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Se le fatture sono false soggettivamente il costo è comunque deducibile, anche in caso di consapevolezza del contribuente. L’IVA è detraibile se il contribuente non era consapevole. Cassazione rigetta il ricorso dell’Agenzia delle Entrate

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Estratto: “sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, che siano o meno inserite in una "frode carosello", per il solo fatto che sono stati sostenuti; che, pertanto, va ribadito il principio secondo cui devono tenersi distinti gli effetti della condotta del contribuente in relazione alla disciplina dell'IVA, ed a quella delle imposte dirette, in quanto, nel primo caso, la condotta dolosa o consapevole del cessionario, a cui è parificata l'ignoranza colpevole, impedisce l'insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, non essendo l'apparente cedente l'effettivo fornitore, mentre, nel caso delle imposte dirette, l'illecito o la mera consapevolezza di esso non incide sulla realtà dell'operazione economica e sul pagamento del corrispettivo in cambio della consegna della merce, per cui il costo dell'operazione, ove imputato al conto economico, può concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell'esercizio dell'attività d'impresa”.

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Corte di Cassazione, Sez. V

Ordinanza n. 21308 del 29/08/2018

RITENUTO che l'Agenzia delle Entrate, a seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, emetteva, nei confronti della A. s.r.l., avviso di accertamento n. X, notificato il XX/XX/2001, relativo all'anno d'imposta 1995, per maggiore Irpeg e Ilor, oltre interessi e sanzioni, ed ai sensi dell'art. 39, comma 2, lett. d), d.p.r. n. 600 del 1973, contestava l'indebita deduzione di costi relativi a operazioni soggettivamente inesistenti, relative a fatture emesse dalla A s.r.l., con sede in Formia (LT), rivelatasi "società cartiera", applicava la percentuale di redditività del 5%, e rideterminava così i ricavi dichiarati; che l'adita CTP di Messina accoglieva il ricorso della contribuente, e la CTR della Sicilia, con la sentenza n. 51/02/10, depositata 1'11/5/2010, respingeva l'appello erariale sul rilievo che "le violazioni fiscali delle ditte fornitrici non possono ripercuotersi sulla società acquirente, quando questa ha dimostrato e documentato (anche contabilmente) di aver assolto ai propri impegni, provando che i contestati acquisti di animali vivi venivano definiti regolarmente con effettivi pagamenti accertati in base alla documentazione prodotta ed allegata in atti (bolle di accompagnamento, bonifici bancari, ordini e fatture pagate), avendo correttamente assolto a tutti gli obblighi contabili e al pagamento delle fatture e dell'IVA dovuta"; che l'Agenzia delle Entrate impugna, con un motivo, la sentenza di secondo grado, mentre la intimata resiste con controricorso;

