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Una presunta antieconomicità dell’operazione non incide sul diritto alla detrazione dell’IVA pagata. La tesi dell’Agenzia viene respinta anche dalla Cassazione con condanna alle spese. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “in tema di detrazione dell'i.v.a. assolta, ai fini della valutazione dell'inerenza dell'operazione non assume rilievo la circostanza - non presa in considerazione dal giudice di appello - della antieconomicità dell'operazione, in quanto l'inerenza non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l'Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell'assenza di connessione tra costo ed l'attività d'impresa”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 2867 del 31 gennaio 2019

RILEVATO CHE:

- l'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale delle Marche, depositata il 26 aprile 2012, che, in parziale accoglimento dell'appello proposto dalla F. s.r.I., ha dichiarato illegittimo l'avviso di accertamento con cui, relativamente all'anno 2003, era stata rideterminata l'i.v.a. dovuta e recuperata l'imposta non versata;

- dall'esame della sentenza impugnata si evince che l'atto impositivo muoveva dal disconoscimento del diritto di detrarre l'i.v.a. assolta su un corrispettivo versato alla M. s.r.l. a titolo di anticipata risoluzione del contratto di locazione, di migliorie apportate all'immobile e di indennità di avviamento commerciale, in quanto asseritamente non inerente e oggetto di un'operazione abusiva; - il giudice di appello, disattendendo la valutazione della Commissione provinciale, ha ritenuto inerente il costo sostenuto dalla contribuente, in quanto funzionale all'acquisizione della disponibilità dei locali in cui è stata poi esercitata l'attività di impresa, evidenziando l'insussistenza del contestato disegno elusivo;

- il ricorso è affidato a tre motivi; - resiste con controricorso la F. s.r.I., la quale deposita memoria ai sensi dell'art. 380 bis.1 c.p.c.;

CONSIDERATO CHE:

- con il primo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 17 e 19, d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, per aver la sentenza impugnata ritenuto sussistente il diritto alla detrazione dell'Iva assolta sull'operazione in esame pur in assenza di una relazione oggettiva, diretta e immediata, tra il costo sostenuto e l'attività imprenditoriale posta in essere; - aggiunge, sul punto, che non aveva preso in considerazione la natura antieconomica dell'operazione, sintomo del difetto del requisito della congruità del costo, mentre aveva erroneamente attribuito rilevanza al fatto che l'i.v.a. assolta era stata versata all'erario dalla società emittente la fattura;

- il motivo è infondato; - in tema di i.v.a., il principio di inerenza dei costi deducibili si ricava dalla nozione di reddito d'impresa ed esprime una correlazione tra costi ed attività in concreto esercitata, traducendosi in un giudizio di carattere qualitativo, che prescinde, in sé, da valutazioni di tipo utilitaristico o quantitativo (cfr. Cass. 17 luglio 2018, n. 18904; Cass. 11 gennaio 2018, n. 450); - una siffatta interpretazione del concetto di inerenza risulta coerente con la giurisprudenza unionale, la quale ha evidenziato che il sistema comune dell'i.v.a. garantisce la neutralità dell'imposizione fiscale per tutte le attività economiche, indipendentemente dallo scopo o dai risultati delle stesse, purché queste siano, in linea di principio, di per sé soggette all'i.v.a. e che, pertanto, il soggetto passivo è autorizzato a detrarre l'i.v.a. dovuta o versata per i beni o servizi acquistati quando, agendo in quanto tale nel momento dell'acquisto di detti beni o servizi, li utilizzi ai fini delle proprie operazioni imponibili, sia che esista un nesso diretto e immediato tra una specifica operazione a monte e una o più operazioni a valle che danno diritto a detrazione, sia che manchi un tale nesso, quando le spese sostenute fanno parte dei costi generali del soggetto passivo e rappresentano, in quanto tali, elementi costitutivi del prezzo dei beni o dei servizi che esso fornisce (cfr. Corte Giust. 22 ottobre 2015, Sveda; Corte Giust. 18 luglio 2013, AES-3C Maritza East 1; Corte Giust. 29 ottobre 2009, SKF); - nel caso in esame, la Commissione regionale ha ritenuto sussistente un nesso funzionale tra il costo sostenuto dalla società contribuente e l'attività di impresa dalla stessa esercitata, in quanto strumentale all'acquisizione immediata dei locali - poi destinati allo svolgimento dell'attività commerciale - e all'adeguamento degli stessi agli standard qualitativi richiesti dalla natura dell'attività successivamente esercitata;

