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Il legittimo affidamento può bloccare l’applicazione della sanzione. Confermata sentenza favorevole al contribuente (che aveva impugnato l’atto di contestazioni). Rigettato ricorso per cassazione dell’Agenzia delle Dogane.

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Estratto: “l'art. 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevede espressamente che «Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificati dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa». Dunque, ai fini dell'applicabilità della sanzione, il profilo dell'eventuale sussistenza di una condizione di affidamento, derivante dal comportamento della pubblica amministrazione, nei limiti precisati dalla norma, può avere un effetto ostativo all'applicazione della sanzione”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 25059 dell'8 ottobre 2019

Fatti di causa

Dall'esposizione in fatto della sentenza impugnata si evince che: l'Agenzia delle dogane aveva notificato alla contribuente un atto di contestazione delle sanzioni conseguente all'accertamento del mancato pagamento dell'imposta erariale sul consumo di energia elettrica consumata ed autoprodotta dalla società XXXXXX di XXXX s.p.a. nel sedime aeroportuale di XXXXXX, non potendo la suddetta società godere dell'esenzione di cui all'art. 52, comma secondo, lett. o -bis), del decreto legislativo n. 504/1995, posto che non correttamente aveva cumulato tutti i consumi di energia elettrica concernenti i gruppi elettrogeni e l'insieme delle utenze all'interno del sedime aeroportuale, in assenza della denuncia prevista dalla disciplina normativa in esame per la costituzione di una officina di esercizio necessaria per la cessione a terzi di energia elettrica;

avverso il suddetto atto impositivo aveva proposto ricorso la società contribuente, che aveva contrastato la pretesa impositiva, avendo evidenziato di avere diritto all'esenzione per avere superato i limiti di consumo previsti dalla previsione normativa sopra indicata;

la Commissione tributaria provinciale di Roma ha accolto il ricorso in considerazione del fatto che altre Commissioni tributarie avevano annullato gli atti presupposti al provvedimento sanzionatorio impugnato;

avverso la suddetta pronuncia l'Agenzia delle dogane ha proposto appello, nel contraddittorio con la contribuente, insistendo sulla erronea attribuzione alla società della qualità di opificio industriale, sicchè era legittima la pretesa impositiva e la conseguente applicazione della sanzione.

La Commissione tributaria regionale del Lazio ha rigettato l'appello.

In particolare, ha, in primo luogo, precisato che nella fattispecie non poteva ritenersi sussistente un'attività di cessione di energia elettrica a terzi, quanto, piuttosto, tenuto conto del contenuto della convenzione stipulata tra Aeroporti di XXXX  s.p.a. e il Ministero dei Trasporti, una subconcessione necessaria a garantire il buon funzionamento e la gestione dell'attività aeroportuale, posto che le attività conferite a terzi, in base al suddetto atto, tenuto conto dei destinatari, erano funzionali ed essenziali per il normale operare dell'aeroporto, svolgendo una funzione complementare e, in alcuni casi, indispensabile, per l'attività dell'aerostazione;

in secondo luogo, ha precisato che sussisteva comunque un legittimo affidamento della società ricorrente in ordine al proprio status di opificio industriale e, quindi, di soggetto esente, tenuto conto della nota del 2002 dell'Agenzia delle dogane, e delle successive conferme da parte dei verificatori, secondo la quale la società non era tenuta al pagamento dell'imposta erariale nei mesi in cui l'energia utilizzata, sia acquistata che autoprodotta, superava il limite dei Kw/h previsti dalla normativa di riferimento;

 in terzo luogo, ha evidenziato che le suddette circostanze erano state già affermate dalla Commissione con riferimento ai giudizi nei quali si era contestato dalla società la legittimità degli avvisi di accertamento presupposti all'atto sanzionatorio impugnato nel giudizio.

 Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l'Agenzia delle dogane, affidato a quattro motivi di censura, cui ha resistito la contribuente depositando controricorso contenente ricorso incidentale.

 L'Agenzia delle dogane ha depositato controricorso al ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno, altresì, depositato memoria illustrativa. Ragioni della decisione 1. Sulla eccezione di parte controricorrente di inammissibilità del ricorso.

