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Il coobbligato solidale ottiene l’annullamento sulla base della sentenza che ha ritenuto violato il diritto al contraddittorio di altro coobbligato. L’atto è il medesimo e sconta la stessa sorte. Confermato l’annullamento integrale.

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Estratto: “non può dirsi che la suddetta contrarietà della pronuncia passata in giudicato, che ha annullato l'atto impositivo, costituisca, al tempo stesso, violazione di norme comunitarie a tutela delle quali è ostativa la valenza del giudicato anche nei confronti dell'obbligato solidale. Tenuto conto, quindi, dell'unicità dell'atto impugnato e della non incidenza della pronuncia passata in giudicato sul diritto comunitario, la sentenza censurata, nell'avere quindi ritenuto estendibile il giudicato anche in favore dell'obbligato solidale che non ha preso parte al precedente giudizio, non è viziata da violazione di legge”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5

Sentenza n. 19784 del 23 luglio 2019

Fatti di causa

Dalla narrazione in fatto della pronuncia del giudice di appello si evince che: l'Agenzia delle dogane aveva emesso nei confronti della società contribuente, esercente l'attività di spedizioniere internazionale, un avviso di accertamento suppletivo e di rettifica del valore dichiarato nella bolletta doganale di merce oggetto di importazione per conto della società F.; il suddetto avviso di accertamento era stato notificato sia alla contribuente, quale spedizioniere, che alla società importatrice, a titolo di responsabilità solidale; avverso il suddetto atto la contribuente aveva proposto ricorso che era stato accolto dalla Commissione tributaria provinciale di Biella; in particolare, il giudice di primo grado aveva fondato la decisione sulla circostanza che il ricorso proposto dalla società importatrice era stato accolto sia in primo che in secondo grado; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l'Agenzia delle dogane per insufficienza della motivazione. La Commissione tributaria regionale del Piemonte ha rigettato l'appello, in particolare, ha ritenuto che: la sentenza della Commissione tributaria regionale del Piemonte, che si era pronunciata in senso favorevole alla società importatrice, responsabile solidalmente con la contribuente, era passata in giudicato; la suddetta sentenza aveva valore di giudicato esterno, atteso il rapporto di solidarietà passiva esistente, relativamente all'obbligazione tributaria in esame, tra la contribuente e la società importatrice, e tenuto conto della situazione giuridica comune a entrambe le parti, preclusiva di un riesame della stessa questione già accertata e risolta in altro giudizio. Avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso l'Agenzia delle dogane affidato a due motivi di censura, cui ha resistito la contribuente con controricorso e ricorso incidentale condizionato. La contribuente ha, altresì, depositato memoria.

Ragioni della decisione

1. Con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione degli artt. 2909 e 1306 cod. civ., in relazione al principio di primazia e di effettività del diritto comunitario, nonché per falsa applicazione degli artt. 1298, 1299 e 1301, cod. civ. In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha erroneamente attribuito valenza di giudicato esterno alla sentenza, passata in giudicato, resa nei confronti della coobbligata solidale, posto che tale estensione si porrebbe in contrasto con il diritto comunitario, tenuto conto che tali effetti comporterebbero l'annullamento della pretesa impositiva nella materia dei dazi doganali sulla base del giudicato esterno che ha, erroneamente, ritenuto che in sede di procedimento amministrativo finalizzato all'emanazione dell'atto impugnato non era stato rispettato il principio del contraddittorio preventivo.

1.1. Il motivo è infondato. Costituisce circostanza centrale, ai fini della definizione della presente controversia, il fatto che la contribuente ha impugnato, con il ricorso proposto in primo grado, l'avviso di accertamento suppletivo e di rettifica notificato alla società importatrice (F.) ed alla medesima, in qualità di spedizioniere, quale responsabile solidale, e che il suddetto avviso di accertamento è stato annullato dai giudici di merito con sentenza passata in giudicato. Si tratta, quindi, di valutare se e in che misura il passaggio in giudicato della sentenza che ha annullato il medesimo avviso di accertamento nel giudizio di impugnazione proposto dalla società importatrice possa essere fatto valere anche dalla contribuente, quale responsabile solidale, nel diverso e separato giudizio dalla stessa proposto. Va quindi considerato, in generale, che, sensi dell'art. 1306, comma secondo, cod. civ., in materia di obbligazione solidale, la sentenza favorevole resa nei confronti di un condebitore solidale può essere opposta dagli altri debitori solidali, salvo che questa sia fondata su ragioni personali del condebitore. Nella specifica materia tributaria, questa Corte (Cass. civ., 9 febbraio 2018, n. 3204) ha ritenuto applicabile l'art. 1306 c.c. anche a favore del coobbligato che non ha impugnato l'accertamento, facendo prevalere l'effetto del giudicato (riguardante un condebitore) sull'avviso di accertamento divenuto definitivo con il solo limite che il giudicato non può esser fatto valere dal coobbligato nei cui confronti si sia direttamente formato un giudicato.

