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Inammissibile il tentativo dell’Agenzia di sostituire la propria interpretazione del contratto a quella fatta dal giudice con motivazione logica e congrua. Agenzia condannata a rimborsare 17.000 euro di spese processuali. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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Estratto: “La doglianza è invece volta, inammissibilmente, a sostituire la propria interpretazione del contratto concluso tra le due società a quella alla quale è pervenuto il Giudice di merito, con motivazione logica e congrua, peraltro non sindacando la sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c. per violazione delle regole dell'ermeneutica contrattuale”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 22645 dell’11 settembre 2019

FATTI DI CAUSA

1. L'A.E. ricorre, con due motivi, per la cassazione della sentenza indicata in epigrafe di accoglimento dell'appello proposto da U. LIMITED avverso la sentenza dalla CTP di Roma (n. 44/08/2010). Quest'ultima, a sua volta, aveva rigettato l'impugnazione proposta dal citato contribuente contro avviso di accertamento IVA relativo all'esercizio 2000 (n. XXX), emesso per recupero di IVA indebitamente detratta oltre che per IVA riportata a credito negli anni precedenti per un totale di euro 472.189,83 (oltre sanzioni ed accessori). La contribuente, che resiste con controricorso, propone ricorso incidentale condizionato.

2. La complessità della ricostruzione dei fatti di causa ne impone una puntuale loro sintesi, nei termini che seguono (per quanto emerge dalla sentenza impugnata oltre che dal ricorso, dal controricorso e dagli atti e documenti in essi riportati e da essi richiamati oltre che depositati).

2.1. La U. (contribuente attuale ricorrente, di seguito anche: «U. LTD»), con sede legale in Inghilterra e rappresentante fiscale in Italia, è parte del gruppo multinazionale U. che si occupa, in via principale, del controllo, della gestione e della logistica delle catene produttive in molteplici settori. Per quanto rileva nel presente processo, alla contribuente è affidata l'attività concernente la logistica di prodotti del settore auto e la consulenza inerente la ricerca della migliore efficienza produttiva, compresi studi e realizzazione di progetti relativi alla massimazione delle disponibilità dei ricambi, alla riduzione dei costi di magazzino, alla gestione dei depositi ed all'incremento dell'efficienza della catena valore. Con rifermento all'attività di cui innanzi U. LTD concluse un accordo con una società di diritto inglese del Gruppo J. (di seguito: «J. UK»), esteso anche all'Italia in forza di accordo con la J. Italia s.p.a., avente ad oggetto un servizio integrale di analisi, studio, raccolta, immagazzinamento e consegna di parti di ricambio per autovetture da sette depositi a circa 700 rivenditori/concessionari J. Tale servizio prevedeva la gestione di magazzino, la distribuzione multicanale dei pezzi di ricambio, la creazione ed il controllo del sistema informatico relativo all'attività di logistica, la gestione delle forniture ai clienti della stessa J. UK, oltre a vari servizi tecnici e commerciali. Per l'espletamento della detta attività, con riferimento ai concessionari italiani, la contribuente concluse con J. Italia s.p.a. un accordo (lettere 22 dicembre 1995 e 19 febbraio 1996), avente ad oggetto attività di supporto (nonché di controllo ed ottimizzazione delle attività logistiche), da parte della J. Italia s.p.a. ed in ragione dell'osservatorio privilegiato di essa nell'ambito delle relazioni con la rete dei concessionari, della gestione della politiche commerciali, del marketing, dei prezzi e delle performance di distribuzione. La contribuente, con sede legale in Inghilterra, nominò in Italia un rappresentante fiscale che sin dal 12 gennaio 1996 aveva comunicato di esercitare l'attività di «altri servizi connessi all'informatica» senza avvalersi di uffici, magazzini o locali e di esercitare l'attività presso la propria residenza (come emerge in maniera non controversa dal controricorso). In esecuzione dell'accordo da ultimo citato J. Italia s.p.a. emise nei confronti della U. LTD fatture comprensive dell'IVA, ritenendole operazioni imponibili ex art. 7, comma 3 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633. Ciò quindi in applicazione del principio di territorialità dell'imposta per prestazioni di servizi generici di cui al citato art. 7 (nella formulazione ratione temporis applicabile nella versione antecedente alle consistenti modifiche apportate dall'art. 1, comma 1, lett. b), del d.lgs. 11 febbraio 2010, n. 18). Queste ultime, in forza del detto comma 3, per il contribuente, avrebbero dovuto considerarsi effettuate nel territorio dello Stato in quanto emesse da soggetto avente domicilio e residenza in Italia, la J. Italia s.p.a., e, quindi non rientranti in taluna delle ipotesi derogatorie di cui al successivo comma 4 del medesimo art. 7. La contribuente, tramite il proprio rappresentante fiscale in Italia, oltre a riportare a credito negli anni precedenti parte dell'imposta, chiese il rimborso dell'IVA di cui alle dette fatture, non avendo effettuato in Italia operazioni attive comportanti un suo debito d'IVA nei confronti dell'Amministrazione finanziaria.