1.1 Preliminarmente va disattesa l'eccezione di A. s.p.a. (di seguito società A.) di inammissibilità del ricorso per violazione dell'art. 366, comma primo, n. 1, cod. proc. civ., in quanto privo della necessaria specificità, non avendo chiaramente ed in modo esaustivo esposto gli elementi di fatto, sostanziali e processuali, da cui ha avuto origine la controversia ed oggetto di esame ad opera della pronuncia oggetto di impugnazione; inoltre, evidenzia che la materia del contendere sarebbe stata individuata in maniera parziale, inesatta, incompleta ovvero distorta, anche relativamente alla rappresentazione sul piano processuale dei fatti di causa, e che sarebbe stata omessa l'indicazione delle posizioni assunte dalle parti nel corso dei giudizi di merito.

1.2. Invero, va precisato che secondo questa Corte, (Cass. civ., Sez. III, 12 luglio 2018, n. 18316) il requisito della esposizione sommaria dei fatti di causa (prescritto, a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione, dall'art. 366, comma primo, n. 3), cod. proc. civ) postula che il ricorso per cassazione - pur non dovendo necessariamente contenere una parte relativa alla esposizione dei fatti strutturata come premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi o tradotta in una narrativa analitica o particolareggiata dei termini della controversia - offra, almeno nella trattazione dei motivi di impugnazione, elementi tali da consentire una cognizione chiara e completa non solo dei fatti che hanno ingenerato la lite, ma anche delle varie vicende del processo e delle posizioni eventualmente particolari dei vari soggetti che vi hanno partecipato, in modo che si possa di tutto ciò avere conoscenza esclusivamente dal ricorso medesimo, senza necessità di avvalersi di ulteriori elementi o atti.

Il grado di specificità non può essere stabilito in via generale ed assoluta, posto che lo stesso va misurato in relazione ai diversi giudizi ed al loro concreto svolgimento, dovendosi comunque tenere in considerazione, come profilo unitario, la finalità cui deve assolvere il necessario assolvimento dell'onere di specificazione, che è quella di consentire a questa Corte, attraverso le indicazioni contenute in sede di svolgimento del processo e dei successivi motivi, di comprendere con sufficiente chiarezza l'oggetto del contendere e le rispettive posizioni difensive, al fine di potere, in fine, compiutamente identificare le ragioni di fatto e di diritto in base alle quali viene richiesto il giudizio di legittimità sulla sentenza gravata.

1.3. Nella specie, il ricorso ha chiaramente precisato: a) che l'oggetto del giudizio di merito ha avuto riguardo alla contestazione, da parte dell'Agenzia delle dogane, del mancato pagamento da parte della società A. dell'imposta erariale sul consumo di energia elettrica nella misura dovuta, avendo indebitamente usufruito dell'agevolazione, con conseguente applicazione della sanzione, non potendo essere qualificata come

opificio industriale e non avendo presentato la denuncia, con conseguente omesso pagamento del canone annuo dovuto per l'energia elettrica auto prodotta con i propri gruppi elettrogeni di soccorso, (pag. 4, punto 2), sintetizzando, successivamente, le ragioni della pretesa, fondate sulla circostanza che la società A. aveva illegittimamente beneficiato dell'agevolazione di cui all'art. 52, comma 2, lett. o-bis, del decreto legislativo n. 504/1995, non potendosi qualificare come opificio industriale e non avendo presentato la denuncia di officina, di cui all'art. 53, comma 1; b) ha evidenziato quali erano le problematiche sottese al contenzioso in oggetto, in particolare se sia possibile ricondurre alla società A. (e quindi al sedime aeroportuale) la qualificazione di opificio industriale e se sia coerente, oltre che compatibile con la normativa di settore, che partecipino al raggiungimento della soglia di esenzione, fissata dal legislatore nella misura di 1.200.000 KWh al mese, i consumi propri della società A. e quelli dei diversi soggetti cui la medesima forniva energia, in una situazione nella quale era impossibile distinguere l'energia autoprodotta da quella acquistata, a causa dell'omissione delle formalità prescritte dalla legge, quali la denuncia di officina, al fine di consentire all'ufficio doganale i dovuti controlli (pag. 9, ultimo periodo); c) ha precisato che l'atto di contestazione in esame era stato impugnato dalla società A. e che il giudice di primo grado lo aveva dichiarato illegittimo sul presupposto che era stato annullato l'atto prodromico (pag. 10, primo periodo); ha quindi dato atto dell'appello proposto e della successiva pronuncia del giudice del gravame (riprodotta interamente), oggetto di ricorso in questa sede (pag. 10, primo capoverso). 1.4. Dall'esame dei suddetti punti, quindi, emerge che sia l'illustrazione del percorso processuale che l'oggetto della controversia che, infine, i diversi profili di fatto e di diritto relativi alla questione, sono stati sufficientemente delineati dalla ricorrente,

