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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 11433 del 30 aprile 2019
FATTI DI CAUSA
1. La Commissione tributaria regionale per il Molise in Campobasso, in riforma della sentenza di primo grado, ha respinto il ricorso originariamente proposto dalla F. s.n.c., poi cancellata dal registro delle imprese, avverso tre avvisi di accertamento n. XXX, relativi ad accertamento di maggior reddito imponibile per il periodo di imposta 2003, come conseguenza dell'applicazione dello studio di settore elaborato per la categoria dei panifici.
2. Ha rilevato il giudice di appello che il notevole scostamento del dichiarato rispetto al presumibile in base allo studio di settore non era stato specificamente neutralizzato da alcuna valida prova, posto che la mera allegazione della concordanza dei dati contabili dell'impresa con quanto dichiarato non appariva sufficiente a spiegare la grave discordanza con la redditività dell'attività, superiore al minimo del 20%.
3. Per la cassazione della citata sentenza ricorrono XXX, XXY, XXZ, XXW, WWY, quali eredi di XXA, socio della cancellata F. s.n.c., con due motivi; l'Agenzia delle Entrate ha depositato un atto di costituzione nel quale si riserva di partecipare all'udienza di discussione.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso lamenta:
a. Primo motivo: «Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, ai sensi dell'art. 360, co. 1, n. 5 c.p.c. con riferimento alla legittimità della rettifica fondata sulle risultanze dello studio di settore qualora quest'ultimo venga applicato senza l'instaurazione del preventivo contraddittorio con il contribuente» deducendo l'omessa considerazione ad opera della sentenza di appello della circostanza di fatto, pacifica tra le parti, che alcun contradditorio preventivo era stato instaurato con la società contribuente, essendosi applicato direttamente lo studio di settore.
b. Secondo motivo: «Sulla violazione e falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d), del D.P.R. n. 600 del 1973, dell'art. 54, comma 2, del D.P.R. n. 603 del 1973, nonché violazione dell'art. 62-sexies del d.l. n. 331/1993 e dell'art. 2729 c.c., con riferimento all'art. 360, co. 1, c.p.c.» deducendo l'erroneità della sentenza per aver ritenuto applicabile alla fattispecie lo studio di settore, nonostante non sia stato preceduto da preventivo contraddittorio.
2. Il ricorso per cassazione è stato proposto dagli eredi di uno dei soci illimitatamente responsabili della società contribuente, per la parte inerente alle conseguenze del maggior accertamento di imposta ai fini della determinazione del reddito della persona fisica del loro dante causa. In tale situazione, non essendovi alcuna contestazione della citata ricostruzione in fatto, stante la mancata tempestiva costituzione della Agenzia delle Entrate in questa fase, deve ritenersi che i ricorrenti siano muniti di legittimazione al giudizio, in quanto eredi del socio superstite della società estinta, nei sensi precisati a far data da Cass. Sez. U, n. 6070 del 2013, limitatamente alla quota di patrimonio relitta all'esito della liquidazione della società.
3. Nel merito il ricorso va accolto.
4. Il primo motivo è fondato. Esso è formulato ai sensi dell'art. 360 n. 5 cod. proc. civ. Tuttavia il suo contenuto è chiaramente riconducibile alla denuncia di un vizio procedurale ai sensi del precedente n. 4), allegando l'omessa motivazione da parte del giudice di appello sulla questione, dedotta sia in primo che in secondo grado, relativa alla mancanza di preventivo contraddittorio sull'applicazione dello studio di settore. Ne deriva che, nonostante il vizio di omessa pronuncia sia erroneamente denunciato ai sensi dell'art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e non in virtù del n. 4 della medesima disposizione normativa, il motivo proposto non è inammissibile, poiché prospetta con chiarezza la questione dell'omessa pronuncia quale specifico vizio processuale della sentenza impugnata (Cass. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 16170 del 19/06/2018). Riguardato in tale prospettiva, il motivo si palesa fondato. Questa Corte ha costantemente affermato che la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è ex lege determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli standard in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente. In tale fase, infatti, quest'ultimo ha la facoltà di contestare l'applicazione dei parametri provando le circostanze concrete che giustificano lo scostamento della propria posizione reddituale, con ciò costringendo l'ufficio - ove non ritenga attendibili le allegazioni di parte - ad integrare la motivazione dell'atto impositivo indicando le ragioni del suo convincimento. (Sez. U, Sentenza n. 26635 del 18/12/2009; Sez. 5, Sentenza n. 21754 del 20/09/2017; Sez. 5, Ordinanza n. 27617 del 30/10/2018). L'onere di prendere posizione sul punto derivava peraltro anche dalla circostanza che la CTR ha riformato la sentenza di primo grado che, come puntualmente documenta il ricorso riportando passi della decisione, aveva accolto l'opposizione rilevando, da un lato, l'omessa instaurazione del contraddittorio (punto 14 del ricorso) e, dall'altro, che la presunzione era nella specie stata vinta dalla produzione documentale a opera del contribuente, che aveva, a detta dei primi giudici, giustificato il rilevato scostamento (punto 15 del ricorso).
5. A fronte di ciò la sentenza impugnata in questa sede non solo non si è posta il problema delle conseguenze della mancata instaurazione del contraddittorio con il contribuente, ma ha altresì omesso di confrontarsi anche con la sentenza di primo grado, procedendo a un'astratta valutazione di incongruenza dei dati dichiarati con quelli presuntivi, tuttavia non fondata sull'analisi della documentazione probatoria acquisita in primo grado e su cui la CTP aveva basato il proprio giudizio.
6. Il secondo motivo resta assorbito.
7. La sentenza va dunque cassata e le parti rinviate innanzi alla CTR del Molise in Campobasso, in diversa composizione, che rinnoverà il giudizio applicando i citati principi e provvederà altresì a regolare le spese della presente fase di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso; dichiara assorbito il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia le parti innanzi alla Commissione Tributaria Regionale per il Molise in Campobasso, in diversa composizione, che provvederà anche a regolare le spese della presente fase di legittimità. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 26 marzo
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