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Corte di Cassazione, Sez. 5
Ordinanza n. 3261 del 5 febbraio 2019
rilevato che:
la sentenza impugnata ha esposto, in punto di fatto, che: l'Agenzia delle entrate aveva notificato al ricorrente, esercente l'attività di commercio di auto nuove e usate, un avviso di accertamento con il quale aveva contestato l'omesso versamento dell'Iva relativamente all'anno di imposta 1999 e irrogato le conseguenti sanzioni; avverso il suddetto atto aveva proposto ricorso il contribuente; la Commissione tributaria provinciale di Catania aveva accolto il ricorso, tenuto conto del fatto che, relativamente agli accertamenti ai fini delle imposte dirette, anni di 1997 e 1998, era stata già resa pronuncia che era divenuta definitiva per mancata impugnazione e, pertanto; avverso la suddetta pronuncia aveva proposto appello l'Agenzia delle entrate; la Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Catania, ha rigettato l'appello, in particolare ha ritenuto che, ai fini dell'accertamento della natura simulatoria di una procura a vendere, dissimulante una operazione negoziale di vendita da parte del contribuente delle autovetture allo stesso trasferite dagli acquirenti delle autovetture, era necessario che l'ufficio finanziario supportasse la propria pretesa su elementi univoci e contrari rispetto alla realtà negoziale rappresentata dalla procura a vendere; tale onere di prova non era stato assolto, in quanto l'ufficio finanziario si era limitato a fare riferimento al contenuto dell'avviso di accertamento, senza ulteriori elementi di prova; avverso la suddetta pronuncia ha proposto ricorso dinanzi a questa Corte l'Agenzia delle entrate affidato a tre motivi di censura; l'Agenzia delle entrate ha depositato memoria;
considerato che:
con il primo motivo di ricorso si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omessa motivazione su un punto decisivo della controversia; in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame ha reso una pronuncia illogica e contraddittoria, avendo travisato i fatti ricavabili dalla documentazione allegata all'atto di appello, non ha provveduto a compiere una valutazione di merito una volta annullato l'atto impositivo, ed ha deciso con una pronuncia priva di motivazione, non avendo tenuto conto che la questione fondamentale, prospettata dalla ricorrente sia in primo grado che in appello, riguardava la qualificazione giuridica delle forme contrattuali utilizzate dalle parti, cioè se il mandato a vendere dissimulasse un vero e proprio contratto di compravendita; il motivo è inammissibile; la pronuncia del giudice del gravarne ha definito la questione facendo riferimento alla circostanza, ritenuta fondamentale, che nessuna prova era stato posta alla sua attenzione al fine di ritenere la natura simulatoria del mandato a vendere; la stessa, quindi, ha tenuto conto dell'esistenza delle procure a vendere e, sulla base delle stesse, ha ritenuto che, implicitamente, non potesse trovare accoglimento la tesi difensiva della ricorrente, implicante una diversa qualificazione giuridica all'operazione posta in essere; non è dato ravvisarsi, quindi, una illogicità o contraddittorietà della motivazione, né può ritenersi che la pronuncia sia priva di motivazione; l'ulteriore ragione di censura, relativa al mancato esame nel merito della controversia, oltre che inammissibile ove considerata nell'ambito del presente motivo di censura, proposto ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod, proc. civ., è priva di pregio, in quanto nessuna valutazione sostitutiva poteva essere effettuata, atteso che il giudice del gravame ha ritenuto infondata la pretesa impositiva; infine, con riferimento alla ragione di censura relativa alla insufficiente motivazione su un fatto decisivo e controverso, la questione non correttamente è stata proposta con il presente motivo di ricorso che, si ripete, attiene al vizio di motivazione della sentenza, in quanto, prospettando che la vicenda doveva essere ricondotta nell'ambito del contratto di vendita e non di mandato a vendere, postula una questione di non corretta sussunzione della fattispecie concreta nell'ambito di una specifica previsione normativa, sicchè, eventualmente, avrebbe dovuto essere prospettata come vizio di violazione di legge; in ogni caso, parte ricorrente si limita a lamentare la non corretta valutazione compiuta dal giudice del gravame, senza tuttavia allegare e riportare, in difetto del principio di autosufficienza, quale era il contenuto dell'avviso di accertamento e quali ragioni erano state prospettate, nei giudizi di merito, al fine di consentire a questa Corte di apprezzare l'erronea qualificazione giuridica data all’operazione in esame dal giudice del gravame; con il secondo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 5), cod. proc. civ., per omessa motivazione su un punto decisivo e controverso del giudizio, in quanto ha fatto richiamo, nella motivazione, agli esiti delle pronunce, passate in giudicato, con la quale è stato annullato l'avviso di accertamento ai fini delle Imposte dirette relative agli anni 1997 e 1998, non avendo tenuto conto del fatto che i giudizi non attenevano allo stesso rapporto giuridico e non avendo specificato il contenuto delle citate sentenze; il motivo è inammissibile; come rilevato dalla stessa parte ricorrente, il giudice del gravame ha richiamato il giudicato relativo all'annullamento dell'avviso di accertamento ai fini delle imposte dirette come precedente giurisprudenziale; nella motivazione censurata, quindi, il giudice del gravame ha espresso una autonoma valutazione, e questa ratio decidendi, che ha costituito il fondamento della ragione della decisione, non è stata censurata con il presente motivo di ricorso, limitandosi parte ricorrente a lamentare la mancata riproduzione del contenuto della sentenza, senza quindi tenere conto dell'autonoma ragione decisoria della pronuncia; con il terzo motivo si censura la sentenza ai sensi dell'art. 360, comma primo, n. 3), cod. proc. civ., per violazione e falsa applicazione degli artt. 1703 e ssgg., per avere erroneamente ricondotto le operazioni in esame al rapporto di mandato piuttosto che a quelle della compravendita; il motivo è inammissibile; parte ricorrente, in particolare, riporta le proprie tesi difensive illustrate nel corso dei precedenti gradi di giudizio al fine di fondare la propria diversa qualificazione delle operazioni poste in essere e sulle quali ha trovato fondamento l'adozione della pretesa impositiva; nel prospettare la presente ragione di censura, diretta a contrastare la qualificazione giuridica del rapporto contrattuale instaurato tra i clienti e il contribuente, parte ricorrente si limita a illustrare la propria diversa valutazione, senza tuttavia provvedere a riportare il contenuto del processo verbale di constatazione e dell'avviso di accertamento nonché degli ulteriori atti e documenti da cui potere procedere ad una valutazione della non corretta qualificazione operata dal giudice del gravame; in conclusione, i motivi di ricorso sono inammissibili, con conseguente rigetto del ricorso; nulla sulle spese, attesa la mancata costituzione dell'intimato.
P.Q.M.
La Corte: rigetta il ricorso. Deciso in Roma, nella camera di consiglio della quinta sezione civile, addì 10 dicembre 2018.
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