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Nel caso di deposito fiscale c.d. virtuale l’Agenzia non può pretendere l’IVA comunque adempiuta in inversione contabile. La pretesa contrasta con il principio di neutralità. Accolti i 5 motivi di ricorso del contribuente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “Secondo la ripetuta ed unanime giurisprudenza della Corte, sulla scorta della giurisprudenza unionale, in caso di deposito fiscale cd. «virtuale», in assenza di frodi, qui non in discussione, l'Amministrazione non può pretendere l'Iva all'importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il «fisico» deposito in un semplice adempimento «formale» che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo ove il contribuente «abbia già provveduto all'adempimento, sebbene tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Ordinanza n. 32748 del 12 dicembre 2019

RILEVATO CHE

A seguito di verifica fiscale nei confronti della V. Spa, titolare di un deposito Iva ex art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1993, emergeva che la T. Srl aveva omesso il versamento dell'Iva all'importazione - in relazione alle dichiarazioni doganali n. XXX del 25/9/2006, n. XXX del 5/10/2006, n. XXX del 14/11/2006 e n. XXX del 20/10/2006 - attesa l'immissione solo virtuale di merce extra UE nel detto deposito, così avvalendosi indebitamente del trattamento agevolativo della sospensione del pagamento dell'Iva ivi prevista, ragion per cui l'Agenzia delle dogane notificava atti di contestazione e di irrogazione di sanzioni. L'impugnazione era respinta dalla CTP di Livorno, decisione poi confermata dal giudice d'appello. T. Srl propone ricorso per cassazione con sei motivi, chiedendo altresì rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE. Resiste l'Agenzia delle dogane con controricorso.

CONSIDERATO CHE

1. Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 14 e 201 CDC e 13 d.lgs. n. 471 del 1997 in ordine alla responsabilità dell'importatore e al difetto del requisito soggettivo di punibilità della sanzione perché estraneo alla gestione del deposito.

1.1. Il secondo motivo denuncia, sulla medesima questione, violazione dell'art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia sul difetto del requisito soggettivo.

1.2. Il terzo motivo denuncia violazione degli artt. 50 bis, comma 4, d.l. n. 331 del 1993, conv. nella I. n. 427 del 1993, 2, 3 e 4 d.m. n. 319 del 1997, 16 comma 5 bis, d.l. n. 125 del 2002, conv. nella n. 2 del 2009, 16 direttiva 1977/388/CEE e 157 direttiva 2006/112/CE, deducendo l'inesistenza di un obbligo di introduzione fisica nel deposito.

1.3. Il quarto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 6, comma 9 bis, d.lgs. n. 471 del 1997 per erronea individuazione della sanzione applicabile.

1.4. Il quinto motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997 per erroneo computo della sanzione.

1.5. Il sesto motivo denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 3, 9, e 10 I. n. 241 del 1990, 7 I. n. 212 del 2000 e 11 d.lgs. n. 374 del 1990 e violazione delle norme sul giusto procedimento, nonché insufficiente motivazione.

1.6. La contribuente chiede, infine, rinvio pregiudiziale in relazione alla disciplina del deposito doganale e del relativo regime Iva.

2. Va esaminato preliminarmente il sesto motivo, di carattere pregiudiziale, che è inammissibile quanto alla censura di insufficiente motivazione, non più consentita ratione temporis trattandosi di sentenza pubblicata il 10 ottobre 2012, ed è infondato quanto alla dedotta violazione di legge.

2.1. La questione involge la circostanza che l'atto di contestazione delle sanzioni non menzionava le osservazioni presentate dal contribuente e le ragioni per cui erano state disattese. Occorre tuttavia osservare che, alla luce di quanto accertato dalla CTR e dedotto in ricorso, le richiamate osservazioni sono state presentate in relazione all'avviso di accertamento per l'omesso pagamento del tributo e non anche al provvedimento di irrogazione delle sanzioni, sicché non sussiste la dedotta violazione. Del resto, secondo la consolidata giurisprudenza della Corte, è valido l'avviso ancorché non menzioni le osservazioni del contribuente «atteso che, da un lato, la nullità consegue solo alle irregolarità per le quali sia espressamente prevista dalla legge oppure da cui derivi una lesione di specifici diritti o garanzie tale da impedire la produzione di ogni effetto e, dall'altro lato, l'Amministrazione ha l'obbligo di valutare tali osservazioni, ma non di esplicitare detta valutazione nell'atto impositivo» (Cass. n. 8378 del 31/03/2017; Cass. n. 3583 del 24/02/2016).

3. I primi cinque motivi, che meritano un esame congiunto risultando tutti strettamente connessi, sono fondati nei limiti di seguito esposti.

