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Interpretazione del contratto è attività di fatto affidata al giudice di merito. Rigettato il ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Entrate, condannata altresì alla refusione delle spese processuali a favore della società contribuente. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “L'interpretazione del contratto, concretandosi nell'accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in un'indagine di fatto affidata al giudice di merito e censurabile, in sede di legittimità, solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguìto per giungere alla decisione, o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal predetto giudice di merito”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 29648 del 14 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. A. Spa, con sede legale in V., esercente attività di trasporto passeggeri per via d'acqua interna, in data 9/06/2009, presentò istanza di rimborso, ex art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, di euro 1.087.945,00, versata a titolo di IRAP, per l'annualità 2007, assumendo di avere diritto alla riduzione della base imponibile dichiarata in applicazione delle deduzioni introdotte dall'art. 1, comma 266, della legge n. 296/2006 (c.d. riduzione del cuneo fiscale prevista dalla legge Finanziaria 2007), che aveva modificato l'art. 11, comma 1, lett. a), n. 2, del d.lgs. n. 446/1997. Al diniego di rimborso opposto dall'Amministrazione finanziaria, che riteneva che la società operasse in regime di concessione con sistema tariffario e che, dunque, non presentasse i requisiti richiesti per fruire del beneficio, seguì il contenzioso, promosso dalla contribuente, e la CTP di Venezia, con sentenza n. 131/5/2011, accolse la domanda di rimborso.

2. Interposto gravame dall'ufficio, la CTR del Veneto, con la sentenza in epigrafe, per quanto tuttora rileva, ha rigettato l'appello e ha confermato la decisione di primo grado, ritenendo che la società avesse i requisiti per godere dell'agevolazione, in quanto non svolgeva la propria attività in regime di concessione traslativa, ma in virtù di un contratto d'appalto di servizi e anche perché, nell'ambito del rapporto contrattuale con gli enti territoriali, non era individuabile la corresponsione di una tariffa remunerativa.

3. L'Agenzia ricorre per la cassazione, sulla base di dieci motivi, cui A. Spa resiste con controricorso, nel quale articola ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo, illustrato anche da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

RAGIONI DELLA DECISIONE

a. Preliminarmente ritiene questa Corte che debbano essere disattese le censure della contribuente d'inammissibilità del ricorso per cassazione, per difetto del requisito dell'autosufficienza e della puntuale indicazione dei motivi di ricorso per cassazione. Relativamente agevole si appalesa, infatti, la comprensione dei diversi, minuziosi profili di critica rivolti dall'ufficio alla sentenza d'appello, i quali, per soddisfare il requisito dell'autosufficienza, riproducono persino i passi salienti della decisione impugnata.

1. Con il primo motivo del ricorso principale, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 11, del d.lgs. n. 446/1997, dell'art. 30, della legge reg. Veneto n. 25/1998, e dei principi in materia di concessione, l'Agenzia assume che la contribuente svolgeva attività di trasporto pubblico locale in forza di contratti di servizio ex art. 30, della legge reg. Veneto n. 25/1998, stipulati con vari enti locali del Veneto, i quali, ai sensi del combinato disposto dei detti artt. 11, del d.lgs. n. 46/1997, 30, legge reg. Veneto n. 25/1998, e dei princìpi in materia di concessione, sono inquadrabili nella categoria della concessione-contratto traslativa. Censura, quindi, la sentenza impugnata per avere qualificato il contratto come appalto di servizi, anziché come concessione traslativa, ostativa al conseguimento dell'agevolazione fiscale IRAP, introdotta per abbattere il cuneo fiscale, dal quale sono escluse le imprese operanti in virtù di "concessione traslativa" e con "tariffa remuneratoria".

2. Con il secondo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 38, del d.P.R. n. 602/1973, 30, della legge reg. Veneto n. 25/1998, 2697 cod. civ., e dei princìpi in materia di concessione, l'Agenzia assume che il contratto di servizio ex art. 30, cit., è compatibile tanto con una concessione-contratto traslativa che con un appalto di servizi. Sostiene, altresì, che, anche a volere negare, nella specie, la concessione, posto che era la contribuente ad agire per la restituzione di un'imposta indebitamente versata, la CTR ha erroneamente ritenuto dimostrata l'esistenza di un appalto di servizi in forza di un solo elemento, del tutto inconferente, quale l'assunzione, da parte della società veneta, del servizio con organizzazione dei mezzi necessari e gestione a proprio rischio.

