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Cassazione, Sez. 5,
Sentenza n. 25253 del 9 ottobre del 2019
FATTI DI CAUSA
1. Con sentenza n. 4623/01/16, depositata il 16 maggio 2016, non notificata, la Commissione Tributaria Regionale della Campania, pronunciandosi quale giudice del rinvio, accoglieva parzialmente l'appello proposto dalla XXX s.r.l. avverso la sentenza n. 201/41/09 della Commissione Tributaria Provinciale di Napoli, con compensazione delle spese di lite. Il giudice di appello rilevava: a) che il giudizio aveva ad oggetto l'impugnazione dell'atto di classamento n. xxxxxxxxxx con il quale era stata attribuita, ad un complesso alberghiero termale di categoria xxxxxxxx sito in Ischia, di proprietà della contribuente, una rendita maggiore rispetto a quella proposta a mezzo di procedura DOCFA; b) che la CTR, ritenendo di non poter condividere la sentenza della CTP che aveva accolto il ricorso per l'omessa produzione dell'elenco degli immobili similari, premesso che l'attribuzione del nuovo classamento era stato preceduto da sopralluogo e accompagnato dalla allegazione di una precisa relazione estimativa, dando al contribuente la possibilità di segnalare eventuali inesattezze o errori, aveva riformato la decisione di primo grado, e rigettato il ricorso introduttivo, sul presupposto che l'avviso di variazione catastale era stato ben motivato e giustificato dall'elaborato tecnico allegato all'atto impositivo; c) che, proposto ricorso per cassazione, questa Corte con sentenza n. 2619 del 2015, rilevato che la CTR, pur avendo ritenuto l'atto legittimo sia sotto il profilo del procedimento, essendo stato preceduto dal sopralluogo, e sia sotto il profilo della motivazione, perché presentava allegata una precisa relazione estimativa, aveva, tuttavia, con riferimento al merito della controversia, semplicemente quanto apoditticamente affermato che il diverso classamento attribuito era giustificato dall'elaborato tecnico allegato all'atto impositivo, composto da sei facciate, dove l'Ufficio aveva provveduto a esplicitare i criteri seguiti e gli elementi tecnici del complesso alberghiero giustificando la rettifica apportata con la mera indicazione in modo astratto e apparente degli elementi tecnici probanti la dimostrazione della maggiore rendita, senza permettere la comprensione dell'iter logico seguito, aveva cassato la sentenza, per vizio di omessa motivazione, e rinviato al giudice a quo per l'accertamento degli ulteriori fatti. Tanto premesso, la CTR, limitato il giudizio alla valutazione del merito dell'accertamento, rilevato che l'Ufficio aveva dato prova dei criteri concreti di stima adottati, indicando svariati complessi alberghieri similari con valutazioni superiori a quella dichiarata, siti in Comuni vicini, che la contribuente dal suo canto, non aveva fornito prova contraria, in quanto non aveva prodotto perizia di stima ed indicato in comparazione un albergo dalla diversa ricettività, preso atto che nessuna delle parti aveva dato prova definitiva circa il valore degli immobili comparabili, aveva parzialmente accolto l'appello e rideterminato il valore unitario da attribuire alla struttura in € 1.250,00 al mq, pari alla media aritmetica tra il valore proposto e quello determinato dall'Ufficio.
2. Avverso tale sentenza, la XXX s.r.l. ha proposto ricorso per cassazione, consegnato per la notifica in data 7 novembre 2016, affidato a nove motivi; il Comune di Ischia ha resistito con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso, la XXX s.r.l. censura la sentenza impugnata, denunciando violazione e falsa applicazione dell'art. 384 c.p.c. nonché dell'art. 63 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per non aver proceduto all'accertamento degli ulteriori fatti, come richiesto dalla S.C., facendo nuovamente riferimento alla valutazione di stima allegata all'avviso e alla descrizione degli immobili ivi contenuta;
2. con il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nonché dell'art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per avere la sentenza impugnata fornito una motivazione solo apparente, limitandosi a richiamare la descrizione dell'immobile contenuta nell'accertamento, analogamente alla sentenza cassata;
3. con il terzo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nonché dell'art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., censurando la sentenza impugnata per aver omesso ogni motivazione sui criteri di quantificazione adottati nella determinazione della nuova rendita;
4. con il quarto motivo deduce la violazione degli artt 2697, 2727 e 2729 c.c., nonché dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver fissato la rendita sulla base di un valore più alto pur in assenza di elementi di prova desumibili dagli immobili posti in comparazione, tutti con valutazione inferiore; 5. con il quinto motivo deduce la violazione degli artt. 2697, comma 2, c.c., nonché dell'art. 115 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., per aver posto l'onere della prova contraria a carico della contribuente, ed in ogni caso non valutato la prova contraria fornita con l'indicazione di altri immobili in comparazione;
6. con il sesto motivo denuncia violazione dell'art. 132, comma 2, n. 4 c.p.c. nonché dell'art. 36, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver affermato apoditticamente che un albergo con 76 posti letto abbia minor valore di uno con 115;
7. con il settimo motivo lamenta omesso esame di un fatto decisivo e controverso, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., per aver omesso di esaminare gli altri quattro immobili indicati in comparazione con valutazione inferiore;
8. con l'ottavo motivo denuncia violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per aver omesso di pronunciarsi sulla corretta consistenza della superficie dell'albergo, rilevante ai fini catastali e calcolata dall'Ufficio in misura superiore;
9. con il nono motivo denuncia violazione dell'art. 7 del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per l'omesso ricorso ai poteri istruttori d'ufficio mediante l'espletamento di una CTU.
