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Corte di Cassazione, Sez. 5
Sentenza n. 3384 del 6 febbraio 2019
FATTI DI CAUSA
A seguito di verifica fiscale con accesso ai locali aziendali ed invio di questionari, l'Agenzia delle Entrate, ufficio di Grosseto, emetteva due avvisi di accertamento, rispettivamente per l'anno 2003 e 2004, nei confronti della società B. srl. In particolare, per l'anno 2004, l'ufficio recuperava a tassazione l'importo di euro 2.587.022,00 ai fini ires derivante da sopravvenienze attive e costi non deducibili, l'importo di euro 2.073,00 ai fini iva relativa ad operazioni imponibili passive per un ammontare inferiore al dichiarato, e l'importo di euro 109.934,00 ai fini irap, da cui derivava una maggiore imposta ires per euro 853.717, una maggiore irap per euro 109.934,00 ed una maggiore iva per euro 2.073, oltre sanzioni. La CTP di Grosseto accoglieva in parte il ricorso, confermando la ripresa a tassazione solo di alcuni costi non deducibili derivanti da una società terza. La CTR della Toscana, pur respingendo l'eccezione del contribuente di inammissibilità dell'appello dell'ufficio, rigettava quest'ultimo, accogliendo invece l'appello incidentale della società sull'aspetto su cui essa era rimasta soccombente davanti alla CTP, annullando così in toto l'accertamento. Contro tale sentenza propone ricorso davanti a questa Corte l'Agenzia delle Entrate sulla base di un motivo. Resiste con controricorso e ricorso incidentale la società, cui l'ufficio replica con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con l'unico motivo di ricorso l'ufficio deduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 2, e 36, comma 2, d. Ivo n. 546 del 1992, dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. e 118 disp.att., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c. Espone, in particolare, che la sentenza impugnata ha riguardato voci che non costituivano l'oggetto del contendere della presente controversia, quali maggiori ricavi non dichiarati ai fini irpeg, irap ed iva, l'indebita detrazione di iva per euro 392.899 in relazione ad una compravendita immobiliare e l'indebita detrazione di una nota di credito. La presente controversia concerne, invece, un finanziamento erogato dalla società S. alla contribuente (appartenente al medesimo gruppo) di cui l'ufficio riteneva la natura fittizia.
Evidenzia altresì che la motivazione della sentenza della CTR replicava quella assunta in relazione all'annualità 2003, a conferma della non pertinenza con i fatti oggetto dell'annualità in esame nella presente causa, il 2004. In sede di ricorso incidentale, la società impugna la sentenza della CTR sulla base di un unico motivo, per violazione di legge ed, in particolare, dell'art. 53 d.lvo n. 546 del 1992 ai sensi dell'art. 360 n. 3 c.p.c. La CTR avrebbe errato nel respingere l'eccezione di inammissibilità dell'appello per omessa enunciazione dei motivi. Il ricorso principale dell'ufficio è infondato. Peraltro, lo stesso è anche al limite della inammissibilità, per difetto di autosufficienza, perché si risolve in gran parte nella riproposizione dell'atto di appello. E' vero che questo dovrebbe servire per dimostrare il vizio della sentenza impugnata, e cioè la non corrispondenza tra l'appello e la sentenza, ma è anche vero che se, come affermato in ricorso, oggetto della causa per il 2004 è solo il finanziamento della S., nel ricorso è ben difficile distinguere, al di là della mera affermazione, la delimitazione specifica dell'oggetto della presente controversia. Anche l'affermazione secondo cui la motivazione della sentenza impugnata, relativa al 2004, riproduce quella della controversia relativa al 2003 (elemento che confermerebbe il vizio della sentenza impugnata) non è però chiaramente dimostrata nel ricorso; il ricorso lo prospetta ma non permette di valutare agevolmente tale allegazione. In sostanza, il ricorso consiste nella riproposizione di un ampio stralcio dell'appello, con qualche considerazione finale relativa alla delimitazione dell'oggetto della presente controversia. Nel fare ciò, però, vengono introdotti nel ricorso una serie di fatti e circostanze che vanno al di là di quello che, per affermazione dell'ufficio, è l'oggetto specifico della presente controversia. Per esempio, l'appello stesso si riferisce anche alla detrazione iva che - sempre a dire dell'ufficio - riguarda il 2003 e non il 2004, per cui, come detto, la delimitazione dell'oggetto specifico della presente controversia non emerge in maniera chiara dalla lettura del ricorso. Così, il fatto che l'oggetto della causa per il 2004 riguardi solo il finanziamento della S., affermato in ricorso dall'Agenzia, diventa di non immediata individuazione.
