle risultanze matematiche derivanti dai parametri»), evidenziando unicamente che quelle conseguenti ai parametri sono presunzioni iuris tantum, che possono essere messe in discussione dalla società contribuente;
2.2. sotto quest'ultimo profilo, come si dirà con riferimento al secondo motivo, la sentenza ha espressamente dato conto del fatto che le peculiari caratteristiche della società contribuente giustificano la sussistenza del minor reddito prodotto rispetto alle previsioni dello studio di settore, così facendosi corretta applicazione del disposto normativo;
3. con il secondo motivo di ricorso si deduce, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l'insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso per il giudizio, consistente nella circostanza se la società contribuente abbia o meno allegato validi elementi di fatto idonei a rendere inapplicabile lo studio di settore adoperato per l'accertamento ovvero a giustificare lo scostamento dei ricavi rispetto a quelli desumibili dallo studio di settore;
4. il motivo è inammissibile;
4.1. secondo la giurisprudenza di questa Corte, «la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando così liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rileva bili di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione» (Cass. n. 19547 del 04/08/2017); è stato, inoltre, evidenziato che «con il ricorso per cassazione la parte non può rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poiché la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità» (Cass. n. 29404 del 07/12/2017);
4.2. ciò premesso, la CTR ha ritenuto che lo studio di settore non si applica alla società ricorrente, indicando le peculiarità della società che la rendono non omologabile ad altre società editoriali e, in particolare, a quelle ricomprese nello studio di settore considerato dall'Ufficio;
4.3. la ricorrente ha dedotto l'insufficienza della motivazione in quanto: a) l'affermazione che la clientela sarebbe costituita prevalentemente da enti pubblici territoriali e morali sarebbe smentita sia dalle risultanze del ricorso in appello (che indica nel trenta per cento i ricavi fatturati da enti pubblici), sia dalle percentuali indicate nello studio di settore; b) l'affermazione che la società edita in particolare ed in massima quota di fatturato solo depliant, cataloghi e materiali promozionali in vista di manifestazioni culturali e di moda sarebbe altresì smentita dalle risultanze dello studio di settore; c) l'affidamento del processo produttivo a terzi non escluderebbe, in linea di principio, il lucro della società contribuente;
4.4. in realtà, la CTR ha dimostrato di avere complessivamente valutato il materiale probatorio acquisito agli atti e la ricorrente non può sostituire il giudizio di fatto compiuto dai giudici di appello con altro giudizio di fatto, sempre possibile in relazione agli elementi raccolti;
4.5. in quest'ottica i fatti indicati dall'Agenzia delle entrate non sono decisivi perché si tratta di elementi già presi in considerazione dalla CTR e in relazione ai quali la stessa si è espressa in termini non privi di una loro intrinseca logicità;
4.6. in particolare, le conclusioni della CTR non sono smentite dal rilievo sub a), perché gli enti morali non rientrano necessariamente tra gli enti pubblici e le commesse di questi ultimi possono avere trovato diversa collocazione nello studio di settore; analogamente, con riferimento al rilievo sub b), i depliant ed i cataloghi non costituiscono necessariamente materiale pubblicitario, ben potendo rientrare nella voce "editoriali" di cui allo studio di settore; infine, costituisce una classica valutazione di fatto, che rientra nei poteri del giudice di merito, la valutazione della incidenza, con riferimento al fatturato, dell'affidamento del processo produttivo a terzi (rilievo sub c));
4.7. ne consegue l'inammissibilità del motivo proposto dall'Agenzia delle entrate, che, come affermato in precedenza, non può sostituire la propria valutazione di fatto alla diversa valutazione di fatto esperita dalla CTR;
5. in conclusione, il ricorso va rigettato, con conseguente condanna della ricorrente a rifondere, in favore della controricorrente, le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo avuto conto di un valore dichiarato della controversia compreso tra euro 52.000,01 ed euro 260.000,00.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio, che liquida in euro 7.000,00, oltre alle spese generali nella misura del quindici per cento e agli accessori di legge. Così deciso in Roma il 19 settembre 2018.
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