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Argomentazione Processuale, Persuasione, Influenza. Interviste a chi la “persuasione” la insegna. Intervista a Gian Luca Rosso. Featured

Scritto da Avv. Federico Pau
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All’interno della rubrica dedicata all’argomentazione processuale ed alla persuasione in generale prosegue il ciclo di interviste a studiosi della persuasione e della argomentazione, da chi la insegna nelle aule universitarie, a chi si prefigge di insegnarla a politici, imprenditori e top managers, e chi ne ha scritto best sellers. Oggi parliamo con Gian Luca Rosso.

Rubricata a cura dell’avv. Federico Pau. 

Per l’appuntamento odierno, ho intervistato Gian Luca Rosso, medico, ricercatore indipendente, autore di numerosi studi scientifici e saggi di impianto scientifico rivolti al grande pubblico, recentemente pubblicati nella collana “Le mie soft skills”.

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Prima di esaminare nel concreto il testo del contributo, se è la tua prima volta qui, ecco

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Gian Luca Rosso: autore di numerosi libri specificamente dedicati alla comunicazione persuasiva ed alla negoziazione, tra cui “Persuadere e resistere alle manipolazioni”, “Comunicare in modo efficace” e “Negoziare con successo”, ricercatore indipendente, medico.

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Ci racconti di Lei, dove opera, come si è formato e cosa l’ha portata a studiare temi legati alla comunicazione ed alla persuasione.  

Da anni alterno la mia attività di clinico a quella di ricercatore scientifico. Ho conseguito un dottorato di ricerca in psicologia, neuroscienze e statistica medica, al termine del quale ho approfondito la tematica delle cosiddette “soft skills”, ovvero le competenze trasversali che sono indispensabili per il successo sul lavoro ma anche nella vita. Sicuramente la comunicazione efficace così come le abilità persuasive rientrano nelle abilità trasversali che permettono di trasformare un gesto automatico in un atto consapevole e capace di colpire nel segno. Per questo motivo “Comunicare in modo efficace” e “Persuadere e resistere alle manipolazioni” sono due dei miei recenti libri che fanno parte della collana “Le mie soft skills”.

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Se dovesse formare una persona, di modo tale da renderla più persuasiva, ma potesse trasmettere unicamente due concetti, tecniche o principi, ed avesse un tempo “contenuto” a disposizione, quali sceglierebbe e come strutturerebbe l’attività formativa? 

La comunicazione nella maggior parte dei casi non si limita alla trasmissione di un messaggio. In gioco, oltre alla possibilità di convincere qualcuno a fare qualcosa, vi è anche l’immagine e a volte la reputazione di chi comunica. Qualunque tentativo di contatto con il destinatario, infatti, presuppone il mettere in gioco se stessi e ricevere in molti casi anche un giudizio su quanto siamo stati convincenti nel sostenere il nostro punto di vista, o le nostre motivazioni. Giudizio non sempre esplicito e consapevole.

Dunque, quando indico a una persona come fare per aumentare il suo potere persuasivo, consiglio sempre di puntare sull’empatia. Perché l’empatia, intesa non solo come capacità di coinvolgere emotivamente ma anche di porsi nello stato d’animo altrui, riveste un ruolo chiave in buona parte delle comunicazioni persuasive. Chi parla può sentire e guidare un’emozione già presente nel pubblico, oppure tentare di farla nascere attraverso un messaggio.

Nel primo caso dovrà raccogliere il sentimento degli ascoltatori, comprenderlo e interiorizzarlo, per poi dimostrare di condividerlo. Ed è un fatto che l’oratore abile a sintonizzarsi sulle emozioni altrui ottiene consenso, ma ciò non deve essere tradotto in un invito a… “parlare alla pancia” della platea.