- una siffatta valutazione appare coerente con i richiamati principi e, pertanto, si sottrae alla censura in esame;

- deve aggiungersi che, in tema di detrazione dell'i.v.a. assolta, ai fini della valutazione dell'inerenza dell'operazione non assume rilievo la circostanza - non presa in considerazione dal giudice di appello - della antieconomicità dell'operazione, in quanto l'inerenza non può essere esclusa in base ad un giudizio di congruità della spesa, salvo che l'Amministrazione finanziaria ne dimostri la macroscopica antieconomicità ed essa rilevi quale indizio dell'assenza di connessione tra costo ed l'attività d'impresa (cfr. Cass. n. 18904/18; nonché, Corte Giust. 2 giugno 2016, Lajvér; Corte Giust. 27 marzo 2014, Le Rayon d'Or);

- pertanto, non può attribuirsi rilevanza all'allegata antieconomicità dell'operazione in difetto della prospettazione (e della prova) del suo carattere manifesto e macroscopico, esulante dal normale margine di errore di valutazione economica e tale da assumere rilievo indiziario di non verità della fattura o di non inerenza della destinazione del bene o servizio all'utilizzo per operazioni assoggettate ad i.v.a. (cfr., in tal senso, anche Cass. 30 gennaio 2018, n. 2240);

- con il secondo motivo la ricorrente deduce la nullità della sentenza e del procedimento per violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., per aver il giudice di appello ritenuto inammissibile, in quanto tardiva, la deduzione erariale in ordine all'antieconomicità dell'operazione; - il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza della questione, in quanto, come evidenziato in precedenza, l'antieconomicità dell'operazione, in ragione della sproporzione o l'incongruenza tra il costo e il valore del bene o del servizio assume rilevanza solo quando risulti macroscopica, mentre nel caso in esame manca l'accertamento - e la contestazione - della ricorrenza di un siffatto carattere; - con l'ultimo motivo di ricorso l'Agenzia delle Entrate si duole dell'insufficiente motivazione circa fatti decisivi e controversi per il giudizio, nella parte in cui ha ritenuto l'operazione inerente senza tener conto del fatto che la contribuente aveva versato alla M. s.r.I., originaria locataria dei locali in oggetto dal proprietario sig. M., un ingente somma di denaro (oltre euro 1,5 min.) per conseguire la cessazione del contratto di locazione in anticipo di soli cinque mesi rispetto alla sua naturale scadenza e che aveva, poi, stipulato un contratto di locazione avente ad oggetto i medesimi locali con il proprietario per un canone modesto (euro 18.075,00 annui); - evidenzia, inoltre, l'assenza di considerazioni in ordine sia al fatto che il primo anno di utilizzo dei locali si era chiuso con ricavi pari a zero, sia alla inconfigurabilità a carico della contribuente di costi per indennità di avviamento, gravanti sul locatore; - il motivo è inammissibile, poiché i fatti su cui cadrebbe il vizio motivazionale non risultano essere decisivi ai fini della soluzione della controversia; - infatti, le circostanze relative agli importi versati per ottenere l'immediata risoluzione del contratto di locazione in essere tra la M. s.r.l. e il sig. M. e all'ammontare del canone di locazione pattuito con quest'ultimo, nonché ai ricavi conseguiti nel primo anno di vigenza del contratto di locazione sottoscritto dalla contribuente, non assumono rilievo ai fini del giudizio di inerenza dell'operazione, attenendo, piuttosto, a valutazioni in ordine alla congruenza della spesa che, per le ragioni suindicate, sono inidonee ad incidere sul diritto alla detrazione dell'i.v.a. assolta (salva l'ipotesi, non ricorrente nel caso in esame, di contestazione carattere manifesto e macroscopico della incongruità o antieconomicità del costo sostenuto); - pertanto, per le suesposte considerazioni, il ricorso non può essere accolto;

le spese processuali del giudizio di legittimità seguono il criterio della soccombenza e si liquidano come in dispositivo

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, che si liquidano in euro 8.000,00, oltre rimborso spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge. Così deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 24 ottobre 2018.

 

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