In forza della richiesta di cui innanzi, l'A.E. effettuò nei confronti della U. LTD un'ispezione contabile e documentale, eseguita mediante accesso nei locali destinati all'esercizio dell'attività, a fini IVA, relativamente a diverse annualità, tra le quali il 2000. L'accertamento fu condotto al fine di verificare la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi della legittimità dell'imposizione a fini IVA delle operazioni di cui alle fatture emesse dalla J. Italia s.p.a. e, quindi, della rimborsabilità dell'imposta alla contribuente, e si concluse con PVC del 3 dicembre 2007. Dalla detta attività emerse, in particolare, l'assenza di personale dipendente, di beni strumentali, di conti correnti in Italia, di ricevute di pagamento delle fatture di acquisto e che, quindi (anche) per il 1999 l'unica attività svolta dalla U. LTD, con rappresentante fiscale in Italia, aveva avuto ad oggetto solo la gestione amministrativa della tenuta della contabilità relativa alle transazioni commerciali tra la U. e la J. Italia s.p.a., in forza del supporto da quest'ultima fornito in ragione dei citati accordi commerciali. Trattavasi di dodici fatture tutte aventi la dizione «servizi di consulenza come da contratto del 22/12/1995», senza riferimenti alle qualità ed alle quantità delle operazioni (beni o servizi prestati) ed in assenza di altra documentazione a supporto delle stesse tale da rendere possibile la qualificazione e quantificazione delle operazioni. La contribuente, quindi, non avendo effettuato alcuna operazione attiva per il 2000, aveva annotato esclusivamente le fatture ricevute dalla J. Italia s.p.a. e le liquidazioni IVA erano pertanto risultate tutte a credito (con riporto anche del credito d'imposta dell'anno precedente). Per l'Amministrazione finanziaria si trattava quindi di attività gestita direttamente dalla casa madre inglese (la U. LTD) e non dal rappresentante fiscale in Italia, il quale invece si era limitato, di fatto, a recuperare l’IVA versata con riferimento alle citate fatture. In ragione anche del metodo di commisurazione del corrispettivo, in parte a provvigione e in parte fissa, l'amministrazione ritenne le operazioni non imponibili ex art. 40, comma 8, del d.l. 30 agosto 1993, n. 331, conv., con modif., dalla I. 29 ottobre 1993, n. 427 (comma abrogato dall'art. 24, comma 7, lett. b, n. 2, della I. 7 luglio 2009, n. 88, con decorrenza dal giorno successivo a quello di pubblicazione della legge stessa, salvo che per le operazioni a decorrere dal primo gennaio 2008 effettuate con applicazione della disciplina previgente). L'A.E. argomentò, quindi, in applicazione della disciplina inerente la territorialità delle operazioni intracomunitarie e considerando quelle in esame, ex art. 40, comma 8, cit., prestazioni di intermediazione rese da un soggetto con sede in Italia (la J. Italia s.p.a.) ad un soggetto passivo d'imposta intracomunitario (la U. LTD), pertanto non imponibili ai fini IVA (con conseguente non rimborsabilità e non detraibilità dell'IVA pagata). In ragione della parte fissa del corrispettivo (per collaborazione della J. Italia s.p.a. nella fornitura di dati necessari alla U. LTD per l'ottimizzazione dell'attività logistico-distributiva), l'amministrazione ritenne invece la non imponibilità delle operazioni ai sensi dell'art. 7, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972 (nella sua formulazione ratione temporis applicabile), rilevando, ai fini della determinazione territoriale dell'imposta il domicilio dell'utilizzatore, nella specie non presente in Italia.