10. Il primo, il secondo ed il terzo motivo, da trattarsi congiuntamente per connessione, risultano infondati.
10.1 Il giudice del rinvio, a prescindere da ogni valutazione in ordine alle modalità con cui lo ha effettuato, ha comunque proceduto all'accertamento dei fatti che gli era stato demandato all'esito della cassazione della precedente decisione in sede di legittimità, la cui omissione era stata censurata quale vizio di omessa motivazione. Supplendo alle carenze motivazionali della sentenza cassata, che si era limitata ad un rinvio all'elaborato tecnico allegato all'avviso, ha riportato una dettagliata descrizione della struttura alberghiera, indicato gli immobili offerti in comparazione sia dall'Ufficio che dalla parte, ed espresso le ragioni per cui ha ritenuto più o meno attendibile l'analisi comparativa con alcuni di essi. Ha infine motivato l'individuazione della rendita ridotta in misura pari a C 1.250,00 al mq in considerazione dell'assenza di una prova piena sui valori proposti, con l'utilizzo di una media aritmetica tra le differenze di valori.
11. Meritano invece accoglimento il quarto e quinto motivo.
11.1 La violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c. è deducibile ai sensi dell'articolo 360, comma 1, n. 3 c.p.c. solo in caso di violazione delle regole di formazione della prova (rispettivamente: quando il giudice utilizzi prove non acquisite in atti o ometta di valutare quelle acquisite su fatti decisivi senza motivazione; quando valuti le prove secondo un criterio diverso da quello indicato dall'articolo 116 c.p.c. ovvero una prova legale secondo prudente apprezzamento o un elemento di prova liberamente valutabile come prova legale) (Vedi Cass. n. 13960 del 2014; n. 27000 del 2016; n. 9356 del 2017; n. 27033 del 2018). Il giudice di merito, nell'esaminare le prove offerte dalle parti, teoricamente può incorrere in un duplice errore di giudizio: - un errore di valutazione; - un errore di percezione. L'errore di valutazione, che consiste nel ritenere la fonte di prova dimostrativa o meno del fatto che con essa si intendeva provare, non è sindacabile in sede di legittimità, in quanto non previsto tra i vizi denunciabili col ricorso per cassazione, di cui all'art. 360 c.p.c., salvo che, debordando in un errore di fatto, non venga censurato attraverso il corretto paradigma normativo del difetto di motivazione, e dunque nei limiti consentiti dall'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., come riformulato dall'art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla I. n. 134 del 2012. L'errore di percezione è invece quello che cade sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, ovvero sul demonstratum e non sul demonstrandum. L'errore di percezione, quando investa un fatto incontroverso, è censurabile con la revocazione ordinaria, ai sensi dell'art. 395, n. 4, c.p.c., mentre qualora investa una circostanza che ha formato oggetto di discussione tra le parti, è censurabile per cassazione ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c., per violazione dell'art. 115 c.p.c.
Tale norma, nell'imporre al giudice di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, implicitamente vieta di fondare la decisione su prove "immaginarie", cioè reputate dal giudice esistenti, ma in realtà mai offerte; in tal caso, infatti, non ci troviamo in presenza di una ricostruzione del valore probatorio di un fatto od atto, sempre insindacabile in sede di legittimità, ma piuttosto di un'attività che ha ad oggetto l'individuazione del contenuto oggettivo della prova. La violazione dell'art. 115 c.p.c., dunque, può essere dedotta come vizio di legittimità non in riferimento all'apprezzamento delle risultanze probatorie operato dal giudice di merito, ma solo sotto due profili: qualora il medesimo, esercitando il suo potere discrezionale nella scelta e valutazione degli elementi probatori, ometta di valutare le risultanze di cui la parte abbia esplicitamente dedotto la decisività, salvo escluderne in concreto, motivando sul punto, la rilevanza; ovvero quando egli ponga alla base della decisione fatti che erroneamente ritenga notori o la sua scienza personale.( Vedi Cass. n. 4699 del 2018; n. 20382 del 2016).