3. Con il terzo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 30, della legge reg. Veneto n. 25/1998, e dell'art. 11, del d.lgs. n. 446/1997, in combinato disposto, l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere escluso che la contribuente svolgesse il servizio di trasporto pubblico locale in virtù di concessione traslativa, pur essendo pacifico che si era in presenza di contratti di servizio c.d. ponte, che non sono affatto contratti di appalto, ma sono convenzioni (nella specie stipulate da A. Spa con i comuni di C., V. e con la provincia di V.), che accedono (alle) e integrano le originarie concessioni del servizio di trasporto pubblico.

4. Con il quarto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 38, del d.P.R. n. 602/1973, dell'art. 11, del d.lgs. n. 446/1997, e dell'art. 2697 cod. civ., l'Agenzia premette (e l'assunto vale anche per tutti i successivi "motivi") che i benefici IRAP connessi al cuneo fiscale non spettano all'impresa operante nel settore dei trasporti in concessione e a tariffa e, ancora, che la contribuente, oltre a dedurre di non operare in concessione, aveva anche negato di svolgere la propria attività di trasporto pubblico locale applicando una "tariffa remuneratoria", in quanto, secondo la sua prospettazione, la tariffa massima non era idonea a compensare effettivamente il costo dell'impresa. Svolta questa premessa, l'Agenzia imputa alla CTR di avere ritenuto fondata la domanda di rimborso perché non era dimostrato che la tariffa corrisposta dagli utenti all'impresa fosse remunerativa, laddove, invece, idonea ragione per accogliere la domanda di rimborso, in base alle norme appena richiamate, non poteva che essere l'effettiva dimostrazione (ossia la prova positiva), da parte della richiedente, che la tariffa applicata non era remunerativa.

5. Con il quinto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. 31, della legge reg. Veneto n. 25/1998, 2697, 2909, cod. civ., in combinato disposto, l'Agenzia censura la sentenza impugnata, ove si debba intendere che la CTR abbia negato che la contribuente, oltre a ricevere dai clienti una tariffa, percepisse anche un "corrispettivo" dall'ente locale che le aveva affidato il servizio di trasporto pubblico locale, trattandosi di un aspetto ammesso dalla contribuente, riconosciuto dal giudice di primo grado e, pertanto, ormai coperto da giudicato.

6. Con il sesto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 112, cod. proc. civ., l'Agenzia censura la sentenza impugnata per vizio di ultrapetizione, nel caso in cui la si debba interpretare nel senso che essa neghi la circostanza (ammessa da controparte) che la contribuente, nell'esercizio del servizio di pubblico trasporto locale, percepiva dalla clientela prezzi fissati da una tariffa.

7. Con il settimo sesto motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell'art. 112, cod. proc. civ., l'Agenzia censura la sentenza impugnata per violazione del giudicato interno sulla circostanza (ove si ritenga che la CTR l'abbia negata), definitivamente accertata dal giudice di primo grado, che la contribuente, nell'esercizio del servizio di pubblico trasporto locale, percepiva dalla clientela prezzi fissati da una tariffa.

8. Con l'ottavo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione dell'art. dell'art. 11, del d.lgs. n. 446/1997, e dell'art. 117, del d.lgs. n. 267/2000, in combinato disposto, l'Agenzia assume che controparte svolgeva l'attività di pubblico trasporto locale applicando tariffe che, per legge (art. 117, cit.), sono determinate in misura tale da assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'esercizio dell'impresa, sicché A. Spa presentava uno dei due elementi ostativi alla fruizione del beneficio IRAP connesso al cuneo fiscale (e cioè l'esercizio dell'attività con "tariffa remuneratoria"); pertanto, ascrive alla CTR di avere errato nell'escludere il carattere remunerativo della medesima tariffa.

9. Con il nono motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., violazione e falsa applicazione degli artt. 30, 31, della legge reg. Veneto n. 25/1998, 117, del d.lgs. n. 267/2000, e dell'art. 11, del d.lgs. n. 446/1997, in combinato disposto, l'Agenzia censura la sentenza impugnata per avere affermato che la remuneratività delle tariffe (imposte all'impresa con i contratti di servizio) debba essere valutata solo prendendo in considerazione le tariffa medesime, senza tenere conto anche dei corrispettivi pagati all'impresa dall'ente affidante (sempre) in forza del contratto di servizio.

10. Con il decimo motivo, denunciando, in relazione all'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., "motivazione omessa su fatto decisivo della controversia ed omesso esame su fatto decisivo per il giudizio sul quale le parti hanno discusso", l'Agenzia censura la sentenza impugnata per non avere esaminato e non avere motivato sul fatto, decisivo e controverso, relativo al se le tariffe imposte con i contratti di servizio, stipulati dalla contribuente con i vari enti locali, fossero o meno idonee ad assicurare l'equilibrio economico-finanziario dell'investimento e della relativa gestione, tenuto conto dei corrispettivi che gli stessi enti dovevano riconoscere all'impresa, ai sensi dei medesimi contratti di servizio.