consentendo a questa Corte di potere apprezzare e valutare i successivi motivi di ricorso prospettati dalla ricorrente.

Non rileva, ai fini dell'assolvimento del principio di specificità del ricorso, la circostanza che, secondo la società A., sia stata data una ricostruzione parziale o incompleta, essendo invece sufficiente che l'illustrazione compiuta nel ricorso contenga la esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all'art. 366, comma primo, n.3), cod. proc. civ., mentre i profili evidenziati attengono, piuttosto, al merito della vicenda e possono, quindi, validamente essere prospettati al fine di contrastare, ove necessario, gli elementi dedotti dalla parte ricorrente per fondare le ragioni su cui si basano i singoli motivi di ricorso.

2. Sui motivi di ricorso principale. 2.1. Per ragioni di ordine logico sistematico si ritiene necessario esaminare in via prioritaria il secondo motivo di ricorso principale, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. da 52 a 55 del decreto legislativo n. 504/1995, dell'art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale e dei principi sull'interpretazione del contratti, anche con riferimento all'art. 53 Cost. e art. 10 della legge n. 212/2000; degli artt. 1362- 1371, cod. civ., e dei principi generali sull'interpretazione dei contratti; degli artt. 6 e 7, del decreto legislativo n. 472/1997.

 2.2. Il motivo è inammissibile. Va osservato che la ricorrente censura la sentenza per avere ritenuto sussistente, nella fattispecie, il legittimo affidamento della società A., avendo erroneamente basato la suddetta valutazione sul contenuto della convenzione sottoscritta con l'Agenzia delle dogane, in quanto: a) gli accordi tra la parte privata e quella pubblica non possono derogare a previsioni di legge; b) la considerazione espressa dal giudice del gravame viola la spirito e la ratio dell'art. 10 della legge n. 212/2000; c) il giudice del gravame ha applicato alle sanzioni istituti (la buona fede e il legittimo

affidamento) che non trovano riscontro nelle previsioni di cui agli artt. 5 e 6 del decreto legislativo n. 472/1997, che disciplinano la colpevolezza e l'imputabilità; d) le clausole della convenzione non consentivano alla società A. di cumulare i consumi propri con quelli degli utenti terzi, ma solo di beneficiare della soglia di tassabilità per i consumi propri.

2.3. Va precisato che il motivo di censura in esame, a ben vedere, si orienta a censurare il passaggio della sentenza che ha definito la questione relativa alla non applicabilità della sanzione per la sussistenza di una situazione di legittimo affidamento della società A.: si tratta, invero, di un profilo che involge questioni concernenti vizi propri dell'atto di contestazione della sanzione che costituisce l'oggetto della pretesa originaria fatta valere nel presente giudizio.

In questo contesto, va inserita, quindi, la questione in esame, cioè l'esistenza o meno del legittimo affidamento della società A. su atti dell'amministrazione che potrebbe consentire di ritenere non applicabile la sanzione relativa al mancato pagamento dell'imposta erariale sui consumi di energia elettrica.

