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Niente sanzioni se è colpa del consulente. La cassazione accoglie il ricorso del contribuente ed annulla le sanzioni. Il contribuente non consapevole non è sanzionabile.

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Estratto: “Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l'art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 richiede la consapevolezza del contribuente in ordine al comportamento sanzionato, sicché la sua responsabilità è esclusa in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 3412 del 6 febbraio 2019

RITENUTO CHE:

1. con sentenza n. 69/20/13, depositata il 27/3/2013, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, rigettava l'appello proposto da G. avverso la sentenza n. 5/29/12 della Commissione Tributaria Provinciale di Milano, con compensazione delle spese di lite;

2. il giudizio aveva ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento relativo all'anno 2004, ai fini Irpef, Iva ed Irap, con cui l'Agenzia delle Entrate aveva contestato l'omessa dichiarazione per quella annualità e proceduto alla ricostruzione induttiva dei redditi del contribuente;

3. la CTR della Lombardia, dato atto della rinuncia dell'appellante alla domanda relativa alla pretesa tributaria, rigettava il motivo di gravame con il quale questi aveva insistito per l'annullamento delle sanzioni, rilevando che, benché l'omessa presentazione della dichiarazione fosse da imputare esclusivamente ad un comportamento fraudolento del consulente fiscale di G., le sanzioni erano oggettivamente collegate alla maggiore imposta evasa e che il contribuente aveva la possibilità di agire in rivalsa nei confronti del professionista;

4. avverso la sentenza di appello G. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, cui l'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso;

CONSIDERATO CHE:

1. con l'unico motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell' art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c. lamentando che la CTR della Lombardia abbia rigettato la domanda pur in presenza della prova del comportamento fraudolento del professionista, e quindi mantenuto ferme le sanzioni nonostante egli fosse inconsapevole dell'illecito tributario contestato.

OSSERVA CHE:

1. Il ricorso merita accoglimento.

2. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, l'art. 5 del d.lgs. n. 472 del 1997 richiede la consapevolezza del contribuente in ordine al comportamento sanzionato, sicché la sua responsabilità è esclusa in caso di comportamento fraudolento del professionista, finalizzato a mascherare il proprio inadempimento." (Vedi Cass. n. 6930 del 2017; n. 11832 del 2016; n. 25580 del 2015). Rilevando ai fini dell'irrogazione delle sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie la coscienza e volontà, il contribuente (pur avendo l'obbligo, quando si rivolga a un intermediario abilitato per la compilazione e la trasmissione - ovvero per la sola trasmissione telematica - del modello, di far si che la dichiarazione sia correttamente e fedelmente compilata e tempestivamente presentata) non può essere chiamato e rispondere, e quindi sanzionato, per condotte non imputabili a sua negligenza.

2.1 Nel caso di specie, la CTR non si è attenuta ai principi innanzi enunciati in quanto ha mantenuto ferma la sanzione irrogata dall'Ufficio sul solo presupposto che sussistesse l'inadempimento oggettivo dell'imposta dovuta, pur dando atto, come circostanze di fatto non contestate e documentate, sia del comportamento fraudolento tenuto dal consulente finanziario, sia dell'assenza di colpa del contribuente, indotto in errore dalla consegna da parte del professionista infedele di una falsa ricevuta che attestava l'avvenuto e regolare inoltro della dichiarazione dei redditi; tali elementi, in quanto idonei ad escludere la consapevolezza rispetto al comportamento contestato, giustificano l'inapplicabilità delle comminate sanzioni.

3. Per tali motivi, la sentenza va cassata.

4. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte può decidere nel merito e annullare le sanzioni irrogate con il provvedimento impugnato.

5. Tenuto conto della rinuncia in appello alla domanda principale del ricorso originario, sussistono i presupposti per disporre la compensazione tra le parti delle spese del doppio grado di merito; alla soccombenza in questo giudizio di legittimità, segue la condanna dell'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese, che si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, annulla le sanzioni per cui è causa; compensa le spese dei gradi di merito e condanna l'Agenzia delle Entrate a pagare al contribuente le spese del presente giudizio, che si liquidano nell'importo complessivo di € 5.600,00 per compensi professionali oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Così deciso, in Roma, il 21 novembre 2018.

 

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