11. Il primo, il secondo, il terzo, il quarto, il quinto, l'ottavo e il nono motivo, da esaminare congiuntamente perché avvinti da una matrice giuridica unitaria, sono inammissibili.

11.1. Va richiamato il principio di diritto, espresso anche di recente da questa Corte (Cass. 14/03/2019, n. 7280), secondo cui l'interpretazione degli accordi negoziali intercorsi tra le parti è riservata al giudice del merito ed è sindacabile, in sede di legittimità, solo per vizi di motivazione o per violazione delle regole di ermeneutica contrattuale sulla base dell'indicazione specifica del modo attraverso il quale si è realizzata la anzidetta violazione, non potendo le censure risolversi nella mera contrapposizione di una interpretazione diversa da quella criticata (come affermato da Cass. 19/02/2004, n. 3296). L'interpretazione del contratto, concretandosi nell'accertamento della volontà dei contraenti, si traduce in un'indagine di fatto affidata al giudice di merito e censurabile, in sede di legittimità, solo per il caso di insufficienza o contraddittorietà della motivazione, tale da non consentire la ricostruzione dell'iter logico seguìto per giungere alla decisione, o per violazione delle regole ermeneutiche, con la conseguenza che deve essere ritenuta inammissibile ogni critica della ricostruzione della volontà negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione degli stessi elementi di fatto vagliati dal predetto giudice di merito. (Cass. 29/07/2003, n. 11679). 11.2. Nel caso in esame, il giudice di appello, sulla base delle allegazioni delle parti e alla luce del "chiarimento interpretativo indicato dalla Commissione Europea del 12/11/2007" [recte: 12/09/2007] (cfr. pag. 3 della sentenza impugnata), preliminarmente ha negato che il beneficio fiscale spetti per i servizi pubblici svolti in regime di concessione e a tariffa e, quindi, ha escluso che il contratto di servizio concluso da A. Spa con gli enti locali fosse riconducibile alla figura della concessione traslativa e lo ha qualificato, invece, come un "contrattoappalto di servizi" (cfr. pagg. 3, 4 della sentenza impugnata).

11.3. I motivi di ricorso in esame non si appuntano su alcuna specifica violazione delle regole legali di interpretazione del rapporto giuridico intercorso tra la contribuente e gli enti locali veneti, ma piuttosto propongono, in modo non consentito in questa sede di legittimità, di valutare diversamente il contenuto concreto dei detti negozi e la connessa qualificazione giuridica del rapporto giuridico insorto (in senso conforme, sulla non sindacabilità, in sede di legittimità, della distinzione in fatto tra affidamento del servizio di trasporto pubblico locale in regime di concessione ovvero a mezzo di contratto di appalto, vedi anche: Cass. 19/01/2018, n. 1315; 30/01/2018, n. 2244; 30/01/2018, n. 2245).

11.4. Del resto, in nessuna parte del ricorso la difesa erariale assume che la convenzione di cui è titolare la società contribuente si discosti dallo schema legale tipico definito dagli artt. 18 e 19, del d.lgs. n. 442/97 per i servizi di trasporto. La sentenza d'appello, in punto di diritto, è in linea con la giurisprudenza di legittimità (es. Cass. 22/10/2014, n. 22425 - in materia d'imposta di registro), secondo cui i contratti di servizio, espressamente previsti dagli artt. 18 e 19, del d.lgs. n. 442/97, sono, di per se stessi, appalti pubblici di servizio. Il che è conforme alla giurisprudenza amministrativa (Cons. Stato Sez. V, 07/02/2012, n. 64; id. 03/06/2012, n. 2531; id. 03/05/2012, n. 2537; id. 19/03/2018, n. 1746; conf.: T.A.R. Molise Campobasso Sez. I, 07/07/2011, n. 446), che esclude i contratti di servizio dal novero delle concessioni, classificandoli tra gli appalti di servizi. Infatti, lo strumento attraverso il quale la Pubblica amministrazione affidante e il gestore del servizio di trasporto disciplinano le condizioni e le modalità di esecuzione di quest'ultimo è nient'altro che un contratto, avente carattere onnicomprensivo di tutti gli aspetti del servizio medesimo (così Cons. Stato, n. 1746/2018 cit.) e, se nel regime transitorio è consentito di derogare all'obbligo della gara, lo strumento di regolazione del servizio di trasporto rimane sempre e comunque quello del contratto di servizio (ult. cit. in motivazione).

