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Tra le professioni più ambite lavorare nell'artigianato e nel design, specie in quello del lusso, costituisce l’ambizione di molti giovani.
Tra questi certamente spicca il settore della fabbricazione di oggetti di gioielleria e oreficeria che può essere molto soddisfacente anche a livello economico e nel quale l’Italia vanta una lunga tradizione e cultura, specie in alcuni distretti italiani.
L’attività artigianale di oreficeria si differenzia da quella dedita al commercio puro e semplice di oggetti di gioielleria ed orologi, dove il venditore si occupa della cessione al pubblico di oggetti preziosi che non produce direttamente, ma acquista da terzi produttori.
L’orafo, invece, può essere definito dunque come quell’artigiano che crea oggetti di pregio partendo dalla lavorazione di metalli preziosi, quali oro, platino e argento. In particolare, l’addetto alle lavorazioni orafe si occupa di tutte le fasi di lavorazione svolte all’interno di un laboratorio di produzione specializzato, partendo dalla preparazione, montaggio e finitura di oggetti orafi e gemme preziose.
La sua attività si svolge all’interno di laboratori artigiani dotati di strumentazione specifica dove vengono realizzati i prototipi da impiegare sia per la produzione seriale che per i pezzi unici di tipo artigiano. Le competenze di un orafo, pertanto, sono impiegate sia all’interno di aziende orafe di medio/grande dimensione sia all’interno di laboratori artigianali di piccole dimensioni o società facenti capo all’orafo.
Quella dell’orafo è una professione molto richiesta la cui domanda è addirittura superiore all’offerta. Un orafo, infatti, deve avere possedere una buona esperienza oltre ad una qualifica che attesti le sue conoscenze. Per quanto riguarda il percorso formativo, allo stato attuale non sono previsti appositi percorsi scolastici per diventare orafi, che rilasciano attestati e qualifiche. Vengono però organizzati degli appositi corsi sul design del gioiello e tecniche orafe e sull’analisi strumentale quali fluorescenza a raggi X, assorbimento atomico, coppellazione, che sono le basi della professione.
Acquisito il titolo quella dell’orafo è una professione che assicura buone possibilità di carriera e, generalmente, è molto ben remunerata.
Terminati i corsi, la strada che si può intraprendere è duplice. C’è chi predilige una carriera di tipo aziendale, prestando la propria professionalità per grandi brand di gioielli. Altri, invece, scelgono di mettersi in proprio, aprendo un laboratorio artigiano di proprietà e creando una propria linea di gioielli. Questo tipo di carriera è adeguata agli orafi più creativi, quelli che sono in grado di interpretare l'arte orafa con personalità e stile, creando gioielli di design.
In questo caso l’orafo può produrre per terzi committenti, anche sulla base di un’idea, oppure può decidere di affiancare al laboratorio artigiano anche la vendita al dettaglio di suoi manufatti orafi.
In questi casi l’orafo diventa artigiano e imprenditore di sé stesso ed è tenuto ad osservare tutti gli adempimenti, anche fiscali, relativi al commercio al dettaglio di prodotti orafi.
Dal punto di vista burocratico l’orafo che intende aprire un suo laboratorio e punto vendita deve innanzitutto iscriversi presso l'Albo delle imprese artigiane competente per territorio oltre che nel registro degli assegnatari dei marchi di identificazione. Deve aprire una sua partita Iva e regolarizzare la sua posizione previdenziale, avere la disponibilità di locali idonei sia al laboratorio che alla vendita, e possedere le prescritte autorizzazioni alle emissioni in atmosfera. Non è invece prevista l’autorizzazione della Questura per l’esercizio dell’attività di orafo.
Adempimenti e controlli fiscali per orafi
Gli obblighi contabili a cui deve far fronte un orafo che apre una sua attività autonoma sono diversi e variano dalla dimensione e dalla forma giuridica prescelta per l’esercizio dell’impresa artigiana.
A prescindere dalla dimensione, ogni orafo può essere destinatario di accertamenti e controlli fiscali, considerato il valore intrinseco della materia prima da lui trattata: principalmente oro.
Innanzitutto, di fondamentale importanza per il buon esito delle attività ispettive condotte dal nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, sono le analisi della documentazione rinvenuta in occasione delle ricerche presso il laboratorio artigiano. Tra queste si ricorda l’analisi dei contratti sottoscritti da privati o aziende committenti, e-mail, preventivi, e verifica di tutta la documentazione contabile ed extracontabile rinvenuta nel corso della verifica.
Le contestazioni maggiormente mosse agli orafi riguardano la presunta realizzazione di un maggior reddito derivante dalla produzione e vendita di prodotti aurei e gemme preziose che viene sottratto all’imposizione fiscale.
Il problema per questo tipo di attività si pone soprattutto in relazione all’acquisto estero delle materie prime. Si teme, infatti, che la cessione di questi materiali preziosi, spesso provenienti dall’estero e da paesi a fiscalità privilegiata, avvenga in evasione di imposta. In sostanza, l’accusa per gli orafi è quella di aver acquistato oro sotto forma di verghe aurifere, rottami o oro destinato alla fusione, prodotti di oreficeria, in nero. Questa presunzione, però deve essere oggetto di una precisa e puntuale dimostrazione da parte degli accertatori non bastando una semplice comparazione tra il prezzo pagato e quello che si sarebbe sostenuto ricorrendo a fornitori italiani.