2.4. Ciò precisato, va osservato, in primo luogo, differentemente da quanto sostenuto dalla difesa di parte ricorrente, secondo cui il riferimento al legittimo affidamento non costituirebbe profilo che attiene all'applicabilità della sanzione, che l'art. 10, comma 2, della legge 27 luglio 2000, n. 212, prevede espressamente che «Non sono irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorchè successivamente modificati dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa». Dunque, ai fini dell'applicabilità della sanzione, il profilo dell'eventuale sussistenza di una condizione di affidamento,derivante dal comportamento della pubblica amministrazione, nei limiti precisati dalla norma, può avere un effetto ostativo all'applicazione della sanzione.

2.5. Il giudice del gravame ha ritenuto che la sussistenza della condizione di legittimo affidamento della società A. trovava ragione nel contenuto della nota del 2002 con cui l'Agenzia delle dogane aveva ritenuto che l'A. non fosse tenuta al pagamento dell'imposta erariale nei mesi in cui l'energia utilizzata, sia acquistata sia autoprodotta superasse il limite dei 1200 KW/h.

La spettanza dell'esenzione è stata inoltre più volte confermata dai verificatori dell'Agenzia delle dogane. È quindi sulla sussistenza di tali due specifici profili (il contenuto della nota del 2002 e la successiva condotta confermativa dei verificatori) che si è fondata la ragione della decisione sulla questione in esame.

2.6. Il presente motivo di ricorso, invero, non dà per nulla conto dei suddetti due profili né, in particolare, del contenuto della nota del 2002 citata dal giudice del gravame, eventualmente censurando la non corretta sussunzione della stessa nell'ambito della previsione normativa di cui all'art. 10, della legge 212/2000.

Va osservato, in particolare, che nel prospettare il presente motivo di censura, parte ricorrente (vd. pag. 34 del ricorso) lamenta che la CTR richiama, inoltre, a sostegno della sua decisione e con riferimento alla buona fede ed all'affidamento di controparte, il contenuto di una convenzione sottoscritta fra A. e l'Agenzia delle Dogane il 26/6/1974 (fasc. I gr. A.) senza alcun approfondimento dei suoi contenuti ma limitandosi ad un generico richiamo.

 Quindi, dopo avere riportato il passaggio motivazionale della sentenza relativo alla questione in esame, evidenzia che questa affermazione è errata, in primo luogo, perché gli accordi fra l'Agenzia e la soc. A., in qualunque tempo sottoscritti, non possono derogare alle norme di legge che disciplinano la materia e che dianzi sono state passate in rassegna (pag. 34, ult. cpv).

Ancora, precisa che la sentenza è errata perché le clausole di quell'accordo - correttamente interpretate secondo gli artt. 1362- 1371, cod. civ., ed i principi generali sull'interpretazione dei contratti - non consentono affatto ad A. di cumulare i consumi propri con quelli degli utenti terzi, cessionari dell'energia elettrica acquistata o autoprodotta da A., bensì soltanto di usufruire della soglia di tassabilità di 1.2000.000 KWH per i propri consumi (pag. 35, ultimo periodo).

Nei successivi passaggi, poi, di pag. 36, si fa unicamente riferimento alla convenzione, della quale, a pag. 37 e 38, è riportato integralmente il contenuto. Gli ulteriori passaggi argomentativi contenuti nel ricorso hanno unicamente riguardo al contenuto della convenzione del 7 novembre 2001 ed alla convenzione del 1974.

A conclusione dei suddetti riferimenti, nel motivo di ricorso in esame si precisa quindi che I giudici di secondo grado, ribadendo la decisione di primo grado, hanno interpretato le clausole convenzionali in violazione degli artt. 1362-1371, cod. civ., e dei principi generali sull'interpretazione dei contratti (pag. 39, punto 3) e che ha, pertanto, errato la CTR nel prendere in considerazione, peraltro del tutto genericamente, la convenzione esecutiva della legge n.755/1973, senza prestare attenzione al suo contenuto, alla sua finalizzazione ed al contesto normativo nel quale si inseriva e che non era derogabile, finendo così per interpretarla in contrasto con gli artt. 1362-1371 cod. civ. (pag. 42).