Si è precisato, in particolare, che la facoltà del singolo condebitore, che non abbia impugnato l'avviso di accertamento di maggior valore, di opporre all'Amministrazione finanziaria, in sede di ricorso contro l'avviso di liquidazione, il giudicato favorevole intervenuto a favore di altro coobbligato, sussiste anche se il giudicato sopravvenga nelle more del processo contro l'avviso di liquidazione, "vertendosi in materia di condizione del diritto fatto valere in giudizio, da riscontrarsi con riferimento all'epoca della decisione" (Cass. civ., n. 22885/2005; Cass. civ. n. 14696/2008; Cass. civ., n. 14814/2011; Cass. civ., n. 9577/2013; Cass. civ., n. 7255/1994). Va precisato, inoltre, che, ove i ricorsi dei condebitori in solido hanno per oggetto un identico atto impositivo, l'annullamento, anche parziale, di un atto, ovvero la espulsione dal mondo del diritto del medesimo, non può che valere erga omnes, sicchè ciò implica che se un condebitore impugna, ed un altro condebitore non impugna ovvero propone autonomamente ricorso, l'annullamento ottenuto dal condebitore impugnante è annullamento dell'unico atto impositivo ed esso esplica i suoi effetti verso tutti i condebitori cui sia stato notificato, per cui dell'annullamento potrà giovarsi anche il condebitore rimasto processualmente inerte ovvero, ove si sia attivato, anche nel giudizio instaurato per opporsi alla pretesa di pagamento, facendo valere il giudicato esterno. Come detto, il limite alla estendibilità del giudicato esterno alla controversia instaurata dal condebitore solidale può trovare fondamento unicamente nel caso in cui la pronuncia non ha deciso su questioni personali del condebitore nei cui confronti la stessa è stata resa, in quanto la natura strettamente personale della pronuncia interrompe la valutazione della unitarietà della pretesa. Nella fattispecie, la censura in esame non risulta avere coltivato tale questione e, d'altro lato, non può non rilevarsi dalla pronuncia censurata che l'atto impositivo era stato notificato ad entrambi gli obbligati solidali. Tale profilo assume particolare rilievo, in quanto, l'accertata violazione del contraddittorio endoprocedimentale da parte della sentenza il cui valore di giudicato esterno è stato fatto valere, si traduce in un vizio procedimentale di adozione del medesimo atto, sicchè non può ragionarsi in termini di definizione di una questione personale di una dei condebitori, ma della regolarità della procedura di adozione del medesimo atto, profili che, quindi, attengono alla legittimità dello stesso.