3. L'avviso di accertamento fu impugnato innanzi al Giudice tributario da U. LTD che dedusse, per quanto rileva nel presente processo, la nullità dell'atto impositivo, ex art. 12 della I. 27 luglio 2000, n. 212, in quanto emesso in violazione del termine dilatorio di sessanta giorni, decorrenti dal rilascio del processo verbale di chiusura delle operazioni da parte degli organi di controllo, ed in assenza di particolare e motivata urgenza (prospettata dall'Amministrazione finanziaria solo in forza dell'imminenza del termine decadenziale per l'adozione dell'atto). Nel merito dell'accertamento, la contribuente dedusse l'erroneità dell'operato dell'Amministrazione finanziaria nel non aver considerato le operazioni di cui alle fatture imponibili ai fini IVA, ex art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972 (nella formulazione antecedente alla sua sostituzione ad opera dell'art. 1, comma 1, lett. b, del d.lgs. 11 febbraio 2010, n. 18, ratione temporis applicabile), in quanto aventi ad oggetto servizi resi da soggetto con domicilio nel territorio dello Stato (J.Italia s.p.a.).

4. la CTP di Roma, con sentenza n. 44/08/2010, rigettò l'impugnazione tanto con riferimento alla dedotta nullità dell'atto impositivo per violazione del contraddittorio endoprocedimentale, ritenendo non perentori i termini di sessanta giorni di cui all'art. 12, comma 7, della I. n. 212 del 2000 (e comunque sussistenti le prospettate ragioni di urgenza), quanto con riferimento alle doglianze nel merito della pretesa tributaria, confermando l'evidenziata ricostruzione di cui al PVC ed all'avviso di accertamento. La Commissione provinciale evidenziò, altresì, letteralmente: che «il contratto stipulato in data 22 dicembre 1995 e 19 febbraio 1996 tra la U. e la J. Italia non presenta le caratteristiche di un vero e proprio contratto, fonte di diritti e doveri per le parti contraenti, ma appare più una lettera di presentazione, non riportando nei dettagli gli ordini ed i limiti dei rispettivi impegni, per cui, non risulta particolarmente esaustivo e probatorio».

