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Corte di Cassazione, Sez. 5,
Sentenza n. 25260 del 9 ottobre del 2019
FATTI DI CAUSA
L. di L.B. S.r.l., LB, RF e FM, LM impugnavano l'avviso di rettifica e liquidazione n. XXXXXXXX, notificato il 22.10.2006 dall'Agenzia delle entrate, con cui veniva rettificato il prezzo dichiarato dalle parti nell'atto di compravendita di un terreno edificabile di euro 450.000,00 in euro 701.000,00, tenuto conto dell'ubicazione, della natura, della destinazione, della potenzialità edificatoria del terreno, secondo la valutazione dell'osservatorio immobiliare e di una perizia tecnico estimativa redatta da un professionista incaricato dall'Istituto bancario al quale la società acquirente aveva chiesto l'erogazione del mutuo per l'effettuazione dei lavori di costruzione del terreno compravenduto. La Commissione Tributaria Provinciale di Rimini, con sentenza n. 65/2/10, accoglieva parzialmente il ricorso, dichiarando l'inammissibilità dell'impugnazione proposta da ML, parte alienante (quota 1/6) perché priva di delega alla difesa, rideterminando il valore commerciale in euro 592.800,00. LB, FR, FM e LM proponevano appello che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale dell'Emilia - Romagna, con sentenza n. 114/15/12, ritenendo che la perizia di stima allegata dall'Agenzia delle entrate non fosse sufficiente a determinare la rettifica dell'atto, essendo stata redatta per finalità diverse, non riguardante profili fiscali, mentre i contribuenti avevano esibito una perizia contrastante con il valore determinato dalla consulenza utilizzata dall'Agenzia delle entrate, a cui erano stati allegati copie degli atti di vendita di immobili similari, avvenuti nello stesso periodo e nella stessa zona. Infine, i giudici di appello rigettavano l'eccezione proposta dall'Ufficio di inammissibilità del ricorso e dell'appello proposto da LM, deceduta prima della proposizione del ricorso, ritenendo tale eccezione superata dalla congruità del valore dichiarato dalla contribuente, sicchè l'annullamento dell'avviso non poteva provocare esiti diversi nei confronti dei vari contribuenti. L'Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, svolgendo tre motivi. FM e RF si sono costituite con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.L'Ufficio ricorrente preliminarmente osserva che sul capo alla sentenza di primo grado, che ha dichiarato l'inammissibilità del ricorso proposto da ML, deceduta prima della proposizione del ricorso, si sarebbe formato il giudicato interno, posto che tale capo della sentenza non sarebbe stato oggetto di impugnazione in sede di appello.
1.1.Va precisato che il rilievo proposto dall'Ufficio è inammissibile sotto vari profili. In primo luogo è carente di autosufficienza, non essendo consentito a questa Corte di valutare i rilievi sopra esposti, atteso che non è stato riportato nel corpo del ricorso per cassazione il contenuto dell'atto di appello, del ricorso introduttivo, e degli atti difensivi con i quali si è proposta tale eccezione, ciò al fine di permettere la verifica dell'eccezione esclusivamente in base al ricorso medesimo, senza necessità di accedere a fonti esterne; oltre al fatto che sulla questione della eccezione di inammissibilità del ricorso proposto da LM il giudice di appello si è espresso, ritenendola superata (ed assorbita) in ragione della ritenuta congruità del valore dichiarato dalla contribuente. Tale specifico capo della sentenza di secondo grado non è stato espressamente censurato con ricorso per cassazione secondo le categorie logiche previste dall'art. 360 c.p.c., in quanto l'Ufficio ricorrente si è limitato ad "osservare", non adempiendo a tale obbligo processuale.
2.Con il primo motivo si censura la sentenza impugnata, denunciando violazione degli artt. 51 e 52 d.P.R. n. 131 del 1986, in materia di imposta di registro, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., in quanto i giudici di appello avrebbero ritenuto che il valore ai fini fiscali dell'immobile compravenduto non potesse coincidere con il valore commerciale dell'immobile individuato dal perito nominato dalla banca erogante il mutuo.
3.Con il secondo motivo si censura la sentenza impugnata denunciando omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., riguardante il fatto che la perizia di stima redatta dal geom. PP per l'Istituto di credito che ha erogato il mutuo fondiario (XXXXXXX), richiamata dall'avviso di accertamento, fosse sufficiente, unitamente ad altri indizi indicati nella motivazione dell'atto impositivo, a determinare la rettifica di valore dell'immobile. L'Ufficio rileva che la motivazione della sentenza risulterebbe viziata con riferimento all'affermazione che sarebbero state prodotte in giudizio vendite di immobili similari, laddove tale circostanza non risulterebbe in nessun modo, con conseguente travisamento delle risultanze processuali. Si lamenta: a)omessa motivazione circa la differente valutazione ai fini del giudizio del "peso probatorio" attribuito alla perizia redatta dal tecnico di parte ing. M ai fini della valutazione dell'immobile ai sensi della legge n. 448 del 2001, rispetto alla stima redatta dal tecnico incaricato dalla banca; b) incongruità e illogicità della motivazione per mancata valutazione di una delle prove prodotte dall'ufficio a supporto della rettifica di valore dell'immobile effettuata ai sensi dell'art. 51 del d.P.R. n. 131 del 1986, ossia i valori di mercato individuati dall'osservatorio FIAIP, prodotti dall'Ufficio a sostegno della fondatezza del maggior valore accertato dell'immobile.
