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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 11429 del 30 aprile 2019
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale per il Friuli-Venezia Giulia in Trieste, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha annullato gli avvisi di accertamento n. XXX 2006 (relativo a Irpef 2003), n. XXX 2006 (relativo a Irpef 2004), n. R53030100311 2006 (relativo a Irpef 2003), n. XXX 2006 (relativo a Irpef 2004) nonché gli atti di contestazione n. XXX (relativo a Iva e Irap 2003) e n. XXX (relativo a Iva e Irap 2004) accogliendo il ricorso proposto da P. s.r.l.
2. Ha rilevato il giudice di appello che tra Italia e BosniaErzegovina si applica la Convezione contro le doppie imposizioni stipulata in data 24 febbraio 1982 tra Italia ed (ex) Jugoslavia e che, alla luce del relativo contenuto, nella specie non poteva ritenersi provato il requisito della sussistenza di stabile organizzazione in Italia dell'impresa straniera, atteso che: a) l'immobile in S. non era riferibile alla società, ma a tal sig. G.; b) le presunzioni di stabile organizzazione personale non erano univoche, atteso che solo uno dei contratti allegati al p.v.c. era stato concluso in Italia; c) l'attività di assemblaggio di parti di imbarcazioni espletata in Italia era svolta dalla società estera negli stabilimenti di F. s.p.a., autonomo soggetto contribuente.
3. Per la cassazione della citata sentenza l'Agenzia delle Entrate ricorre con sette motivi, laddove l'intimata P. s.r.l. non ha svolto difese.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta: a. Primo motivo: «Violazione e falsa applicazione art. 5 Convenzione Italia-Jugoslavia del 24.2.82 ratificata con I. 974/84 e art. 17 DPR 633/72 in relazione all'art. 360 n. 3 cpc» deducendo l'erroneità della sentenza per aver erroneamente affermato che, ai sensi della Convenzione, per qualificare una stabile organizzazione sia necessario che lo spazio utilizzato per l'attività impresa sia detenuto da essa in base a un titolo giuridicamente valido, nonché dotato di un minimo di attrezzature e di un ordinato archivio. b. Secondo motivo: «Motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 cpc» deducendo che la motivazione avrebbe omesso di indicare quali siano le attrezzature necessarie per compiere atti di gestione, né perché l'assenza di telefono e fax sia stata considerata sufficiente al fine di escluderli. c. Terzo motivo: «Violazione e falsa applicazione art. 5 Convenzione Italia-Jugoslavia del 24.2.82 ratificata con I. 974/84, 17 DPR 633/72, art. 1655 c.c. in combinato disposto in relazione all'art. 360 n. 3 cpc» deducendo l'erroneità della sentenza per aver affermato che la circostanza che l'attività di impresa venisse svolta in locali di altra società italiana escludeva il requisito della stabile organizzazione, in presenza di prova di contratti di appalto autonomamente stipulati dalla società estera. d. Quarto motivo: «Violazione e falsa applicazione art. 5 Convenzione Italia-Jugoslavia del 24.2.82 ratificata con I. 974/84, art. 17 DPR 633/72 e 162 DPR 917/86 in combinato disposto in relazione all'art. 360 n. 3 cpc» deducendo l'erroneità della sentenza per aver escluso che i contratti sottoscritti fossero stati stipulati in Italia. e. Quinto motivo: «Motivazione omessa od insufficiente su fatto decisivo della controversia in relazione all'art. 360 n. 5 cpc» deducendo che la motivazione avrebbe erroneamente attribuito carattere ausiliario alla stipula da parte del sig. G. in Italia di contratti di conto corrente bancario e di contratti di locazione per le maestranze della società estera. f. Sesto motivo: «Violazione e falsa applicazione art. 5 Convenzione Italia-Jugoslavia del 24.2.82 ratificata con I. 974/84 (in seguito, breviter, "la Convenzione") e 17 DPR 633/72 in relazione all'art. 360 n. 3 cpc» deducendo l'erroneità della sentenza per aver erroneamente escluso che la stipula di contratti all'estero da parte del procuratore generale di una società sia rilevante ai fini della stabile organizzazione in Italia laddove vengano eseguiti in Italia; 9. Settimo motivo: «Violazione e falsa applicazione art. 2727, 2729 c.c., in relazione all'art. 360 n. 3 cpc» deducendo l'erroneità della sentenza per aver erroneamente applicato il giudizio valutativo sulle prove presuntive acquisite in atti, con particolare riferimento alla rilevanza dei contratti stipulati all'estero, ma da eseguirsi in Italia.
2. Il ricorso va respinto. 3. Va preliminarmente osservato, come del resto riconosce la stessa difesa erariale che, nonostante la Convenzione non si applichi all'IVA, i suoi effetti, in quanto collegati alle imposte dirette oggetto di comune accertamento, sono estensibili anche all'imposta indiretta (Cass. n. 17206 del 2006; id. n. 3889 del 2008).