5. Appellata dalla contribuente, la sentenza di primo grado venne riformata dalla CTR di Roma che, con sentenza n. 1/22/2012 (oggetto di attuale ricorso per cassazione), limitatamente a quanto rileva nel presente giudizio, ritenne non nullo l'avviso di accertamento, nonostante il mancato rispetto del termine dilatorio di cui al citato art. 12, comma 7, in ragione della non perentorietà del termine, oltre che per la sussistenza delle ragioni d'urgenza prospettate dall'Ufficio. Nel merito dell'accertamento, il Giudice di secondo grado, in accoglimento dell'appello, riformò la sentenza impugnata. La Commissione regionale, in particolare, ritenne (pacifico anche per le parti) che la contribuente fosse identificata a fini IVA in altro stato dell'UE e che le prestazioni ricevute da parte di J. Italia s.p.a. fossero regolate dall'accordo del 1995. Tale accordo, preso atto che U. LTD forniva pezzi di ricambio ed accessori direttamente dal Regno Unito, aveva per oggetto, nell'ambito delle relazioni con la rete dei concessionari, la gestione completa delle politiche commerciali, del marketing, dei prezzi e delle performance di distribuzione. Premesso quanto innanzi, il Giudice tributario concluse nei seguenti termini: «secondo questa Commissione dette prestazioni, contrariamente a quanto sostenuto in questa sede dall'Ufficio, non hanno né caratteristiche di mediazione, né di consulenza o assistenza tecnica, e non possono quindi rientrare nella previsione di cui al comma 4 dell'art. 7 del d.P.R. 633/1972, ma vanno considerate come prestazioni di "servizi generici" rientranti nel comma 3 dello stesso articolo, nella formulazione vigente fino al 31.12.2009».

6. Contro la sentenza d'appello l'A.E. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi e sostenuto da memoria (con la quale ha dedotto anche l'infondatezza del ricorso incidentale), mentre la contribuente si è difesa con controricorso, prospettando l'inammissibilità del ricorso e, comunque, l'inammissibilità dei motivi di ricorso oltre che la loro infondatezza, ed ha proposto ricorso incidentale condizionato, affidato ad un motivo. Con memoria, poi, il contribuente ha dedotto l'efficacia espansiva del giudicato esterno costituito dalla sentenza n. 581/2000 emessa dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (che contestualmente produce). Sempre con la detta memoria «è stata comunque chiesta l'applicazione del nuovo regime sanzionatorio di cui agli artt. 6, comma 5, del d.lgs. n. 471 del 1997 (per illegittima detrazione dell'imposta) e 5 comma 6, dello stesso decreto (per dichiarazione con imposta inferiore a quella dovuta). In sede di discussione la parti hanno infine concluso come indicato in epigrafe.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Preliminarmente deve essere evidenziata la manifesta infondatezza della dedotta inammissibilità del ricorso originario, ex art. 369, comma 2, n. 4, c.p.c., per non aver l'A.E. ricorrente depositato i contratti del 22 dicembre 1995 e del 19 febbraio 1996, in esecuzione dei quali sarebbero state effettuate le prestazioni oggetto di fatturazione da J. Italia s.p.a. a U. LTD. Quelli di cui al citato n. 4 dell'art. 369 c.p.c., difatti, differentemente da quanto sembrerebbe voler sostenere il controricorrente, sono i contratti (o accordi) collettivi, peraltro di diritto comune e non pubblico (si vedano al riguardo, ex plurimis: Cass. sez. 4, 30/0372018, n. 7981, Rv. 648192-01; Cass. Sez. U., 04/11/2009, n. 23329, Rv. 610382-01).

