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IRAP: accolto il ricorso per cassazione dell’ingegnere avverso la sentenza che aveva negato il diritto al rimborso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “In conclusione la sentenza non ha seguito i principi elaborati dalla giurisprudenza al fine della individuazione dei presupposti per l'assoggettamento del professionista ricorrente all'imposta regionale sulle attività produttive. Manca infatti chiarezza sia sulla incidenza dei beni strumentali utilizzati nell'attività professionale, e cioè se essi costituivano elementi indispensabili per l'esercizio della professione, oppure se la loro consistenza potesse implementare la struttura organizzativa del proprio lavoro, sia sulla influenza della collaborazione di soggetti terzi, cioè se riconducibile all'esercizio di mansioni collaborative meramente esecutive, irrilevanti ai fini del riconoscimento della autonoma organizzazione, o se professionalmente qualificate e come tali necessariamente coordinate dal professionista titolare dello studio, con conseguente sussistenza di una organizzazione autonoma”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 28679 del 7 novembre 2019

FATTI DI CAUSA

T. ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 173/01/2012, depositata dalla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata il 28.11.2012. Ha riferito di aver presentato istanza di rimborso dei versamenti eseguiti ai fini Irap per gli anni d'imposta 2004/2006 perchè, pur nell'esercizio della attività liberoprofessionale di ingegnere, per assenza di autonoma organizzazione aveva contestato i presupposti di assoggettamento all'imposta.

Era seguito il silenzio della Agenzia, avverso il quale aveva proposto vittoriosamente ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Potenza. La adita Commissione Tributaria Regionale lucana, con la pronuncia ora impugnata, aveva invece accolto le ragioni della Amministrazione, riformando la decisione di primo grado e confermando dunque il rifiuto opposto dalla Agenzia alla istanza di rimborso. Il contribuente censura con due motivi la sentenza: con il primo per violazione dell'art. 2, d.lgs. n. 446/1997, in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per l'erronea interpretazione della disciplina e dei presupposti da essa richiesti ai fini dell'assoggettamento del professionista ad Irap; con il secondo per violazione dell'art. 2697 c.c. in relazione dell'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c., per l'erronea applicazione dei principi sull'onere della prova, nonché per violazione del combinato disposto degli artt. 1.32, co. 1 n. 4 c.p.c., 36 co. 2, n. 4, d.lgs. n. 546/1992, 118 disp. att. c.p.c., in relazione all'art. 360 co. 1, n. 4 c.p.c., per genericità della motivazione. Ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza, con le conseguenti statuizioni. Si è costituita l'Agenzia, che ha contestato i motivi di ricorso, di cui ha chiesto il rigetto. Alla pubblica udienza del 19 settembre 2019 il P.G. e le parti, dopo la discussione, hanno concluso. La causa è stata riservata per la decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

I motivi, che possono essere trattati congiuntamente perché riferiti alla medesima questione, la sussistenza o meno dei presupposti per l'assoggettamento all'imposta, sono fondati. Deve innanzitutto affermarsi che la sentenza impugnata non è afflitta da nullità per genericità -o apparenza- della motivazione, perché le ragioni esplicitate dal giudice regionale, a prescindere dalla condivisibilità o meno delle conclusioni, sono supportate da argomentazione sufficiente a far comprendere il percorso logico seguito.

Quanto alle critiche mosse al merito delle valutazioni della Commissione regionale, presupposto per l'assoggettamento all'imposta è «l'esercizio abituale di una attività autonomamente organizzata diretta alla .... prestazione di servizi" (art. 2 del d.lgs. n. 446/1997), applicabile anche alle "persone fisiche, le società semplici e quelle ad esse equiparate a norma dell'art. 5, comma 3, del predetto testo unico (ndr. d.P.R. n. 917/1986) esercenti arti e professioni, di cui all'art. 49 comma 1, del medesimo testo unico» (art. 3, lett. c, del d.lgs. n. 446/1997). Quanto al significato di "autonoma organizzazione" già la Corte Costituzionale, con sent. n. 156 del 2001, aveva puntualizzato che l'imposta incide su un fatto economico diverso dal reddito, cioè su quel quid pluris aggiunto dalla struttura organizzativa alla attività professionale, tale da costituire un indice di capacità contributiva idonea a giustificare l'assoggettamento al tributo, il che non implica alcun limite quantitativo, di prevalenza o meno rispetto al lavoro autonomo esercitato, bensì semplicemente un giudizio di valore sulla idoneità di quella organizzazione a potenziare le possibilità produttive del professionista. La Corte di legittimità ha esplicitato la nozione di autonoma organizzazione nell'esercizio dell'attività di lavoro autonomo, riconoscendola ai fini IRAP quando il contribuente: a) sia, sotto qualsiasi forma, il responsabile dell'organizzazione, e non sia quindi inserito in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse; b) impieghi beni strumentali eccedenti, secondo l'id quod plerumque accidit, il minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività in assenza di organizzazione, oppure si avvalga in modo non occasionale di lavoro altrui (in tal senso già cfr. Cass., sent. 3676 del 2007; Cass., sent. n. 25311 del 2014). Nel perimetrare ulteriormente l'assoggettamento ad Irap del lavoratore autonomo le Sez. U, da ultimo intervenute, hanno affermato che il requisito dell'autonoma organizzazione, previsto quale presupposto dell'imposta dall'art. 2 cit., non ricorre quando il contribuente responsabile dell'organizzazione impieghi beni strumentali non eccedenti il minimo indispensabile all'esercizio dell'attività e si avvalga di lavoro altrui non eccedente l'impiego di un dipendente con mansioni esecutive (Sez. U, sent. n. 9451/2016). La Corte ha anche affermato che per la soggezione ad IRAP dei proventi del professionista autonomo è necessario che la struttura organizzata di cui questi si avvalga faccia capo allo stesso non solo ai fini operativi, ma anche sotto il profilo organizzativo, in conseguenza non riconoscendo ad esempio la soggettività passiva all'imposta dell'avvocato che, collaborando presso importanti studi legali, ne aveva utilizzato la struttura organizzativa, traendone utilità (Cass., ord. n. 4080/2017, con riferimento alla attività di avvocato). Si è anche detto che il professionista che svolga l'attività all'interno di una struttura altrui, così difettando di autonomia organizzativa, non è assoggettato all'Irap (Cass., sent. n. 21150/2014).