Come sappiamo, far leva sulle emozioni di chi ascolta, che si tratti di rabbia, paura, orgoglio o altro, ha portato al successo molte personalità in più fasi della storia. Sempre però a caro prezzo. Perché aizzare una folla significa generare contrasto trasmettendo il seguente messaggio: io sono con voi, e insieme noi siamo contro qualcuno o qualcosa. Questo metodo può essere effettivo nell’ottenere consenso ma presuppone la capacità di gestire le conseguenze.

Pertanto, se la gente a cui ci rivolgiamo è arrabbiata, non è conveniente gridare ancor più forte e trovare un capro espiatorio su cui riversare l’invettiva generale. Al contrario, sarebbe importante dimostrare una sincera comprensione del disagio altrui, trasmettere la sensazione di essere dalla parte delle persone che ci ascoltano, e canalizzare la rabbia verso un obiettivo realistico.

Più difficile, ma sicuramente più efficace, è il secondo caso a cui mi riferivo: quello nel quale è l’oratore a far nascere un’emozione nel suo pubblico, manipolandone la risposta empatica.

Generalmente quando si parla di manipolazione si pensa a qualcosa di subdolo e ingannevole, ciò nonostante in un contesto comunicativo la manipolazione empatica può essere utile a ottenere consenso e gradimento, pur restando assolutamente etica.

Mi permetta di illustrare tale concetto raccontando brevemente una ricerca condotta alcuni anni orsono presso l’Università del Kansas. I ricercatori arruolarono parte degli studenti iscritti al corso di psicologia e fecero ascoltare loro la testimonianza di:

1) una donna HIV positiva,

2) un senzatetto;

3) un assassino reo confesso.

Nel primo caso, una ragazza affetta da AIDS raccontava la propria esperienza attraverso una serie di considerazioni comuni negli anni Novanta, l’epoca in cui venne condotto lo studio.

«Beh, come potete immaginare, è piuttosto terrificante. Voglio dire, ogni volta che ho la tosse o mi sento acciaccata, mi chiedo, sarà la malattia? È forse questo l’inizio - sai - del precipizio? A volte mi sento discretamente bene, ma in fondo alla mente c’è sempre lo stesso pensiero. In un giorno qualunque tutto potrebbe precipitare. (Pausa). E sono consapevole che... almeno al momento... non c’è via di fuga. So che stanno cercando di trovare una cura, come so che tutti muoiono. Tutto sembra così ingiusto. Così orribile. Come un incubo. (Pausa). Voglio dire, avevo appena iniziato ad assaporare la vita, e ora invece, sto morendo. (Pausa). Può davvero distruggerti».

A una parte degli studenti fu detto di pronunciarsi sulla testimonianza che avevano ascoltato assumendo una posizione il più possibile obiettiva (condizione di scarsa empatia), alla restante fu chiesto di immedesimarsi nel protagonista del dramma e cercare di immaginare il suo stato d’animo (condizione di forte empatia).

Ebbene, la richiesta di calarsi nei panni del narratore si rivelò in grado di aumentare l’intensità di sentimenti quali simpatia, compassione e tenerezza non solo nei confronti del caso specifico, ma anche dell’intera categoria che rappresentava (rispettivamente, le donne affette da HIV, i mendicanti e i criminali).

La manipolazione empatica determinò l’aumento dei punteggi, in alcuni casi anche superiore al 20%, nei questionari mirati a valutare i sentimenti del pubblico. Un risultato davvero straordinario.

Ma allora come possiamo riuscire a coinvolgere emotivamente i nostri ascoltatori?

Durante le mie ricerche su questo tema mi sono perso, quasi incantato, nell’ascoltare molte delle conferenze TED (Technology Entertainment Design). In tali eventi, relatori provenienti dalle più disparate comunità e discipline intrattengono un pubblico per meno di una ventina di minuti parlando dell’argomento di cui più sono esperti. Uomini di successo, scienziati, personalità pubbliche, premi Nobel, attivisti e quant’altro si susseguono sul palco in ripetuti esempi di quella che è la comunicazione persuasiva.