11.2 Nel caso in esame la CTR, pur avendo posto correttamente alla base della determinazione del valore venale del bene l'analisi comparativa con altri beni similari, e ritenuto motivatamente comparabili anche strutture site in un Comune diverso ma vicino, ha omesso senza motivazione di valutare gli immobili indicati dallo stesso Ufficio (che avevano tutti un valore tra C 775,00 ed C 1.136,00, e quindi superiore a quello proposto dalla parte, ma inferiore a quello poi determinato d'ufficio pari ad C 1,250,00), pur avendo escluso l'utilizzabilità dell'unico accertamento relativo ad una struttura valutata in misura superiore pari ad C 1.800,00, perché annullato con sentenza definitiva. Quanto poi agli immobili indicati dalla contribuente ha escluso la comparabilità di uno di essi, sulla base del dato della diversa ricettività, ma nulla ha motivato in relazione agli altri quattro, sempre di valore inferiore.
Si versa in definitiva in una situazione in cui il giudice del merito è totalmente venuto meno al proprio compito di porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti, in relazione ai caratteri della fattispecie dedotta in giudizio.
12. Il sesto motivo, costituendo un errore di valutazione, va invece ritenuto inammissibile in quanto insindacabile in sede di legittimità, per gli stessi principi già enunciati.
13. Il settimo motivo è assorbito dall'accoglimento del quarto e quinto motivo.
14. Anche l'ottavo motivo risulta fondato: la questione di merito autonoma e decisiva posta sin dal ricorso introduttivo, e riproposta nei successivi gradi di giudizio, relativa alla determinazione delle superfici utili ai fini catastali, che risultano calcolate dalla contribuente in misura notevolmente inferiore, non è stata infatti esaminata dalla CTR, che si è limitata a statuire sul profilo relativo al valore al mq, ma non anche su quello altrettanto rilevante attinente al dato per cui quel valore va moltiplicato.
15. Infondato infine il nono motivo.
15.1 Indubbiamente "il giudizio che si svolge davanti alle Commissioni è un giudizio di merito a cognizione piena e le commissioni tributarie, alle quali il D. Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 attribuisce larghi poteri istruttori, possono acquisire "aliunde" gli elementi di decisione, prescindendo dagli accertamenti dell'ufficio e, ai fini della decisione medesima, sono dotate di ampio potere estimativo, anche sostitutivo, nel senso che possono sostituire la propria valutazione a quella operata dall'ufficio (cfr tra le tante Cass. n. 5776 del 2000). Ed invero, il principio secondo cui le ragioni poste a base dell'atto impositivo segnano i confini del processo tributario, non esclude il potere del giudice di qualificare autonomamente la fattispecie posta a fondamento della pretesa fiscale, ne' l'esercizio di poteri cognitori d'ufficio, non potendo ritenersi che i poteri del giudice tributario siano più limitati di quelli esercitabili in qualunque processo d'impugnazione di atti autoritativi, quale quello amministrativo di legittimità. (Vedi Cass. n. 21446 del 2009; Cass. n. 22932 del 2005, Cass. n. 11935 del 2012; Cass. n. 15472 del 2018). 15.2 Va tuttavia rimarcato che anche nel processo tributario "La consulenza tecnica d'ufficio è mezzo istruttorio ( e non una prova vera e propria) sottratta alla disponibilità delle parti ed affidata al prudente apprezzamento del giudice di merito, rientrando nel suo potere discrezionale la valutazione di disporre la nomina dell'ausiliario giudiziario e la motivazione dell'eventuale diniego può anche essere implicitamente desumibile dal contesto generale delle argomentazioni svolte e dalla valutazione del quadro probatorio unitariamente considerato effettuata dal suddetto giudice. (Vedi Cass. n. 15219 del 2007 e n. 9461 del 2010). Ne consegue che la scelta di disporre una CTU per accertare il fatto controverso della stima del valore di un bene e della sua superficie ai fini della determinazione della rendita catastale può risultare corretta ed opportuna, specie in situazioni che implicano valutazioni complesse e controverse, ma, in quanto frutto di una valutazione discrezionale e non obbligatoria, non è censurabile in sede di legittimità se motivata, anche solo con motivazione implicitamente desumibile. 16. Per le suesposte considerazioni, ritenuta la sussistenza dei vizi denunciati con i motivi quarto, quinto e ottavo, la sentenza va, in relazione a questi punti, cassata con rinvio alla CTR di Napoli, in diversa composizione, affinché provveda a valutare nuovamente il merito dell'accertamento impugnato, sanando il vizio di percezione e l'omissione di pronuncia evidenziati, ferma restando ovviamente la piena libertà del giudice del rinvio nella valutazione delle prove offerte.
P.Q.M.
La Corte, accoglie il quarto, quinto e ottavo motivo, dichiara inammissibile il sesto, assorbito il settimo, rigetta i restanti; cassa la sentenza gravata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per le spese, alla CTR della Campania in diversa composizione.
Così deciso, in Roma, il 3 luglio 2019.
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