Il problema si pone in primis per gli approvvigionamenti di metalli preziosi importati da Paesi che non siano membri dell’Unione europea. In queste circostanze molto spesso accade che, di fronte alle accuse, l’orafo riesca a dimostrare il regolare acquisto di oro ad esempio indicandolo in millesimi, riportando il marchio di responsabilità del fabbricante estero o il marchio di identificazione dell’importatore, quindi fornendo tutte le prove sulla provenienza e tracciabilità dell’acquisto.
A questo tema si ricollega quello della dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture per operazioni inesistenti, di cui si teme siano artefici gli orafi.
La presunzione consiste nell’indicazione all’interno della dichiarazione fiscale di elementi passivi fittizi realizzati tramite false fatture. Anche questa accusa va dimostrata nel concreto, provando la mancata esistenza dei rapporti commerciali tra la società orafa e gli altri soggetti indicati nella fattura, che in realtà risulterebbero inesistenti.
La questione più nodosa riguarda però quella relativa all’esatta percentuale di recupero da porre alla base della contabilizzazione fiscale in quanto la lavorazione dell’oro comporta una dispersione e, quindi, una perdita del quantitativo lavorato.
Per tutte per ragioni, che sono spesso oggetto di contenzioso per gli esercenti la professione orafa chiamati a versare maggiori imposte al fisco, l’unica via è quella del ricorso alle commissioni tributarie.
Comm. Trib. Prov. Arezzo, sentenza n. 322 del 08/05/2018
Questo caso ha avuto origine da un avviso di accertamento notificato ad un esercente l'attività di lavorazione metalli preziosi al quale, è all’esito di una verifica fiscale, venivano contestati presunti maggiori recuperi di oro fino rispetto a quelli dichiarati che hanno determinato maggiori ricavi ai fini Iva, Irpef ed Irap. In particolare l'ufficio tributario ha accertato una differenza nel recupero dei cali di lavorazione dell'oro fino.
L’orafo ha immediatamente rilevato diversi errori in cui sarebbe incorso l'Ufficio. In primis, infatti, l'accertamento sarebbe illegittimo in quanto fondato sul metodo analitico induttivo e non era stata in alcun modo provata l'inattendibilità delle scritture contabili. In secondo luogo, vi sarebbe stato un grave errore di calcolo e di metodo da parte dell’Amministrazione finanziaria per quanto riguarda la resa dell’oro, basato su studi generalizzati che non avrebbero tenuto conto della realtà operativa dell’orafo.
La Commissione tributaria ha accolto il ricorso del contribuente ritenendo, innanzitutto, che non vi fossero i presupposti per procedere ad un accertamento induttivo in quanto il contribuente avrebbe giustificato in modo appropriato e verosimile tutte le contestazioni effettuate dall'Ufficio.
In secondo luogo, l’Agenzia avrebbe commesso errori anche per quanto riguarda la quantità di calo dell’oro. Non è possibile infatti, stabilire preventivamente, con esattezza, il calo effettivo che subirà il metallo durante la lavorazione. Ed infatti, la percentuale di oro non è presente nelle varie parti del manufatto in modo uniforme e deve sempre essere ammessa una tolleranza. Inoltre, l’Agenzia non avrebbe tenuto conto della specificità dei prodotti realizzati dall’orafo, molto leggeri e lavorati con una tecnica vuota saldata e lucidata a mano.
Comm. Trib. Reg. per la Sardegna - sentenza n. 127/08/11
In questa vicenda l'Agenzia delle Entrare, a seguito dell’accertamento condotto nei confronti di una società di produzione orafa e nello specifico una s.r.l. di cui l'intimato risultava essere unico socio rideterminava il reddito da capitale del contribuente.
Il contribuente contestava immediatamente l'accertamento ritenendolo infondato. A suo avviso, infatti, l’Ufficio Tributario avrebbe sbagliato il presupposto impositivo partendo dall’idea di una presunta realizzazione di un maggior reddito da parte della società, poi distribuito a favore del socio/contribuente nello stesso anno.
L’agenzia delle Entrate, al contrario, riteneva corretto il calcolo che trova applicazione per le società di capitali a ristretta base azionaria, come nel caso specifico dove addirittura vi era un solo socio. Contestava, inoltre, la mancata prova da parte del contribuente circa la sua posizione reddituale, ritenendo che non avesse fornito alcuna prova contraria circa la propria posizione.
I giudici della commissione tributaria regionale hanno, invece, accolto il ricorso del contribuente ritenendo non provata la presunzione di maggior reddito realizzata dalla società orafa. Pertanto, non vi era stata alcuna distribuzione di utili sul reddito dell’unico socio contribuente.
Comm. Trib. Prov. Alessandria, sentenza n. 24 del 06/03/2012
Anche questa vicenda giudiziaria ha preso avvio da un avviso di accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate accertava maggiori ricavi e, quindi, maggiori redditi a carico di una società di lavorazione orafa.
Quest’ultima contestava il valore di manifattura che l’Ufficio dei tributi aveva attribuito all’oro puro non contabilizzato, in quanto tale costo teneva in considerazione una sola fattura presa a campione dagli accertatori.
I giudici della commissione tributaria hanno condiviso l’impostazione del contribuente, ritenendo illegittimo l’avviso accertamento.
In particolare, i giudici hanno ritenuto illegittima la pretesa dell'Agenzia delle Entrate di determinare il valore di manifattura dell'oro lavorato facendo riferimento ad una sola fattura. In tali casi, infatti, l’ente impositore effettua una doppia imposizione, non ammessa dalla legge.
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