La maggior parte di loro concentra le migliori energie sull’inizio del discorso: rompe il ghiaccio catturando l’attenzione dei presenti per sintonizzarli sul concetto che desiderano presentare, e sulle relative emozioni. Tipicamente esordiscono in uno dei seguenti modi:

1) con una domanda coinvolgente o provocatoria,

2) con un dato interessante, una frase d’effetto, una confessione o una denuncia choc,

3) attraverso una storia o un aneddoto particolarmente significativi.

Non è solamente un’apertura incisiva ciò che porta a un discorso strepitoso: è l’idea che si genera nella platea e che viene alimentata dalla narrazione dell’oratore, idea tanto più forte quanto più viene associata a un’emozione.

Oltre a puntare sempre su una risposta empatica suggerisco di comunicare con chiarezza.

«Chi conosce in profondità si sforza d’essere chiaro; chi vorrebbe sembrare profondo alla moltitudine, si sforza d’essere oscuro» (Friedrich Nietzsche). Il ricorso a una comunicazione macchinosa nasconde il tentativo, non sempre consapevole, di apparire competenti nonché, in molti casi, la speranza di evitare spiegazioni e giudizi.

«Parla come mangi!» si suol dire. E in questo caso la saggezza popolare è in completo accordo con la teoria del processing fluency, secondo la quale le cose più semplici da capire sono anche più facili da elaborare per la nostra mente. Di conseguenza, un messaggio facilmente comprensibile raccoglierà sempre un più ampio consenso. Numerose ricerche hanno dimostrato come un linguaggio chiaro e semplice venga istintivamente giudicato come veritiero, piacevole e proveniente da una fonte intelligente.

Chi ci ascolta desidera ricevere un messaggio non solo comprensibile, ma anche facile da elaborare, perché le nostre conversazioni spesso costruiscono idee, pensieri e immagini nella mente di chi ascolta. Più questo processo risulta difficile, maggiore sarà la probabilità che le nostre parole generino insofferenza.

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Se dovesse consigliare 3 libri, oltre i suoi, a chi aspira a diventare più persuasivo, quali consiglierebbe? 

Robert Cialdini “Le armi della persuasione (è il primo saggio divulgativo scritto sull’argomento e l’autore è diventato, a pieno titolo, il maestro indiscusso delle scienze della persuasione);

Tali Sharot “La scienza della persuasione: Il nostro potere di cambiare gli altri (interessante e attuale, prosegue il discorso avviato con la prima lettura);

David Kahneman “Pensieri lenti e veloci (indispensabile per capire quanto sia fallace il nostro modo di riflettere se non riusciamo a sviluppare i pensieri lenti).

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Se dovesse consigliare dei corsi, oltre i suoi, a chi aspira a diventare più persuasivo, quali consiglierebbe? 

Personalmente resto profondamente legato al mondo accademico, pertanto non consiglierei un corso specifico quanto piuttosto un master universitario dedicato all’argomento in questione. Ce ne sono molti, in diverse università italiane ed estere, di ottima qualità.

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Se qualcuno dei lettori fosse interessato a sapere qualcosa in più su di lei e sui suoi corsi, che parole dovrebbe digitare su google per contattarla? 

Ho creato un sito in cui condivido le mie esperienze in tema di soft skills: denominato “le mie soft skills” (ndr è il primo risultato della ricerca cercando su google le parole “le mie soft skills”), lì posso essere contattato facilmente. Consiglio però di digitare il mio nome su Amazon, perché di tanto in tanto lancio delle interessanti promozioni sui miei libri (dal 2 al 6 maggio ad esempio ho rilasciato gratuitamente il mio libro “Gestire lo stress. Dalla ricerca scientifica tutti i segreti per vivere lo stress quotidiano nel migliore dei modi.”).

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La ringrazio per la partecipazione a questa intervista, facendo presente a chi ci legge che può contattarla direttamente per avere informazioni sulle sue attività.

È stato un vero piacere

 

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