CONSIDERATO che con il motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 21, comma 7, d.p.r. n. 633 del 1972, e 2697 c.c., giacché ad avviso dell'Agenzia delle Entrate non basta ad escludere la responsabilità del contribuente l'effettività oggettiva dell'operazione di acquisto della merce, nonché il pagamento della stessa, quando si utilizzano fatture soggettivamente inesistenti, in quanto l'emissione della fattura da parte di soggetto diverso da quello che ha eseguito la cessione o la prestazione, va qualificata come operazione soggettivamente inesistente, la quale da un lato obbliga al versamento della relativa imposta, ai sensi del richiamato art. 21, comma 7, d.p.r. n. 633 del 1972, e dall'altro non consente la detrazione al soggetto che non è stato la controparte del rapporto medesimo, ai sensi dell'art. 19, d.p.r. citato, per cui spetta alla società A., che intende avvalersi delle fatture, ai fini della deduzione del costo e della detrazione dell'IVA, provare che ciascuna operazione è avvenuta con il soggetto che dalla fattura risulta essere il cedente della merce, non bastando, sul piano probatorio, la circostanza che la merce sia stata consegnata ed il corrispettivo pagato; che, preliminarmente, devono rigettarsi la eccezione di inammissibilità del ricorso sollevate dalla società A., perché, anche con riguardo agli atti e alla documentazione su cui esso si fonda, rispetta i requisiti formali richiesti dagli artt. 366 e 369 c.p.c., non si limita alla denuncia di un errore di diritto a norma dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, ma indica in maniera adeguata la situazione di fatto della quale chiede una valutazione giuridica; che la ricorrente si duole della decisione del giudice di appello perché erroneamente valorizza la circostanza che la contribuente aveva ricevuto la merce e pagato il corrispettivo, laddove ciò non sarebbe invece sufficiente per escludere le conseguenze della consapevolezza della operazione soggettivamente inesistente, non essendo indifferente che il cedente/prestatore sia quello effettivo o la "società cartiera", donde la necessaria conclusione che il diritto alla detrazione dell'imposta pagata sugli acquisti non possa mai prescindere dalla regolarità giuridica dell'operazione effettuata; che la censura erariale non coglie la ratio decidendi della sentenza impugnata e, conseguentemente, va respinta; che, infatti, oggetto della controversia non è il diritto alla detrazione dell'IVA pagata, ai fini della compensazione tra il tributo armonizzato assolto e quello riscosso, ma quello, affatto distinto, della deducibilità dei costi sostenuti dall'impresa, ai fini Irpeg ed Ilor; che, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, "In tema di imposte sui redditi, a norma dell'art. 14, comma 4 bis, legge 24 dicembre 1993, n. 537, nella formulazione introdotta con l'art. 8, comma 1, del d.l. 2 marzo 2012, n. 16 (convertito con la legge 26 aprile 2012, n. 44), l'acquirente dei beni può dedurre i costi relativi ad operazioni soggettivamente inesistenti (non utilizzati direttamente per commettere il reato), anche per l'ipotesi in cui sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi che, a norma del Testo Unico delle imposte sui redditi approvato con d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, siano in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità." (Cass. n. 24426/2013 e n. 25249/2016); che, dunque, a seguito della suindicata modifica apportata all'art. 14, co. 4 bis, della I. n. 537 del 1993, novella che opera quale jus superveniens avente efficacia retroattiva in bonam partem, stante il tenore del comma 3 del medesimo articolo, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti, che siano o meno inserite in una "frode carosello", per il solo fatto che sono stati sostenuti; che, pertanto, va ribadito il principio secondo cui devono tenersi distinti gli effetti della condotta del contribuente in relazione alla disciplina dell'IVA, ed a quella delle imposte dirette, in quanto, nel primo caso, la condotta dolosa o consapevole del cessionario, a cui è parificata l'ignoranza colpevole, impedisce l'insorgenza del diritto alla detrazione per mancato perfezionamento dello scambio, non essendo l'apparente cedente l'effettivo fornitore, mentre, nel caso delle imposte dirette, l'illecito o la mera consapevolezza di esso non incide sulla realtà dell'operazione economica e sul pagamento del corrispettivo in cambio della consegna della merce, per cui il costo dell'operazione, ove imputato al conto economico, può concorrere nella determinazione della base imponibile ai fini delle imposte dirette nella misura in cui il bene o servizio acquistato venga reimpiegato nell'esercizio dell'attività d'impresa e sempre che non venga utilizzato per il compimento di un delitto non colposo (Cass. n. 13803/2014); che, nel caso di specie, tale ultimo profilo non è in discussione, ed anzi la intimata società ha allegato la circostanza che il Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto, con sentenza del 12/6/1998, ha dichiarato non luogo a procedere nei confronti di L.P., legale rappresentante della società An., in ordine al reato di cui agli artt. 81 cpv c.p., 4, comma 1, lett. d)-f), I. n. 516 del 1982, per aver utilizzato fatture per operazioni inesistenti, e dichiarato redditi con indicazione di componenti negativi in misura diversa da quella effettiva, fatto in tesi derivante, per quanto qui d'interesse, anche dalle fatture emesse dalla società Ad.; che le spese del giudizio di legittimità in considerazione dello jus superveniens vanno compensate;

P.Q.M. La Corte, rigetta il ricorso e compensa le spese del presente giudizio.

 

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DLP