4. In relazione alle singole censure, va preliminarmente rilevato che questa stessa Sezione, pronunciandosi con la sentenza n. 28059 del 24/11/2017 in una fattispecie oggettivamente identica a quella in esame, ha affermato che «ai fini dell'imponibilità del reddito d'impresa del soggetto non residente, accertato ai sensi dell'art. 5 del modello di convenzione OCSE e dell'art. 7 della Convenzione stipulata tra Italia e Repubblica Iugoslava, ratificata con legge n. 974 del 1984, contro la doppia imposizione, è necessaria una presenza del soggetto non residente che sia incardinata nel territorio dell'altro Stato contraente dotata di una certa stabilità in quanto caratterizzata da una "stabile organizzazione", i cui elementi costitutivi sono quello materiale ed oggettivo della "sede fissa di affari" e quello dinamico dell'esercizio in tutto o in parte della sua attività. La verifica in concreto della ricorrenza dei detti elementi deve essere effettuata dal giudice di merito, alla luce di quelli ulteriori caratterizzanti la fattispecie, con giudizio di fatto incensurabile in cassazione, ove sorretto da motivazione immune da vizi logici e giuridici, anche nel caso di c.d. "cantiere di costruzione o di montaggio", la cui durata superi i dodici mesi, in quanto contemplato dal citato art. 5 quale esemplificativamente ricompreso nell'espressione "stabile organizzazione" ma non eccentrico rispetto ad essa.». La decisione, nel riferirsi alla "stabile organizzazione", identifica i relativi elementi costitutivi in un aspetto oggettivo, costituito dalla "sede fissa di affari" e in un aspetto dinamico, costituito dall'esercizio in tutto o in parte dell'attività. La verifica in concreto della ricorrenza dei detti elementi deve essere effettuata dal giudice di merito, alla luce di quelli ulteriori caratterizzanti la fattispecie, con giudizio di fatto incensurabile in Cassazione, se congruamente motivato. Di recente Cass. n. 32261/18 afferma che i contratti (di appalto/sub appalto) stipulati, eseguiti e pagati (ma non tassati) per continuità, quantità e qualità sono indice di un consolidato modulo organizzativo, atteso che sarebbe la stessa quantità e qualità di contratti ad indicare la presenza personale, continuativa e reale; Cass. n. 12240/18 esclude che la sussistenza in Italia di una sede di direzione di un consorzio costituisca circostanza idonea ad integrare il presupposto della stabile organizzazione.
5. In sostanza tutte le decisioni della Corte si attestano, in concreto, sul giudizio di fatto, incensurabile in Cassazione se, come nella specie è avvenuto, esso si palesi congruamente motivato con il richiamo degli indicatori fattuali utilizzati per escludere la sussistenza della stabile organizzazione, presupposto dell'applicazione dell'imposta.
6. Tali considerazioni determinano: a. Il rigetto del primo motivo di ricorso: la violazione di legge, per la parte relativa all'Irpef e all'Irap, non sussiste, giacché dalle considerazioni sopra svolte risulta che la normativa applicata sia corretta; b. il rigetto del secondo motivo poiché la CTR, a pagina 4 della sentenza, fornisce una motivazione sulle ragioni che l'hanno indotta a negare che le prove offerte fossero sufficienti a qualificare la stabile organizzazione, facendo riferimento alla non riferibilità dell'immobile in S. alla società e all'inesistenza all'interno di esso degli strumenti minimi per l'esercizio di attività di impresa (telefono e fax). La motivazione è in sé scevra da incongruenze o aporie che ne minimo l'intellegibilità; è invece il motivo di ricorso che, formalmente lamentando l'insufficienza della motivazione, pretende da questa Corte un'inammissibile riedizione della valutazione dei fatti; c. l'inammissibilità terzo e il quarto motivo, che per la loro connessione possono essere congiuntamente esaminati, atteso che, con riferimento alla riferibilità alla società della stipula dei contratti di appalto, contiene critiche alla motivazione della sentenza impugnata e non alla fattispecie astrattamente ritenuta applicabile, ma omette di impugnare la stessa ai sensi dell'art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ. d. l'inammissibilità del quinto, sesto e settimo motivo di ricorso poiché essi hanno per oggetto affermazioni non già effettuate dalla sentenza di secondo grado, bensì da quella di primo grado. Invero, contrariamente a quanto affermato a pagina 29 del ricorso, la CTR non ha affatto affermato in sentenza di ritenere pacifiche le circostanze di fatto accertate dalla sentenza della CTP, segnatamente riguardanti la natura di amministratore di fatto del Sig. G., (in relazione alla apertura di conti correnti bancari e di locazione di immobili, di stipula di contratti di appalto da eseguire in Italia). Di tali allegazioni la sentenza impugnata non tratta affatto, limitandosi a pagina 4 ad affermare che la presunzione su cui si fondava l'accertamento della stabile organizzazione personale in Italia non fosse affatto univoca, in quanto insufficiente a provare l'abitualità e, per altra parte, avente carattere ausiliario. In tale contesto le censure in esame, in ossequio ai canoni di completezza previsti dagli artt. 366, primo comma, n. 6 e 369, secondo comma, n. 4 cod. proc. civ., avrebbero dovuto specificare quando e dove nell'atto di appello la ricorrente abbia sollevato le relative questioni e, poi, lamentare semmai una nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cod. proc. civ. Al contrario tutte e tre le censure danno per scontato che la sentenza impugnata abbia motivato sulle questioni partitamente dedotte, il ché non è e determina l'inammissibilità delle censure in relazione al paradigma dell'art. 360 cod. proc. civ. e. Non si fa luogo alla statuizione sulle spese, stante la mancata costituzione dell'intimata.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo 2019.
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