4. Con il terzo motivo si denuncia violazione degli artt. 91 e 92 del d.m. n. 585 del 1994, del d.m. 127 del 2004, del d.m. n. 140 del 2012 (tariffario forense), in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., posto che i giudici di appello avrebbero condannato l'Agenzia al pagamento della somma di euro 5000,00, complessivi di spese ed onorari, somma sproporzionata ed eccessiva in rapporto alle tariffe vigenti in base ai decreti ministeriali, anche in considerazione del fatto che la soccombenza in primo grado era reciproca e che il difensore delle controparti non aveva presentato nessuna nota spese.
5. Il primo ed il secondo motivo di ricorso, da esaminarsi congiuntamente per connessione logica, sono infondati.
5.1. La prima censura investe la valutazione espressa dal giudice del merito in ordine alla univocità e concludenza degli elementi di prova a fondamento della pretesa della Amministrazione finanziaria, e trattandosi di un giudizio di fatto non è pertinente la deduzione in questa sede della violazione di norme di diritto.
5.2. Nei limiti in cui si denunzia il vizio di motivazione - ex art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. - le doglianze sono infondate. Va premesso che il vizio relativo ad omessa motivazione comporta un giudizio sulla ricostruzione del fatto giuridicamente rilevante e sussiste solo qualora il percorso argomentativo adottato nella sentenza di merito presenti lacune ed incoerenze tali da impedire l'individuazione del criterio logico posto a fondamento della decisione. Nella specie non ricorre il denunciato vizio motivazionale, posto che la decisione, certamente adottata in contrasto con le argomentazioni difensive prospettate dall'Ufficio, esamina le prove offerte dalle parti, dandone atto in motivazione, ritenendo più idonea alla determinazione del valore dell'immobile la perizia redatta dai contribuente rispetto a quella esibita dall'Ufficio, sulla base del rilievo che quest'ultima valutazione era stata effettuata da un istituto di credito per la concessione di un mutuo fondiario, quindi con finalità differenti da quelle fiscali. Nel processo tributario, la relazione di stima di un immobile, prodotta dall'Amministrazione finanziaria (anche se redatta per la concessione di un mutuo fondiario) costituisce una semplice perizia di parte al pari delle perizie redatte dal contribuente. Ne consegue che ogni perizia di parte può costituire fonte di convincimento del giudice, che può elevarla a fondamento della decisione a condizione che spieghi le ragioni per le quali la ritenga corretta e convincente (Cass. n. 8890 del 2007; Cass. n. 7932 del 2002).
5.3.Le censure sono comunque inammissibili, in quanto con il motivo di ricorso, l'Ufficio si duole delle difformità dei rilievi del giudice del merito rispetto alle attese ed alle deduzioni sul valore e sul significato attribuito agli elementi delibati, ma in sostanza domanda la rinnovazione di un giudizio, proponendo un diverso inquadramento degli elementi probatori già valutati, quindi una istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento del giudice del merito, tesa ad ottenere una nuova pronuncia sul fatto, con conseguente inammissibile sovrapposizione del giudizio di questa Corte ai poteri propri ed esclusivi del giudice di appello. Invero, è stato in più occasioni affermato che la valutazione delle emergenze probatorie, come la scelta, tra le varie risultanze di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice di merito, il quale nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive (cfr. ex plurimis Cass. n. 17097 del 2010; Cass. n. 12362 del 2006; Cass. n. 11933 del 2003). Ne consegue che il ragionamento condotto dal giudice di merito, basato sulla considerazione della consulenza tecnica depositata dai contribuenti, appare insindacabile in questa sede.
6. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile per carenza di decisività, posto che l'Ufficio ricorrente ha omesso di specificare, in ossequio al principio di autosufficienza, gli elementi fattuali in concreto condizionanti l'ambito di operatività delle violazioni delle tariffe forensi in tema di determinazioni dei compensi professionali. Non è stata allegata, infatti, quale sia stata l'attività difensiva effettivamente svolta nel corso del giudizio dalle parti, con riferimento ai diversi gradi di merito, sicchè le censure appaiono genericamente proposte e di fatto non consentono di valutare la denunciata inesatta determinazione delle spese processuali.
7.In definitiva, il ricorso va rigettato e parte soccombente va condannata alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte soccombente al rimborso delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro 4.100,00 per compensi, oltre spese forfetarie ed accessori di legge.
Così è deciso, in Roma, il 4 luglio 2019.
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