Ciò che vale a differenziare la fattispecie legale dai diversi connotati legali della concessione c.d. traslativa, dove il concessionario agisce, invece, come organo indiretto della P.A. e produce, nei confronti dei terzi, gli stessi effetti che determinerebbe l'azione amministrativa diretta della P.A. medesima (Cass. 14/06/2016, n. 12260). Nulla di tutto ciò risulta dagli artt. 18 e 19, del d.lgs. n. 442/97 e dalla legge regionale di riferimento (art. 30, della legge reg. Veneto, n. 25/1998), conformemente alla linea tracciata, per il trasporto pubblico, dal diritto dell'UE (art. 14 Reg. n. 1893/91 del Consiglio, del 20/06/1991; cfr. art. 5, c. I, della Direttiva n. 440/91 del Consiglio). Sicché non operando, di norma, il regime della concessione traslativa bensì quello dell'appalto, viene meno il primo e assorbente requisito di esclusione dal beneficio, secondo le indicazioni della Commissione dell'UE e i chiarimenti governativi dati in quella sede (cfr. Comm. UE, 12/09/2007; vedi sent. CTR, pag. 3).

12. Il sesto e il settimo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili. Le relative doglianze (espresse dall'ufficio in termini puramente eventuali, in relazione ad un ipotetico significato della sentenza d'appello), non colgono la ratio decidendi della decisione della commissione veneta che, lungi dal disconoscere che A. Spa svolgesse il servizio di pubblico trasporto senza applicare una tariffa, ha ritenuto (piuttosto) che la società contribuente potesse fruire del beneficio fiscale in quanto la tariffa (sicuramente applicata) non era "remuneratoria".

13. Il decimo motivo è infondato. Posto che la sentenza della CTR è stata pubblicata il 22/01/2013, il motivo di ricorso è quello dell'art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., nella nuova formulazione introdotta dall'art. 54, primo comma, lett. b), del dl. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134, che si applica in relazione alle sentenze d'appello pubblicate a partire dall'11/09/2012. Secondo l'insegnamento delle Sezioni unite di questa Corte: «La riformulazione dell'art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., disposta dall'art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall'art. 12 delle preleggi, come riduzione al "minimo costituzionale" del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l'anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all'esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella "mancanza assoluta di motivi sotto l'aspetto materiale e grafico", nella "motivazione apparente", nel "contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili" e nella "motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile", esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di "sufficienza" della motivazione.» (Cass. sez. un. 7/04/2014, n. 8053). Nel caso concreto, esclusa la sussistenza di un'anomalia motivazionale radicale (nel senso esposto dalle sezioni unite), è dato rilevare che la CTR, diversamente da quanto denuncia la difesa erariale, non ha omesso l'esame di alcun "fatto decisivo per il giudizio" (ex art. 360, co. 1, n. 5), e, anzi, ha specificamente affrontato la questione della remuneratività o meno della tariffa, alla quale ha dato una risposta negativa, ritenendo che tale soluzione non fosse influenzata dal fatto che, in base ai contratti di servizio, l'ente locale era obbligato a riconoscere alla contribuente un "corrispettivo chilometrico", qualificato dalla CTR come una "controprestazione nel sinallagma negoziale" (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata).

14. Con l'unico motivo del ricorso incidentale, denunciando "1) Violazione dell'art. 11, comma 1, lett. a), punto 2, del d.lgs. n. 466/1997. Violazione artt. 87 e 88 del Trattato CE. Omessa pronuncia e/o insufficiente motivazione.", la contribuente censura la sentenza impugnata che, pur ammettendo l'impresa a fruire dell'agevolazione del cuneo fiscale, aveva omesso ogni delibazione circa l'inefficacia delle risoluzioni dell'Agenzia delle entrate che legittimavano l'azione impositiva dell'Amministrazione finanziaria.

14.1. Il ricorso incidentale è inammissibile perché proposto dalla parte totalmente vittoriosa in appello (Cass. 7/03/2016, n. 4472, ha stabilito che il ricorso incidentale per cassazione, anche se qualificato come condizionato, presuppone la soccombenza e non può, quindi, essere proposto dalla parte che sia risultata completamente vittoriosa nel giudizio di appello).

15. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza, attribuibile all'Agenzia in via assolutamente prevalente.

16. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l'art. 13 comma 1- quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 (Cass. 29/01/2016, n. 1778). Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della contribuente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1-bis del citato art. 13, se dovuto.

PQM

la Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile il ricorso incidentale; condanna l'Agenzia delle entrate a corrispondere alla contribuente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in euro 8.700,00, a titolo di compenso, euro 200,00 a titolo di rimborso spese, oltre al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge. Ai sensi dell'art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della contribuente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale a norma del comma 1-bis del citato art. 13. Così deciso in Roma, il 17/09/2019.

 

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