2. Parimenti in via preliminare, deve trattarsi la questione inerente l'efficacia espansiva del giudicato esterno (dedotta dal ricorrente con la memoria) costituito dalla (prodotta) sentenza n. 581/2000 emessa, tra le spesse parti, dalla CTP di Roma il 24 novembre 2000 e passata in giudicato il 9 gennaio 2002 (in quanto non impugnata). 2.1. La questione in oggetto è inammissibile in quanto dedotta per la prima volta con le memorie depositate dal ricorrente per l'odierna udienza nonché solo genericamente paventata con il ricorso, pur inerendo sentenza passata in giudicato nel 2002, cioè antecedentemente ai giudizi di merito e comunque prima del giudizio di secondo grado (inerente l'appello avverso sentenza emessa dalla CTP nel 2009). Il giudicato esterno, la cui efficacia espansiva nel processo tributario opera nei casi in cui esso sia in grado di incidere su elementi riguardanti più periodi d'imposta, può essere difatti dedotto e provato anche per la prima volta in sede di legittimità purché formatosi dopo la conclusione del giudizio di merito o dopo il deposito del ricorso per cassazione, differentemente da quanto avvenuto nella fattispecie (ex plurimis, Cass. sez. 5, 18/10/2017, n. 24531, Rv. 645913-01, nonché, in precedenza, Cass. sez. 5, 07/05/2008, n. 11112, Rv. 603135-01). Nel caso in cui il giudicato esterno si sia invece formato nel corso del giudizio di secondo grado e la sua esistenza non sia stata eccepita, nell'ambito dello stesso, dalla parte interessata, la sentenza di appello che si sia pronunciata in difformità da tale giudicato è impugnabile con il ricorso per revocazione e non con quello per cassazione (Cass. Sez. U., 20/10/2010, n. 21493, Rv. 614451-01, e le successive conformi, tra le quali, ex plurimis, Cass. sez. 5, 04/11/2015, n. 22506, Rv. 637074-01, e Cass. sez. 5, 03/11/2018, n. 22177, Rv. 641881-01). A nulla rileva peraltro, in senso contrario e nella fattispecie concreta, la rilevabilità d'ufficio del giudicato esterno, al pari di quello interno, in sede di legittimità, necessitando comunque che esso emerga da atti prodotti nel giudizio di merito ovvero che si sia formato successivamente alla sentenza impugnata. In tal caso, infatti, la produzione del documento che lo attesta non trova ostacolo nel divieto posto dall'art. 372 c.p.c., che è limitato ai documenti formatisi nel corso del giudizio di merito, ed è, invece, operante ove la parte (come nella specie) invochi l'efficacia di giudicato di una pronuncia anteriore a quella impugnata, che non sia stata prodotta nei precedenti gradi del processo (in tal senso, di recente, Cass. sez. 2, 22/01/2018, 1534, Rv. 647079-01; si veda altresì Cass. Sez. U., 16/06/2006, n. 13916, Rv. 589695-01).

3. I motivi del ricorso principale sono inammissibili, con assorbimento del motivo unico del ricorso incidentale con il quale, ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce violazione e falsa applicazione dell' art. 12, comma 7, I. n. 212 del 2000, per avere ritenuto esclusa la sanzione della nullità dell'atto impositivo per l'ipotesi di violazione del termine dilatorio di sessanta giorni per la sua emanazione, in assenza di accertata ipotesi di particolare e motivata urgenza.

4. Con il motivo n. 1 del ricorso principale dell'A.E., ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., si deduce insufficiente e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio. Il ricorrente sostanzialmente si duole della motivazione, ritenendola addirittura apodittica (pag. 15), inerente l'accertamento in merito alla tipologia di prestazioni di cui al contratto del 1995 (intercorso tra U. LTD e J. Italia s.p.a.), annoverandole quali «servizi generici» e, così, ritenendo le relative operazioni soggette ad IVA, ex art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, ratione temporis applicabile. L'apparato motivazionale in contestazione è quello con il quale la CTR ha ritenuto che il contratto in oggetto, preso atto che U. LTD forniva pezzi di ricambio ed accessori direttamente dal Regno Unito, aveva per oggetto, nell'ambito delle relazioni con la rete dei concessionari, la gestione completa delle politiche commerciali, del marketing, dei prezzi e delle performance di distribuzione. Premesso quanto innanzi, il Giudice tributario ha difatti concluso nel senso per il quale le prestazioni contrattuali, contrariamente proprio a quanto sostenuto anche nel processo dall'A.E., avessero caratteristiche né di mediazione né di consulenza o assistenza tecnica, quindi non rientranti nella previsione di cui al comma 4 dell'art. 7 del d.P.R. 633/1972, ma di «servizi generici» ed in quanto tali rientranti nel comma 3 dello stesso articolo (nella formulazione vigente fino al 31 dicembre 2009).