Con specifico riferimento alla professione di ingegnere si è poi valorizzato l'esercizio in forma associata, affermandosi che essa è di per sé idonea a far presumere l'esistenza di una autonoma organizzazione di strutture e mezzi, ancorché non di particolare onere economico, nonché dell'intento di avvalersi della reciproca collaborazione e competenze, ovvero della sostituibilità nell'espletamento di alcune incombenze, sì da potersi ritenere che il reddito prodotto non sia frutto esclusivamente della professionalità di ciascun componente dello studio, salvo poi che il contribuente non dimostri che tale reddito è derivato dal solo lavoro professionale dei singoli associati (Cass., sent. n. 24058/2009).

Quanto all'onere della prova, incombe sul professionista, che abbia presentato domanda di rimborso dell'imposta che assume indebitamente versata, l'onere di provare l'assenza del requisito dell'autonoma organizzazione in relazione allo svolgimento di detta attività (4576/2019; 9325/2017; 3673/2007).

L'accertamento spetta al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità se congruamente motivato. Questi gli approdi ermeneutici della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie il giudice tributario ha verificato, secondo quanto allegato dalla Agenzia, che il T.: 1) aveva la disponibilità di uno studio di mq. 60 e beni strumentali il cui valore era quantificabile in € 45.000,00/50.000,00 per ciascun anno d'imposta; 2) aveva corrisposto compensi a terzi; 3) nel triennio aveva dichiarato ricavi oscillanti tra gli 86.000,00 e i 234.000,00 €. A fronte di tali elementi ha considerato che il contribuente si era limitato ad evidenziare «di aver svolto la sua attività in assenza di elementi di autonoma organizzazione, ma non ha adeguatamente documentato la propria domanda venendo meno all'assolvimento dell'onere della prova, limitandosi ad allegare le situazioni contabili degli anni oggetto di contestazione». Ha poi sottolineato che il valore dei beni strumentali negli anni accertati fosse superiore a quello minimo indispensabile per l'esercizio dell'attività (€ 15.000,00) così come il reddito annuale fosse superiore a quello dei contribuenti compresi nelle regole fiscali del regime dei minimi.

Il ricorrente ha innanzitutto censurato le valutazioni operate dal giudice regionale in ordine alla linea di confine, quanto al requisito della autonoma organizzazione, tra contribuenti assoggettati al regime fiscale del reddito minimo e quelli dichiaranti redditi superiori. Si tratta di critiche condivisibili, perché la differenza apprezzata dalla Commissione Regionale, sostenendone l'incidenza ai fini del riconoscimento della sussistenza della autonoma organizzazione del professionista, è assolutamente irrilevante. È altrettanto irrilevante l'apprezzamento del valore dei beni strumentali, la cui disponibilità in misura superiore a quanto riconducibile ai contribuenti inclusi nel regime dei minimi non costituisce affatto un indizio automatico della autonomia organizzativa. Peraltro, da quanto emerge nelle difese del T., i beni strumentali, al netto del valore della autovettura, sono inferiori a quelli attribuiti dal giudice regionale, così come i costi per collaborazione di terzi, sebbene neppure il ricorrente chiarisca la natura di tale collaborazione, non evidenziano importi di per sé sufficienti a giustificare l'autonoma organizzazione, sicchè ne va compresa la natura e la incidenza sulla organizzazione del professionista. In conclusione la sentenza non ha seguito i principi elaborati dalla giurisprudenza al fine della individuazione dei presupposti per l'assoggettamento del professionista ricorrente all'imposta regionale sulle attività produttive. Manca infatti chiarezza sia sulla incidenza dei beni strumentali utilizzati nell'attività professionale, e cioè se essi costituivano elementi indispensabili per l'esercizio della professione, oppure se la loro consistenza potesse implementare la struttura organizzativa del proprio lavoro, sia sulla influenza della collaborazione di soggetti terzi, cioè se riconducibile all'esercizio di mansioni collaborative meramente esecutive, irrilevanti ai fini del riconoscimento della autonoma organizzazione, o se professionalmente qualificate e come tali necessariamente coordinate dal professionista titolare dello studio, con conseguente sussistenza di una organizzazione autonoma. Rispetto a questi indispensabili accertamenti la sentenza non ha fatto corretto uso delle regole previste dalla disciplina di cui al d.lgs. n. 446/1997, nonché di quelle relative al governo delle prove. Il ricorso va dunque accolto e la sentenza va cassata, con rinvio del giudizio alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, che in diversa composizione, oltre che sulle spese del giudizio di legittimità, provvederà a decidere la controversia tenendo conto dei principi esposti.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Basilicata, che in diversa: composizione deciderà anche sulle spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma, il giorno 19 settembre 2019.

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