1.2. Ciò precisato, le considerazioni sopra espresse vanno quindi esaminate alla luce della giurisprudenza unionale in materia di limiti di applicabilità del giudicato quando la pretesa impositiva ha ad oggetto, quale quella in esame, tributi "armonizzati", cioè sottoposti alla specifica disciplina unionale e quindi all'esigenza prioritaria della tutela delle risorse proprie dell'Unione. La pronuncia della Corte di giustizia del 17 febbraio 2011 (causa C78/2010, Berel e altri), citata dalla ricorrente, non risulta avere definito la questione in esame, avendo unicamente espresso la considerazione che una decisione di sgravio di dazi fondata su tale disposizione, come quella di cui trattasi nella causa principale, può essere invocata soltanto a beneficio dell'unico autore della domanda di sgravio, essendo tale conclusione confortata dal principio secondo il quale il rimborso o lo sgravio dei dazi all'importazione o dei dazi all'esportazione, i quali possono essere concessi soltanto a determinate condizioni ed in casi specificamente previsti, costituiscono un'eccezione rispetto al normale regime delle importazioni ed esportazioni e, di conseguenza, le disposizioni che prevedono siffatto rimborso o sgravio devono essere interpretate restrittivamente. Si trattava, quindi, di valutare se e in che termini il riconoscimento della domanda di rimborso in favore di un condebitore possa avere valenza anche per gli altri condebitori e la Corte di giustizia ha limitato l'estensione in considerazione della eccezionalità del regime. La vicenda in esame, in realtà, contiene profili differenti da quella esaminata dalla Corte di giustizia, in quanto qui viene in considerazione, come detto, il differente profilo dei limiti di applicabilità dei principi di cui all'art. 1306, cod. civ., in favore del condebitore solidale quando la pretesa ha ad oggetto imposte di interesse unionale. Invero, la questione va esaminata alla luce della normativa comunitaria e della giurisprudenza della Corte in materia di tributi unionali, in particolare della sentenza 21 febbraio 2006, causa C-255/02, Halifax e a. (Racc. pag. 1-1609), nonché alla sentenza 18 luglio 2007, causa C-119/05, Lucchini (Racc. pag. 1-6199) in cui la Corte ha affermato che il diritto comunitario osta all'applicazione di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile, volta a sancire il principio dell'autorità di cosa giudicata, nei limiti in cui l'applicazione di tale disposizione impedisce il recupero di un aiuto di Stato erogato in contrasto con il diritto comunitario, nonché delle pronunce che hanno relativizzato il valore del giudicato nazionale, esigendo di non tener conto di tale giudicato al fine di rispettare il primato delle disposizioni del diritto comunitario ed evitare un conflitto con le medesime (corte di giustizia, 1 giugno 1999, causa C-126/97, Eco Swiss (Racc. pag. 1-3055); 28 giugno 2001, causa C-118/00, Larsy (Racc. pag. 1-5063); 7 gennaio 2004, causa C-201/02, Wells (Racc. pag. 1-723), nonché 13 gennaio 2004, causa C-453/00, KOhne & Heitz (Racc. pag. 1-837). Più in particolare, la Corte di giustizia, con la pronuncia 3 settembre 2009 (causa C.2/08), tenuto conto dei precedenti sopra indicati, ha dato specifiche indicazioni interpretative relativamente alla questione in esame, in particolare dei limiti del giudicato esterno quando è in considerazione un tributo di interesse unionale.

La stessa, in primo luogo, ha confermato il valore che il principio dell'autorità di cosa giudicata riveste sia nell'ordinamento giuridico comunitario che negli ordinamenti giuridici nazionali, precisando che «al fine di garantire sia la stabilità del diritto e dei rapporti giuridici, sia una buona amministrazione della giustizia, è importante che le decisioni giurisdizionali divenute definitive dopo l'esaurimento delle vie di ricorso disponibili o dopo la scadenza dei termini previsti per questi ricorsi non possano più essere rimesse in discussione» (sentenza 30 settembre 2003, causa C-224/01, Keibler, Racc. pag. 1-10239, punto 38, e 16 marzo 2006, causa C-234/04, Kapferer, Racc. pag. 1-2585, punto 20)». Ha quindi fatto conseguire che «il diritto comunitario non impone ad un giudice nazionale di disapplicare le norme processuali interne che attribuiscono autorità di cosa giudicata ad una decisione, anche quando ciò permetterebbe di porre rimedio ad una violazione del diritto comunitario da parte di tale decisione (v. sentenza Kapferer, cit., punto 21p. La Corte di giustizia, inoltre, ha preso in considerazione il profilo del bilanciamento del principio della certezza del diritto, derivante dalla applicazione delle norme interne in materia di giudicato, con quello della esigenza della tutela del diritto comunitario. A tal proposito, ha precisato che una interpretazione dell'art. 2909 cod. civ., che consenta di ritenere comunque prevalente l'autorità della cosa giudicata rispetto all'esigenza di tutelare la corretta applicazione del diritto comunitario, non è corretta, in quanto ostacoli di tale portata all'applicazione effettiva delle norme comunitarie in materia di tributi unionali non possono essere ragionevolmente giustificati dal principio della certezza del diritto e devono essere dunque considerati in contrasto con il principio di effettività. Ha quindi concluso, risolvendo la questione proposta, nel senso che il diritto comunitario osta all'applicazione, in circostanze come quelle della causa principale, di una disposizione del diritto nazionale, come l'art. 2909 del codice civile, in una causa vedente sull'IVA concernente un'annualità fiscale per la quale non si è ancora avuta una decisione giurisdizionale definitiva, in quanto essa impedirebbe al giudice nazionale investito di tale causa di prendere in considerazione le norme comunitarie in materia di pratiche abusive legate a detta imposta. Preme quindi evidenziare che la pronuncia della Corte di giustizia in esame ha, da un lato, ribadito la funzione centrale del principio di certezza del diritto rappresentato dal giudicato; dall'altro, consentito la limitazione del principio in esame solo laddove via sia il pericolo che, nell'esaminare una successiva questione, si possa non applicare il diritto comunitario e, sotto tale profilo, ha ribadito che, in questo caso, il giudicato non può impedire al giudice nazionale di applicare le norme comunitarie, in particolare quelle in materia di pratiche abusive. Va quindi verificato se e in che misura i suddetti interventi della Corte di giustizia possano condurre a ritenere che, nella fattispecie, l'applicazione del giudicato reso nei confronti del debitore solidale comporterebbe una violazione del diritto comunitario. In primo luogo, va osservato che l'atto oggetto di impugnazione era unitario ed era stato emesso nei confronti dei soggetti obbligati in via solidale. Non si tratta, quindi, di valutare se, rispetto alla pronuncia di illegittimità di un atto impositivo, possa essere esteso il giudicato in relazione a diverso atto in ordine al quale va, autonomamente compiuta la valutazione di legittimità: la pronuncia dei giudici di merito, invero, ha comportato la rimozione del medesimo atto oggetto di successiva impugnazione da parte del coobligato solidale rimasto estraneo al precedente giudizio, sicchè, una eventuale non applicazione del giudicato comporterebbe che, relativamente alla medesima pretesa, la pronuncia di annullamento del giudice di merito non potrebbe essere estesa a chi, coobligato solidale, ha impugnato separatamente lo stesso atto.

