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Agenzia nega rimborso IVA derivante da errore nella dichiarazione poi integrata affermando che era necessario anche nuovo modello VR. Agenzia pretende di tenersi IVA versata per errore, ma contribuente fa ricorso e vince. Agenzia ora dovrà rimborsare

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Estratto: “anche in materia di IVA è valido il principio, già affermato con riferimento alle imposte sui redditi, secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'«iter» procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui all'art. 37, commi quinto e sesto, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l'erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario (cfr. Cass. n. 3904/2004, confr. Cass. n. 20119/2018).”

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 29185 del 12 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

La società contribuente B. impugnava di fronte alla CTP di Brescia il diniego di rimborso per Iva versata in eccesso nell'anno 2008, importo che l'Agenzia delle Entrate competente non restituiva in quanto l'istanza di rimborso risultava proposta solo in data 26 settembre 2011, quindi oltre il termine di decadenza biennale di cui all'art. 21 d. Lgs. n. 546 del 1992.

L'Ufficio riteneva infatti che l'avvenuta presentazione, in data 27 settembre 2009, di dichiarazione integrativa che rideterminava il credito chiesto a rimborso, in quanto l'importo indicato in precedenza era errato, non aveva rilevanza ai fini di impedire la decadenza dal diritto, anche alla luce del fatto che unitamente a detta dichiarazione integrativa non era stato presentato ulteriore modello VR.

Ricorre a questa Corte la contribuente società B. con atto affidato a un unico motivo che illustra con memoria ex art. 378 c.p.c.

Resiste l'Amministrazione Finanziaria con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il solo mezzo di impugnazione, la contribuente censura la sentenza della CTR bresciana per violazione dell'art. 21 c. 2 d. Lgs. n. 546 del 1992 in relazione all'art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c. per avere il giudice dell'appello erroneamente ritenuto tardiva l'istanza di rimborso in argomento.

Il motivo è fondato.

Giova ricordare che anche in materia di IVA è valido il principio, già affermato con riferimento alle imposte sui redditi, secondo il quale la dichiarazione del contribuente, affetta da errore, sia esso di fatto che di diritto, commesso dal dichiarante nella sua redazione, è - in linea di principio - emendabile e ritrattabile, quando dalla medesima possa derivare l'assoggettamento del dichiarante ad oneri contributivi diversi e più gravosi di quelli che, sulla base della legge, devono restare a suo carico, atteso che la dichiarazione dei redditi non ha natura di atto negoziale e dispositivo, ma reca una mera esternazione di scienza e di giudizio, modificabile in ragione dell'acquisizione di nuovi elementi di conoscenza e di valutazione sui dati riferiti; che essa costituisce un momento dell'«iter» procedimentale volto all'accertamento dell'obbligazione tributaria; e che i principi della capacità contributiva e di buona amministrazione rendono intollerabile un sistema legislativo che impedisca al contribuente di dimostrare, entro un ragionevole lasso di tempo, l'inesistenza di fatti giustificativi. Ne consegue che detta emendabilità non può ritenersi sottoposta al limite temporale di cui all'art. 37, commi quinto e sesto, del d.P.R. n. 633 del 1972, il quale riguarda la rimozione di omissioni o la eliminazione di errori suscettibili di comportare un pregiudizio per l'erario, ma non la rettifica di dichiarazioni oggettivamente errate e quindi idonee a pregiudicare il dichiarante, anche in ragione del fatto che la negazione del diritto al rimborso determinerebbe un indebito incameramento del credito da parte dell'erario (cfr. Cass. n. 3904/2004, confr. Cass. n. 20119/2018).

Questa Corte è poi ferma nel ritenere che la domanda di rimborso non rientrante tra quelle previste dall'art. 30 del d.P.R. n. 633/1972, nel testo vigente all'epoca dei fatti, e perciò non contemplata da disposizioni specifiche, va proposta a norma dell'art.21, 2° co., del d.lgs. n. 546/1992, secondo il quale «la domanda di restituzione, in mancanza di disposizioni specifiche, non può essere presentata dopo due anni dal pagamento ovvero, se posteriore, dal giorno in cui si è verificato il presupposto della restituzione» (Cass. 8461/2005; 12433/2011; da ultimo Cass.n.5014/2015, Cass.n.21674/2015).

Inoltre, Cass. n. 17151/2018 ha precisato che ai fini del rimborso dell'eccedenza d'imposta IVA, è sufficiente che il contribuente manifesti la propria volontà di esercitare il relativo diritto mediante l'esposizione del credito di imposta nella dichiarazione annuale che, da tale momento, rende anche esigibile il credito costituendo tale atto di ostensione del credito anche manifestazione di volontà di ottenere il rimborso dell'imposta. Coerentemente, si è quindi ormai ampiamente chiarito come l'eventuale presentazione del modello "VR" abbia la sola mera funzione di sollecitare l'attività di verifica dell'Amministrazione in ordine alla correttezza dei dati riportati nella dichiarazione e di dare ulteriore stimolo all' avvio del relativo procedimento di esecuzione, fungendo quindi da mero atto sollecitatorio.

Orbene, a tali principi (confermati di recente anche da Cass. 6219/2019) non si è attenuto il giudice di merito che ha escluso in favore della contribuente la possibilità di avanzare istanza di rimborso in relazione ad un errore relativo alla dichiarazione IVA per l'anno 2009 che la stessa aveva evidenziato presentando, in data 26.9.2011, istanza di rimborso ex art.21, c.2 d. Igs. n. 546/1992, nel rispetto del termine biennale dal 27.09.2009, data di presentazione della dichiarazione mod. Unico 2009.

Ha dunque errato la CTR nel ritenere necessaria ai fini del diritto al rimborso condizionare la presentazione di un nuovo modello VR e quindi intempestiva l'istanza di restituzione dell'Iva in parola. Sulla base di tali considerazioni, il ricorso va accolto e la sentenza impugnata va cassata. Non sussiste necessità alcuna di accertamenti in fatto, dal momento che in sentenza non si evince alcuna contestazione mossa dall'Ufficio in ordine alla certezza, liquidità ed esigibilità del credito; invero l'Erario ha unicamente contestato la tempestività dell'istanza del rimborso senza contraddire nel merito della pretesa.

Pertanto, la controversia può decidersi nel merito con l'accoglimento dell'originario ricorso del contribuente.

p.q.m.

accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie l'originario ricorso del contribuente; compensa le spese dei giudizi di merito e liquida le spese del presente giudizio di legittimità in euro 4.000 oltre al 15% per spese generali, CPA ed Iva di legge che pone a carico di parte soccombente.

Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2019.

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DLP