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Accertamento fondato su studi di settore: per essere motivato deve spiegare perché gli studi prescelti sono applicabili in concreto e perché non sono condivisibili le osservazioni del contribuente. Accolto il ricorso per cassazione della società.

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Estratto: “la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 2843 del 31 gennaio 2019

FATTI DI CAUSA

La società A. s.r.l. impugnava l'avviso di accertamento emesso, in relazione all'anno d'imposta 2004, ai fini Irpeg, Irap ed Iva, con il quale l'Agenzia delle Entrate aveva recuperato induttivamente, ai sensi dell'art. 39, comma 2, d.p.r. 600/1973 e 54 d.P.R. 633/1972, maggiori ricavi facendo applicazione dei cd. studi di settore. Deduceva la inapplicabilità degli studi di settore, poichè non tenevano conto delle caratteristiche specifiche della attività aziendale, consistente in attività di costruzione, applicazione e manutenzione di impianti/quadri elettrici a robot e a impianti robotizzati. La Commissione tributaria provinciale accoglieva il ricorso. Proposto appello dall'Ufficio, la Commissione regionale, in riforma della decisione impugnata, rigettava il ricorso della contribuente, osservando che "le considerazioni svolte dall'Ufficio fiscale confermavano la insuperabilità dei dati provenienti dallo studio di settore, dati che - una volta che in sede di contraddittorio vengono valutate eventuali situazioni particolari- prevalgono su circostanze formali (come la contabilità regolare) o su circostanze indiziarie (come la "ragionevole" fatturazione a clienti- aziende), pena il venir meno del concetto stesso che fonda gli studi di settore (che - ricordiamo - nasce certo da una elaborazione statistica, ma prudenziale, e per giunta fondata sulle dichiarazioni dei contribuenti "standard" e con la collaborazione delle associazioni di categoria)".

Avverso la suddetta sentenza ricorre per cassazione la A. s.r.I., affidandosi a tre motivi, cui resiste l'Agenzia delle Entrate mediante controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 39, comma 1, lett. d), d.P.R. 600/1973 e 54 d.P.R. 633/1972, in relazione agli artt. 62 sexies e 62 bis d.l. n. 331 del 30/8/1993, nonché degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ. La contribuente, premettendo che con l'atto impositivo impugnato l'Amministrazione aveva fatto applicazione di uno studio di settore al quale non era riconducibile la specifica attività da essa svolta e che in ogni caso non ha mai ottenuto ricavi di entità neppure prossima a quella presunta per l'anno 2004 dal relativo studio di settore, ribadisce che l'avviso di accertamento difetta di motivazione perché non evidenzia l'esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi rilevati in contabilità e quelli presunti sulla base degli studi di settore e che la Commissione regionale ha invertito le regole dell'onere probatorio, ritenendo legittimo l'operato dell'Agenzia, che si poggiava sulla applicazione automatica dello studio di settore, senza valutare gli elementi addotti a prova contraria.

2. Con il secondo e con il terzo motivo la A. s.r.l. deduce omessa o insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio e lamenta che la Commissione regionale non ha verificato se le contestazioni svolte dalla contribuente sia nella fase precontenziosa che nel corso del giudizio di merito fossero idonee ed adeguate per dimostrare la contestata non rappresentatività del cluster assegnato dall'Ufficio e per giustificare lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli desumibili dall'applicazione degli studi di settore. Rileva, in particolare, che la motivazione resa dai giudici di secondo grado non consente di identificare il criterio logico che li ha indotti a ritenere raggiunta la prova presuntiva di sussistenza di ricavi non dichiarati, avendo la C.T.R. genericamente richiamato una presunta insuperabilità dei dati provenienti dallo studio di settore.

3. Il secondo ed il terzo motivo che, per evidente stretta connessione, possono essere trattati unitariamente, vanno accolti, con assorbimento del primo motivo.

4. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standards in sé considerati — meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale sede, quest'ultimo ha l'onere di provare, senza alcuna limitazione di mezzi, la sussistenza di condizioni che giustificano l'esclusione dell'impresa dall'area dei soggetti cui possono essere applicati gli standards o la specifica realtà dell'attività economica nel periodo in contestazione, mentre la motivazione dell'atto di accertamento non può esaurirsi nello scostamento, ma deve essere integrata con la dimostrazione dell'applicabilità in concreto dello standard prescelto e con le ragioni per le quali sono state disattese le contestazioni sollevate dal contribuente. L'esito del contraddittorio non condiziona l'impugnabilità dell'accertamento, potendo il giudice tributario liberamente valutare tanto l'applicabilità degli standards al caso concreto, da dimostrarsi dall'ente impositore, quanto la controprova offerta dal contribuente che non è vincolato alle eccezioni sollevate nella fase del procedimento amministrativo e può far ricorso a presunzioni semplici, anche se non ha risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa (Cass. Sez. U. 18/12/2009, n. 26635; n. 9484 del 12/4/2017).

5. Nel caso di specie la Commissione regionale, omette di spiegare, in tal modo incorrendo nel denunciato vizio di motivazione, il percorso logico giuridico posto a fondamento del proprio convincimento, in quanto manca di esprimere una compiuta valutazione circa i rilievi mossi dalla contribuente in ordine alla applicabilità dello studio di settore prescelto al caso concreto e di operare un adeguato esame delle giustificazioni offerte dalla stessa contribuente, la quale - come emerge dai motivi di impugnazione ritrascritti nel ricorso per cassazione, in omaggio al principio di autosufficienza - aveva fatto presente non solo che operava esclusivamente con imprese che richiedevano sempre la fatturazione dei costi ai fini della loro deducibilità, ma anche che non aveva mai raggiunto ricavi di entità prossima a quelli presunti per l'anno 2004 dallo studio di settore applicato. La C.T.R. si è piuttosto limitata ad esprimere un giudizio, meramente apodittico, di "insuperabilità" dei dati desunti dall'Ufficio dalla applicazione degli studi di settore, e, quindi, di adeguatezza dell'operato dell'Ufficio, omettendo di esaminare in modo adeguato le controdeduzioni svolte dalla contribuente in sede di contraddittorio ed in sede contenziosa ed esimendosi dal valutare, pur a fronte delle contestazioni sul punto sollevate, se sussistevano le condizioni che giustificassero l'inclusione dell'attività svolta dalla società nell'area dei soggetti cui potevano essere applicati gli standards concretamente utilizzati dall'Amministrazione ai fini della rideterminazione del reddito d'impresa.

5.1. Come chiarito da questa Corte, la motivazione omessa o insufficiente è configurabile qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un'inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest'ultimo tesa all'ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione. (Cass. Sez. U, n. 24148 del 25/10/2013).

6. In accogliento delle esposte censure la sentenza impugnata va pertanto cassata e la causa deve conseguentemente essere rinviata al giudice a quo, il quale provvederà anche al regolamento delle spese del presente giudizio di legittimità

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo ed il terzo motivo di ricorso e dichiara assorbito il primo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso nella camera di consiglio il 15 ottobre 2018

 

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