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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Ordinanza n. 23696 del 24 settembre del 2019
rilevato che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che:
l'Agenzia delle entrate aveva notificato a E., imprenditrice agricola, un avviso di accertamento con il quale, a seguito di processo verbale di constatazione, aveva contestato, relativamente all'anno di imposta 2004, l'acquisto di merci comunitarie mediante operazioni soggettivamente inesistenti, oltre che l'omessa autofatturazione, la presentazione della dichiarazione Iva con dati errati, l'omessa presentazione del modello INTRA 2, l'irregolare tenuta delle scritture contabili, recuperando l'indebita detrazione dell'Iva;
avverso l'avviso di accertamento la contribuente aveva proposto ricorso contestando che lo stesso era stato emesso prima della scadenza del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000 e senza l'esplicitazione delle ragioni di urgenza e, inoltre, la illegittimità nel merito della pretesa impositiva;
la Commissione tributaria provinciale di Padova aveva rigettato il ricorso;
avverso la pronuncia del giudice di primo grado la contribuente aveva proposto appello;
la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello, in particolare ha ritenuto che: la notifica dell'avviso di accertamento era avvenuta solo dopo 33 giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione; non sussistevano ragioni per ritenere che l'avviso di accertamento non fosse stato preceduto da un atto qualificabile come processo verbale di constatazione;
nell'avviso di accertamento non era stata indicata alcuna ragione di urgenza che aveva reso necessaria la sua emissione prima della scadenza del termine dilatorio previsto dall'art. 12, comma 7, della legge n. 212/2000; dal mancato rispetto del termine dilatorio di cui alla sopra citata norma doveva farsi discendere la sanzione della nullità dell'atto di accertamento;
avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l'Agenzia delle Entrate affidato a un unico motivo di censura, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso;
considerato che:
va in primo luogo disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso proposta dalla controricorrente per violazione dell'art. 366, comma primo, n. 6), cod. proc. civ., atteso che il ricorso contiene la ricostruzione della vicenda processuale e delle reciproche posizioni difensive, consentendo a questo Corte di apprezzare le ragioni di censura prospettate; va, inoltre, disattesa l'eccezione di inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 360, bis, cod. proc. civ., atteso che, secondo quanto precisato da questa Corte (Cass. Sez. U., 16 aprile 2012, n. 5941), la condizione di ammissibilità in esame non è integrata dalla mera dichiarazione, espressa nel motivo, di porsi in contrasto con la giurisprudenza di legittimità, laddove, come nel caso di specie, non vengano individuate le decisioni e gli argomenti sui quali l'orientamento contestato si fonda; con l'unico motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione dell'art. 12, legge n. 212/2000, dell'art. 21-septies, della legge n. 241/1990, dell'art. 42, d.P.R. n. 600/1973 e dell'art. 56, d.P.R. n. 633/1972, per avere ritenuto che il mancato rispetto del termine dilatorio di cui all'art. 12, comma 7, legge 212/2000 comporta la nullità dell'avviso di accertamento, in quanto la suddetta sanzione non è espressamente prevista dal legislatore e per avere dato rilievo alla mancata indicazione delle ragioni di urgenza; il motivo è infondato; è certo che l'avviso di accertamento, con il quale si è proceduto al recupero dell'iva, è stato notificato 33 giorni dopo la sottoscrizione del verbale di constatazione e che lo stesso non conteneva alcuna ragione di urgenza che rendeva necessario il mancato rispetto del termine dilatorio previsto dall'art. 12, comma 7, legge n. 212/2000; questa Corte (da ultimo, Cass. civ., 10 maggio 2019, n. 12451; con, Cass. civ, nn. 701 e 702 del 2019), in controversia analogamente afferente ad un recupero IVA, ha precisato che "In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, (cd. Statuto del contribuente), nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, opera una valutazione "ex ante" in merito alla necessità del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale tributario, sanzionando con la nullità dell'atto impositivo emesso "ante tempus" - senza distinguere, volutamente, tra tributi armonizzati e non l'inosservanza del termine dilatorio concesso in favore del contribuente, così assorbendo, a monte, la prova di "resistenza", la quale resta applicabile, per i tributi armonizzati, solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità: ipotesi in cui (come nelle verifiche a tavolino) è il giudice tributario chiamato a compiere, caso per caso, una valutazione "ex post" sull'intervenuto rispetto o meno del contraddittorio medesimo"; in particolare, è stato puntualizzato che: 1) la legge n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, prevede, nel triplice caso di accesso, ispezione o verifica nei locali destinati all'esercizio dell'attività, una valutazione ex ante in merito al rispetto del contraddittorio operata dal legislatore, attraverso la previsione di nullità dell'atto impositivo per mancato rispetto del termine dilatorio, che già, a monte, assorbe la "prova di resistenza" e, volutamente, la norma dello Statuto del contribuente non distingue tra tributi armonizzati e non; 2) il principio di strumentalità delle forme ai fini del rispetto del contraddittorio, principio generale desumibile dall'ordinamento civile, amministrativo e tributario, viene meno in presenza di una
sanzione di nullità comminata per la violazione, e questo vale anche ai fini del contraddittorio endoprocedimentale tributario; 3) per i "tributi armonizzati", quindi pure per l'Iva, la necessità della "prova di resistenza", ai fini della verifica del rispetto del contraddittorio endoprocedimentale, scatta solo se la normativa interna non preveda già la sanzione della nullità; in definitiva, qualora sussista, come nel caso in esame, una normativa specifica che disciplini il contraddittorio endoprocedimentale, la previsione di cui all'art. 12, comma 7, cit., si applica a tutti i tributi, quindi anche ai tributati armonizzati, sicchè, ove sia avvenuto un accesso degli accertatori presso i locali dell'impresa, trova sicura applicazione generale, e senza distinzione tra tributi armonizzati e non, l'obbligo di contraddittorio; ne consegue che correttamente il giudice del gravame ha ritenuto che, nella fattispecie, l'avviso di accertamento, emesso prima della scadenza del termine di sessanta giorni dal processo verbale di constatazione, era da considerarsi illegittimo per violazione del diritto al contraddittorio; né assume pregio l'ulteriore contestazione in ordine alla sussistenza delle ragioni di urgenza; è vero che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte (Cass. civ., 16 marzo 2016, n. 5137), il vizio invalidante l'avviso di accertamento non consiste nella omessa enunciazione dei motivi di urgenza che hanno determinato l'emissione anticipata dell'atto, bensì nell'effettiva assenza di specifiche ragioni di urgenza riferite al rapporto tributario controverso e, pertanto, compete all'amministrazione interessata fornire la prova della concreta ricorrenza, all'epoca dell'emissione, di siffatto requisito esonerativo dall'osservanza del termine; tuttavia, il motivo di ricorso in esame si limita ad affermare che la ragione di urgenza non deve essere indicata nell'avviso di accertamento, ma è l'urgenza che appare sussistere in base ad elementi ragionevoli, sicchè essa è motivata;
si tratta di affermazione meramente generica, che non consente di verificare, in violazione del principio di specificità, se e in qual modo sussistevano in concreto le ragioni di urgenza che avevano condotto ad emettere l'avviso di accertamento prima della scadenza del termine dilatorio in esame, il cui onere di prova gravava sull'amministrazione finanziaria; ne consegue l'infondatezza del motivo ed il rigetto del ricorso, con condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite.
La Corte: rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio in favore della controricorrente, che si liquidano in complessive euro 5.600,00, oltre spese forfettarie in misura del quindici per cento e accessori di legge.
Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione
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