4.1. Il motivo in esame è inammissibile sotto plurimi profili. Come emerge dal motivo (ed in particolare da pag. 15), il ricorrente in sostanza non prospetta un vizio motivazionale, ancorché nell'accezione di cui all'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. nella sua formulazione, applicabile ratione temporis, antecedente alle sostituzione del detto numero ad opera dell'art. 54, comma 1, lett. b), del d.l. 22 giugno 2012, n. 83 (conv., con modif., dalla legge 7 agosto 2012, n. 134). La doglianza è invece volta, inammissibilmente, a sostituire la propria interpretazione del contratto concluso tra le due società a quella alla quale è pervenuto il Giudice di merito, con motivazione logica e congrua, peraltro non sindacando la sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c. per violazione delle regole dell'ermeneutica contrattuale (ex plurimis, Cass. sez 3, n. 10/05/2018, n. 11254, Rv. 648602-01).

5. Con il motivo n. 2 del ricorso principale, ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 del d.P.R. n. 633 del 1972 e 40, comma 8, del d.l. n. 331 del 1993, entrambi nelle versioni vigenti ratione temporis. Il ricorrente sostanzialmente si duole della circostanza per la quale la CTR avrebbe escluso che le prestazioni in oggetto potessero rientrare nella previsione di cui all'art. 7, comma 4, del d.P.R. n. 633 del 1972, che contempla anche le attività di «consulenza e assistenza tecnica», ovvero «di elaborazione e fornitura di dati e simili», nonché «le prestazioni di intermediazione inerenti alle suddette prestazioni o operazioni e quelle inerenti all'obbligo di non esercitarle». Ci si duole, comunque, del fatto che il Giudice di merito non avrebbe considerato, neppure in astratto, l'applicabilità alla fattispecie dell'art. 40, comma 8, del d.l. n. 331 del 1993, con riferimento all'attività di intermediazione in favore di soggetto passivo in altro Stato membro.

5.1. Il motivo è inammissibile sotto plurimi profili. Con esso difatti non si deduce un errore interpretativo (violazione di legge) ma solo che, all'esito dell'accertamento giudiziale, per la CTR, le operazioni di cui alle fatture inerivano «servizi generici» e non le altre attività invece prospettate dal ricorrente (tra le quali la consulenza e l'intermediazione). Ancora una volta, quindi, il ricorrente intende sostituire la propria interpretazione del contratto concluso tra le due società a quella alla quale è pervenuto il giudice di merito, con motivazione logica e congrua, peraltro non sindacando la sentenza ex art. 360, comma 1, n. 3. c.p.c. per violazione delle regole dell'ermeneutica contrattuale (ex plurimis, Cass. sez 3, n. 10/05/2018, n. 11254, Rv. 648602-01). Il motivo in esame, infine, non deduce neanche un errore di sussunzione (falsa applicazione). Con esso difatti neanche si prospetta una errata sussunzione, nell'art. 7, comma 3, del d.P.R. n. 633 del 1972, in luogo del successivo n. 4 o dell'art. 40, comma 8, del d.l. n. 331 del 1993, di una fattispecie correttamente accertata in fatto ma, in sostanza, si sindaca proprio il detto accertamento, così mirando, inammissibilmente, a sostituire le proprie valutazioni di merito a quelle del Giudice tributario, peraltro congrue e logiche.

6. In conclusione, dichiarati inammissibili i motivi del ricorso principale lo stesso deve essere rigettato, con assorbimento del motivo unico del ricorso incidentale condizionato, e l'A.E. ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano, in applicazione dei parametri ratione temporis applicabili, in euro 17.000,00, oltre il 15% per spese forfettarie nonché IVA e C.P.A., dovuti per legge.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale, con assorbimento del ricorso incidentale condizionato, e condanna l'A.E. ricorrente al pagamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità, in favore del controricorrente, che si liquidano in euro 17.000,00, oltre il 15% per spese forfettarie nonché IVA e C.P.A., dovuti per legge. Così deciso in Roma, il 2 ottobre 2018.

 

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