3.1. Va preliminarmente rilevato che in tema di depositi fiscali ai fini Iva, previsti dall'art. 50 bis del d.l. n. 331 del 1993, convertito, con modificazioni, nella I. n. 427 del 1993, l'esenzione dall'Iva all'importazione per l'ammissione in libera pratica di beni non comunitari presuppone l'effettivo immagazzinamento della merce, essendo la materialità del deposito, anche se non esplicitamente prevista dalla norma, insita nella stessa nozione civilistica del termine e richiesta dalla corrispondente disciplina comunitaria (artt. 98-110 CDC, applicabile ratione temporis), con la conseguenza che, in mancanza di tale presupposto, l'Iva all'importazione è dovuta, in via solidale, da tutti i soggetti che abbiano concorso all'irregolare introduzione della merce. Siffatta conclusione non è incisa dall'invocato art. 16, comma 5-bis, del d.l. n. 185 del 2008, conv. dalla I. n. 2 del 2009, secondo cui «la lettera h) del comma 4 dell'articolo 50-bis del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427, si interpreta nel senso che le prestazioni di servizi ivi indicate, relative a beni consegnati al depositario, costituiscono ad ogni effetto introduzione nel deposito i.v.a.», in quanto tale norma si riferisce alla sola lett. h) dell'art. 50-bis, quarto comma, ossia alle prestazioni di servizi, comprese le operazioni di perfezionamento e le manipolazioni usuali, relative a beni custoditi in un deposito Iva, e non già alle operazioni, rilevanti nel caso in esame, di immissione in libera pratica di beni non comunitari destinati ad essere introdotti in un deposito Iva, oggetto della lettera b) del medesimo comma.

E del resto la giurisprudenza unionale ha confermato la piena compatibilità della legislazione e della giurisprudenza interna in tema di obbligatorietà dell'inserimento effettivo della merce nel deposito Iva, riconoscendo ai singoli Stati la possibilità di determinare le modalità con le quali fare operare il sistema del deposito fiscale dal quale derivare il beneficio dell'esenzione del pagamento dell'Iva ai sensi dell'art. 16, paragrafo 1, della sesta direttiva CEE (vedi, Corte Giustizia, 17 luglio 2014, Equoland; Corte Giustizia, 18 dicembre 2008, Sopropé).

3.2. Diversa è, invece, la conclusione quanto alle modalità di assolvimento dell'Iva. Secondo la ripetuta ed unanime giurisprudenza della Corte, sulla scorta della giurisprudenza unionale, in caso di deposito fiscale cd. «virtuale», in assenza di frodi, qui non in discussione, l'Amministrazione non può pretendere l'Iva all'importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il «fisico» deposito in un semplice adempimento «formale» che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo ove il contribuente «abbia già provveduto all'adempimento, sebbene tardivo, dell'obbligazione tributaria nell'ambito del meccanismo dell'inversione contabile mediante un'autofatturazione ed una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite» (a partire Corte di Giustizia sentenza 17 luglio 2014 in C-272/13, Equoland, v., tra le tante, Cass. n. 15988 del 29/07/2015; Cass. n. 16109 del 29/07/2015; Cass. n. 17815 del 08/09/2015; Cass. n. 10911 del 26/05/2016; Cass. n. 12231 del 17/05/2017; Cass. n. 18931 del 17/07/2018; Cass. n. 3101 del 01/02/2019; Cass. 14977 del 31/05/2019).

3.3. In tale evenienza, peraltro, come pure sottolineato dalla Corte di Giustizia, la violazione, di natura formale, può essere punita con una specifica sanzione in relazione allo scarto temporale tra dichiarazione e autofatturazione.

In buona sostanza la fattispecie concreta costituisce comunque una violazione della normativa d'imposta, ma va "derubricata" in violazione formale, essenzialmente consistente in un ritardo nel versamento del dovuto da parte dell'importatore, sicché, attesa la natura di tributo interno dell'Iva all'importazione (e la sua identità, in tal senso, alla cd. Iva interna), legittimamente l'Amministrazione ha fatto riferimento, rispetto alla sanzione applicata, all'art. 13 d.lgs. n. 471 del 1997. E del resto tale disposizione, inserita all'interno della legge organica di settore concernente le sanzioni amministrative in materia tributaria, è applicabile, salvo diversa espressa previsione, ai procedimenti di irrogazione di tutte le sanzioni tributarie non penali, con l'ulteriore precisazione che l'art. 70 d.P.R. n. 633 del 1972 rinvia effettivamente alla disciplina sanzionatoria in tema di leggi doganali. Orbene, non rinvenendosi all'interno del testo unico leggi doganali di cui al d.P.R. n. 43 del 1973 o del CDC una disposizione sanzionatoria speciale per le condotte di omesso o ritardato versamento dell'Iva all'importazione, è corretta la sussunzione della condotta contestata alla parte contribuente nello stigma del ricordato art. 13.

3.4. Va poi escluso che la violazione sia meramente formale, e, dunque non punibile ex art. 6, comma 5 bis, d.lgs. n. 472 del 1997, trattandosi di evenienza, come già rilevato, esclusa dalla stessa Corte di Giustizia, che, sul punto, si è solo limitata a ribadire il necessario rispetto del principio di proporzionalità, affermando altresì che la previsione interna (30% dell'importo dell'imposta: art. 13, comma 1, d.lgs. 471/1997) può, almeno in astratto, considerarsi "sproporzionata" e che, quindi, deve essere il giudice nazionale a determinarla in concreto al fine di renderla "proporzionata" (punti 44 ss. sentenza Equoland).

4. Attesa l'esplicita statuizione della Corte di Giustizia, non è necessaria una nuova rimessione della questione. 5. In conclusione, la sentenza impugnata va dunque cassata, con rinvio, anche per le spese, al giudice a quo per un nuovo esame che tenga conto dei principi di cui in motivazione al fine dell'applicazione in concreto della sanzione.

P.Q.M.

La Corte, in accoglimento dei primi cinque motivi di ricorso nei termini di cui in motivazione, infondato il sesto, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Toscana in diversa composizione. Deciso in Roma, nell'adunanza camerale del 4 luglio 2019

 

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