In ogni caso, anche attenendosi a quanto affermato dall'ufficio a pag. 16 del ricorso, secondo cui nella presente causa è in contestazione solo il finanziamento erogato da S. alla contribuente, di cui l'ufficio ha ritenuto la natura fittizia, il ricorso appare infondato. Tale finanziamento appare inserirsi in una vicenda più ampia e complessa tra la contribuente e la controllante S., relativa a due operazioni immobiliari per le quali quest'ultima avrebbe concesso un finanziamento alla controllata acquirente B., la cui documentazione è ritenuta vaga e la cui registrazione contabile solleva perplessità nell'ufficio. In sostanza, la S. ha acquistato due immobili a prezzi contenuti e poco dopo li avrebbe rivenduti alla B. - sua controllata - a prezzi molto più alti, previa concessione a quest'ultima di un finanziamento, utilizzato per il pagamento della compravendita. Da vari elementi (mancanza di prova del pagamento, importo molto più alto del giro d'affari complessivo della società) l'ufficio (pag. 9-14 dell'accertamento) conclude nel senso che l'intera operazione, tra cui il finanziamento, è fittizia e recupera quindi a tassazione il costo come sopravvenienza attiva. Se questo è il fatto contestato nel presente giudizio, su questo la CTR si sofferma ampiamente a pagina 5 e pagina 6 della sentenza, dove fa riferimento anche alla asserita fittizietà del finanziamento. Poiché il motivo è stato dedotto e rubricato ai sensi dell'art. 360 n. 4 c.p.c., il vizio non appare ricorrere sia che lo si intenda come omessa pronuncia, che come mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato. E' infondato sotto il primo profilo perché la omessa pronuncia, per giurisprudenza di questa Corte, deve intendersi come l'omissione di qualsiasi decisione su di un capo di domanda (sez. VI-5, n. 28308 del 2017). Nella specie si deve ritenere che, laddove la sentenza di merito ha espressamente dichiarato che l'ufficio ha motivato "non approfonditamente" la pretesa di dichiarare simulato l'accollo ed il finanziamento effettuato dal socio, ed ha illustrato le ragioni di fatto che, a suo dire, non hanno permesso l'accoglimento dell'appello sul punto, non sia incorsa nel suddetto vizio. La stessa, infatti, si è pienamente ed espressamente pronunciata sulla domanda relativa al finanziamento in questione, motivando la decisione, cosicché il vizio dedotto non appare sussistente, a prescindere, ovviamente, da ogni valutazione sul merito della questione, non ammissibile in questa sede. Non sussiste sotto il secondo profilo perché il fatto che la sentenza si sia pronunciata sul finanziamento in questione, e cioè su quanto l'ufficio stesso afferma essere l'oggetto della causa, rende irrilevante il fatto che, eventualmente, si sia pronunciata anche su altri aspetti. Il rigetto del motivo principale comporta l'assorbimento di quello incidentale, atteso che quest'ultimo è da ritenersi, di fatto, condizionato all'accoglimento del ricorso principale, alla luce del fatto che il contribuente era integralmente vittorioso nei gradi di merito. Le spese seguono la soccombenza. Sono, pertanto, a carico dell'ufficio ricorrente e, considerando il valore della causa, si liquidano in euro 18.000.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali del presente giudizio, liquidate in euro 18.000. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 13 novembre 2018.
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