2.7. Si evince, dunque, da quanto sopra esposto, che l'attenzione della ricorrente, con il presente motivo di ricorso, è stata unicamente rivolta al contenuto delle convenzioni stipulate con la società A. e ai profili interpretativi della medesima, senza alcuno specifico riferimento alla nota del 2002 ed ai comportamenti successivi di conferma dei verificatori, sebbene, come detto, era stato su questi specifici elementi che il giudice del gravame aveva espresso la propria valutazione circa la sussistenza del legittimo affidamento, precisando espressamente che tale circostanza ha sicuramente generato un legittimo affidamento nella società accertata che ha quindi ritenuto il proprio status di soggetto esente cumulando ai fini del raggiungimento della quota di legge l'intera energia consumata nel sedime aeroportuale, equiparato in tal modo ad un opificio.

Con il proporre il presente motivo di ricorso, quindi, parte ricorrente non ha colto la ratio decidendi della pronuncia in esame, prospettando ragioni di censura che non attengono in alcun modo ai profili sui quali il giudice del gravame aveva ritenuto di fondare la ragione della sussistenza del legittimo affidamento della società A., sicchè lo stesso è inammissibile in quanto non conferente con la ragione della decisione in ordine alla sussistenza del legittimo affidamento ai fini della non applicabilità della sanzione.

3. Sugli ulteriori motivi di ricorso principale 3.1. Dalla ritenuta inammissibilità del motivo di censura in esame deriva l'assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso principale che tendono, in realtà, a censurare la sentenza per profili inerenti la verifica della sussistenza o meno dell'illecito tributario, in particolare: il primo motivo di ricorso (con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. da 52 a 55 del decreto legislativo n. 504/1995, dell'art. 12, comma 1, delle disposizioni sulla legge in generale e dei principi sull'interpretazione del contratti, anche con riferimento all'art. 53 Cost. e art. 10 della legge n. 212/2000); il terzo (con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. da 52 a 55 del decreto legislativo n. 504/1995, danche in relazione all'art. 2697 cod. civ. e ai principi generali in materia di onere della prova, anche con riferimento agli artt. 53 e 59 del TUA, all'art. 53 Cost. e art. 10 della legge n. 212/2000); il quarto, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 16, 17 e 20 del decreto legislativo n. 472/1997, nonché in riferimento all’art. 295 c.p.c.

4. Sui motivi di ricorso incidentale 4.1. L'inammissibilità del secondo motivo di ricorso principale ha effetti assorbenti anche sui motivi di ricorso incidentale proposti dalla controricorrente sulle questioni pregiudiziali e preliminari assorbite dalla pronuncia censurata, in particolare: sul primo motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 19 del decreto legislativo n. 504/1995, relativo alla carenza di legittimazione dell'ufficio delle dogane di XXXX 1 ad emettere l'atto impugnato; sul secondo motivo, con il quale si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione dell'art. 7 della legge n. 212/2000, per difetto di motivazione dell'atto di contestazione; sul terzo, con il quale si censura la sentenza, ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 4), cod. proc. civ., per omessa pronuncia sulla illegittimità dell'atto di contestazione in quanto notificato a soggetto privo di legittimazione passiva. Parimenti assorbite sono le ulteriori eccezioni proposte dalla controricorrente e assorbite dalla pronuncia che non possono essere considerate implicitamente decise: in particolare, la ritenuta violazione dell'art. 6, del decreto legislativo n. 472/1997, per la sussistenza di condizioni di obiettive, incertezza della normativa; l'insussistenza del dolo o della colpa della contribuente; la mancata applicazione del cumulo giuridico delle sanzioni.

5. Conclusioni 5.1. In conclusione, va dichiarato inammissibile il secondo motivo di ricorso principale, con assorbimento degli ulteriori motivi di ricorso principale e dei motivi di ricorso incidentale, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso principale, assorbiti í motivi di ricorso incidentale, condanna parte ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite, che si liquidano in complessive euro 13.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici a per cento ed accessori di legge.

Deciso in Roma, addì 5 aprile 2019

 

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