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Diniego compensazione credito IVA. Il provvedimento era viziato in quanto non sufficientemente motivato. Anche la Cassazione conferma che la ragione era dalla parte del contribuente.

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Estratto: “l'atto di diniego non era sufficientemente motivato in quanto non erano stati indicati espressamente i criteri di calcolo sulla cui base l'ufficio aveva ritenuto di non potere riconoscere il diritto alla compensazione del credito iva”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 3609 del 13 febbraio 2020

rilevato che:

dall'esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l'Agenzia delle entrate aveva emesso nei confronti del C. D. e L. s.r.l. un provvedimento di diniego della compensazione del credito Iva 2007 con un debito Iva trimestrale; avverso il suddetto provvedimento la società contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Avellino per difetto di motivazione; avverso la pronuncia del giudice di primo grado l'Agenzia delle entrate aveva proposto appello; la Commissione tributaria regionale della Campania ha rigettato l'appello dell'Agenzia delle entrate, in particolare ha ritenuto che l'atto di appello si limitava a riproporre le medesime questioni prospettate in sede di giudizio di primo grado senza argomentare su come l'ufficio era pervenuto alla determinazione dell'aliquota media, il cui valore era ostativo al riconoscimento del diritto alla compensazione, e, inoltre, circa la mancata contabilizzazione, ai fini della determinazione dell'aliquota media, di euro 1.568.057,00 di operazioni senza addebito di imposta; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l'Agenzia delle Entrate affidato a due motivi di censura, cui resiste la società contribuente depositando controricorso, illustrato con successiva memoria;

considerato che:

con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 112, cod. proc. civ., in combinato disposto con l'art. 57, decreto legislativo n. 546/1992, e con l'art.  30, commi 2 e 3, d.P.R. n. 633/1972, per non avere statuito sul motivo di appello con il quale l'ufficio aveva contestato la decisione del giudice di primo grado che aveva ritenuto il difetto di motivazione dell'atto impugnato, considerato che non vi era alcuna necessità dell'indicazione specifica dei metodi di calcolo dell'aliquota media da applicare nel rapporto tra le vendite e gli acquisti, poiché la stessa era ricavabile dagli elementi forniti dalla stessa parte contribuente;

il motivo è infondato; la questione centrale della controversia in esame attiene alla sufficienza motivazionale del provvedimento di diniego della compensazione del credito Iva 2007 con un debito Iva trimestrale; su tale questione il giudice di primo grado si era pronunciato nel senso del difetto di motivazione, in quanto il provvedimento di diniego non specificava le modalità di calcolo dell'aliquota media, secondo quanto previsto dall'art. 30, comma 2 e 3, d.P.R. n. 633/1972; il giudice del gravame si è espresso in ordine alla questione del difetto di motivazione dell'atto impugnato precisando che: al di là di una sterile riproposizione dei motivi di primo grado non argomenta sul  come è arrivato alla determinazione della aliquota media che, a suo dire pregiudicava la compensazione; si tratta, invero, di una motivazione concisa che, tuttavia, ha affrontato la questione in esame esponendo il ragionamento logico sulla cui base ha ritenuto che l'atto impositivo era privo di motivazione;

va altresì osservato che nel ricorso si legge che parte ricorrente aveva proposto appello avverso la decisione del giudice di primo grado sostenendo che l'aliquota media, condizione che si verifica quando l'aliquota media vendite maggiorata del 10% è inferiore all'aliquota media su acquisti (nel caso di specie la prima 20,95% la seconda pari al 18,87%), tale condizione oltre ad essere presupposto legittimante la compensazione del credito Iva trimestrale è anche presupposto di legge per il rimborso del credito Iva trimestrale ai sensi dell'art. 30, comma 3, lett. A del d.P.R. 633/972. Presupposto che non si è realizzato nel caso di specie e che non ha legittimato la compensazione del credito Iva relativo al secondo trimestre 2007 che, pertanto, risulta indebitamente effettuata.

L'ufficio ha motivato il provvedimento di diniego e di fatto il contribuente avrebbe dovuto sia in fase precontenziosa sia in giudizio contestare i dati numerici notificati dall'ufficio, tratti dalle fatture e dalla documentazione contabile prodotta dalla parte dalla quale emerge con tutta evidenza la mancanza dei presupposti in discussione (vedi schema di analisi allegato dalle difese in primo grado);

il motivo di appello in esame, in realtà, prospetta, in generale, i profili normativi di riferimento ed indica le percentuali delle aliquote medie delle vendite e degli acquisti, ma non contiene una esplicita contestazione della ragione di fondo sulla quale si era fondata la decisione del giudice di primo; cioè, che l'atto di diniego non era sufficientemente motivato in quanto non erano stati indicati espressamente i criteri di calcolo sulla cui base l'ufficio aveva ritenuto di non potere riconoscere il diritto alla compensazione del credito iva; è in relazione a quanto espressamente dedotto dall'Agenzia delle Entrate con il suddetto atto di appello che si è espresso il giudice del gravame laddove ha rilevato che, in realtà, il motivo di appello non era altro che una mera riproposizione delle ragioni già dedotte in sede di deduzione di primo grado e che, quindi, quanto contestato con l'atto di appello non era idoneo a fare venire meno la considerazione del difetto di motivazione dell'atto impugnato; sotto tale profilo, non sussiste alcuna violazione dell'art. 112, cod. proc. civ., avendo il giudice di appello pronunciato nei limiti di quanto dedotto dalla parte appellante;

con il secondo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 24 e 56, decreto legislativo n. 546/1992, per avere pronunciato sulla questione dell'omessa contabilizzazione delle operazioni senza addebito di imposta;

va evidenziato, a tal proposito, che la questione della mancata contabilizzazione, da parte dell'ufficio, di operazioni senza addebito di imposta, pur affrontata dal giudice del gravame, ma ai soli fini della infondatezza, nel merito, della pretesa, non assume rilevanza in considerazione della valutazione di fondo della non sufficiente motivazione dell'atto impugnato, profilo che non è stato inciso, come visto, dalla censura espressa con il primo motivo di ricorso; sicchè, il motivo in esame è assorbito dal rigetto del primo motivo di ricorso con il quale, come visto, si è contestato il punto della decisione con la quale si è ritenuto il difetto di motivazione dell'atto impugnato;

in conclusione, il primo motivo di ricorso è infondato, assorbito il secondo, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio; non sussistono i presupposti per il raddoppio del contributo unificato, essendo parte ricorrente una amministrazione pubblica per la quale ricorre il meccanismo di prenotazione a debito delle spese;

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della controricorrente che si liquidano in complessive euro 7.300,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento e accessori di legge. Non sussistono i presupposti per l'applicazione nei confronti della ricorrente dell'art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall'art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012.

Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, addì 10 settembre 2019.

 

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