D'altro lato, la particolare esigenza di tutela delle norme del diritto comunitario, espressa dalla pronuncia della Corte di giustizia trova una sua ragione giustificativa nella finalità di evitare che, relativamente ad altro diverso atto impositivo, non si vengano ad applicare le norme del diritto comunitario che la pronuncia passata in giudicato non aveva correttamente applicato, come nel caso posto all'attenzione della Corte di giustizia, ove era stata rappresentata la necessità di tutelare l'applicazione delle norme comunitarie in materia di pratiche abusive. Ciò assume particolare rilievo nella controversia in esame, in quanto la pronuncia, passata in giudicato, resa nei confronti dell'obbligato solidale, si era fondata sul ritenuto mancato rispetto del principio del contraddittorio preventivo. Tuttavia, va evidenziato che, in questa prospettiva, non si pone una questione di violazione delle norme comunitarie la cui esigenza di tutela ha consentito alla Corte di giustizia di affermare il principio della portata recessiva del giudicato nazionale rispetto alla necessità di tutelare la normativa dell'unione. La ritenuta violazione, invero, delle regole del contraddittorio preventivo da parte del giudice che ha pronunciato la nullità della pretesa fatta valere nei confronti del coobbligato solidale che prima ha impugnato l'atto, costituisce, in realtà, una non corretta applicazione delle norme interne, in quanto non tiene conto del fatto che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, è inapplicabilità alla materia doganale la L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7, in quanto il sistema del T.U. n. 43 del 1973, cui rinviava il D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, realizzava, attraverso il procedimento contenzioso amministrativo, una forma anticipata di contraddittorio. Ma, appunto, non può dirsi che la suddetta contrarietà della pronuncia passata in giudicato, che ha annullato l'atto impositivo, costituisca, al tempo stesso, violazione di norme comunitarie a tutela delle quali è ostativa la valenza del giudicato anche nei confronti dell'obbligato solidale. Tenuto conto, quindi, dell'unicità dell'atto impugnato e della non incidenza della pronuncia passata in giudicato sul diritto comunitario, la sentenza censurata, nell'avere quindi ritenuto estendibile il giudicato anche in favore dell'obbligato solidale che non ha preso parte al precedente giudizio, non è viziata da violazione di legge.

2. Con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per falsa applicazione dell'art. 12, comma 7, della legge 27 luglio 2000, n. 212, in particolare del principio comunitario di contraddittorio nel procedimento amministrazione doganale, nonché per violazione dell'art. 11, commi 4, 5 e 7 del decreto legislativo 8 novembre 1990, n. 374. Il motivo è assorbito dalle considerazioni espresse in sede di esame del primo motivo di ricorso. Atteso il rigetto del ricorso, va altresì dichiarato assorbito il ricorso incidentale condizionato proposto dalla controricorrente. In conclusione, va dichiarato infondato il primo motivo di ricorso, assorbito il secondo nonché il ricorso incidentale condizionato, con conseguente rigetto del ricorso e condanna della ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite.

P.Q.M.

La Corte: rigetta il ricorso principale, assorbito il ricorso incidentale condizionato, e condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente delle spese di lite che si liquidano in complessive euro 3.000,00, oltre spese forfettarie nella misura del quindici per cento ed accessori. Così deciso in Roma, addì 22 gennaio 2019.

 

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