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Comm. Trib. Reg. per la Toscana Sezione/Collegio 8
Sentenza del 15/11/2018 n. 2020 -
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Nel procedimento RGA XXX/2015 con ricorso presentato dalla Direzione Provinciale di Siena dell'Agenzia delle Entrate veniva interposto appello avverso la sentenza n. 82/2/2015 della Commissione Tributaria Provinciale di Siena, emessa in data 19.6.2014 e depositata in data 2/3/2015.
La controversia originaria aveva riguardo al silenzio-rifiuto rispetto all'istanza di rimborso IRAP avanzata ex art. 38 D.p.r. n. 602/73 per annualità 2005 dalla B. M. S.p.a. in data 9/6/2010 e scaturente dalle eccedenze delle svalutazioni su crediti, non integralmente deducibili nell'esercizio ma riportate e "spalmate" nelle sette/nove annualità successive (secondo il regime dei cd. "settimi" o "noni pregressi").
In base all'art. 6, comma 1, lett. n., d.lgs. n. 446/1997 tali svalutazioni erano deducibili ai fini dell'IRAP secondo un particolare meccanismo; in parte (per la parte dello 0,5% dei crediti risultanti in bilancio) nel periodo in cui veniva operata la svalutazione e per la parte rimanente (eccedente rispetto allo 0.5% dei crediti risultanti in bilancio) in un determinato numero (7/9) di esercizi successivi, apportando variazione in diminuzione rispetto al risultato civilistico di esercizio. La norma ricordata veniva però abrogata dal d.l. n. 168/2004 a decorrere dal periodo di imposta 2005 e non veniva dettata una normativa transitoria espressa per il trattamento delle quote di svalutazione riportate dalle annualità precedenti. L'Agenzia delle Entrate, da ultimo, negava la deducibilità ai fini dell'IRAP di tali componenti. La Banca M. utilizzando il modulo predisposto dalla Agenzia delle Entrate nelle dichiarazioni relative alle annualità 2005-2008 non computava tali quote di svalutazioni in eccedenza riportate da periodi in cui la normativa prevedeva detto meccanismo di traslazione a fini fiscali. Considerando che tali quote ammontavano per il 2005 ad oltre 74 milioni di euro e che nello stesso periodo gli importi IRAP segnalavano un credito della banca contribuente, quest'ultimo era stato inferiore di quello spettante. L'istanza di rimborso muoveva dalla considerazione del diritto al riporto delle quote anzidette per contro negato dall'amministrazione finanziaria I primi giudici assumevano che le quote di crediti per svalutazioni eccedenti operate in periodi antecedenti al 2005 erano deducibili anche in quest'ultimo periodo ed il diritto al rimborso scaturiva dal giugno 2006 con il saldo dell'imposta.
L'Ufficio proponeva appello, articolando i seguenti motivi di gravame.
1^ motivo: omessa pronuncia sull'eccezione di decadenza della società dal diritto al rimborso, che doveva essere attivato nei termini previsti dall'art. 2, comma 8-bis del d.P.R. n. 322/98 e non in quelli disciplinati dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/73.
La riliquidazione dell'IRAP con riconoscimento del maggior crediti rispetto a quello originariamente dichiarato non poteva avvenire oltre il termine prescritto per la presentazione iella dichiarazione relativa al periodo di imposta successivo (cfr. art. 2, comma 8 bis cit.) mentre il termine ex art 38 D.p.r. n. 602/73 concernerebbe i diversi casi di errore materiale, duplicazione, inesistenza totale o parziale dell'obbligazione tributaria inadempiuta e non per la dichiarazione di fatti diversi da quelli dichiarati tali da determinare un maggioro reddito o un maggior debito/credito di imposta.
2^ motivo: omessa pronuncia in merito alla eccezione di inammissibilità in punto di indeterminatezza dell'istanza di rimborso e del conseguente ricorso in merito ai versamenti richiesti a rimborso.
3^ motivo: omessa pronuncia sull'eccezione di tardività dell'istanza di rimborso rispetto al maggior versamento per l'anno 2005.
La Banca avrebbe effettuato solo versamenti in acconto (il 20/6/2005 e il 30/11/2005) ma non a saldo.
In ogni caso, l'istanza di rimborso secondo la giurisprudenza di legittimità decorre in caso di versamenti diretti dal versamento dell'acconto e non da quella del saldo (Cass. n. 29266/08), Nel caso, essendo l'ente sin dall'1.1.2006 nelle condizioni di apprezzare la ricorrenza del suo diritto al rimborso, l'istanza andava presentata prima del 20.6.2009.
Inoltre sarebbe dubbia la prova della correttezza della riliquidazione della dichiarazione da parte della Società, non avendo dimostrato (come sarebbe stato suo onere) l'esistenza e la spettanza delle quote pregresse, meramente allegate.
4^ motivo: volendo considerate le quote di svalutazione in eccedenza riportate da periodi di imposta antecedenti al 2004, il Collegio avrebbe dovuto anche considerare anche le riprese di valore di quegli stessi crediti e le riduzione del fondi rischi su crediti (divenuti parimenti neutri con la riforma del d.l. n. 168/14), in applicazione del principio di correlazione sancito dall'art. 11, comma 3, del d.lgs. n. 446/1997 e considerare se le componenti valutative dei settimini/noni pregressi non erano state recuperate sotto altra voce negli esercizi successivi al 2005.
5^ motivo: le svalutazioni relative agli anni anteriori al 2005, ai sensi della normativa vigente ratione temporis, non avevano rilevanza ai fini dell'imponibile IRAP per il 2005, come avvalorato dal Modello IRAP 2006 per l'anno 2005 - approvato con provvedimento amministrativo di portata cogente e non disattendibile in assenza di diversa disposizione - privo dei righi della dichiarazione in cui dare rilievo alle svalutazioni. Il principio tempus regit actum e la nuova disciplina del d.l. 168/04 precludevano la deduzione dei noni pregressi nelle dichiarazioni relative ai periodi dal 2005 a seguire (successivi all'entrata in vigore della riforma) poiché il diritto alla loro deduzione non era acquisito ma facoltà di anno in anno concessa dal legislatore in ossequio al carattere annuale della dichiarazione IRAP e del carattere autonomo dell'IRAP; quest'ultima quale sistema di imposizione reale, assume a riferimento capacità contributiva diversa da quelle delle imposte sul reddito, non rilevando per la prima un reddito (flusso economico positivo) ma l'esistenza ed operatività di un complesso di beni, servizi, persone, organizzato ed idoneo a generare nuova ricchezza (tale il valore della produzione) evidentemente indipendente dalla entità delle sofferenze sui crediti.
Conclusivamente, parte appellante chiedeva la riforma della sentenza di primo grado con, in tesi, la dichiarazione di inammissibilità del ricorso originario e comunque la conferma della legittimità dell'operato dell'Ufficio.
La banca M. S.p.a. si costituiva in giudizio e presentava le controdeduzioni di seguito illustrate.
1^ controdeduzione: non vi era alcuna omessa pronuncia sull'eccezione di decadenza della società dal diritto al rimborso (in quanto asseritamente non attivato nei termini previsti dall'art. 2, comma 8-bis del d.P.R. n. 322/98 ma in quelli disciplinati dall'art. 38 del d.P.R. n. 602/73) che piuttosto era stata implicitamente rigettata riconoscendo il diritto al rimborso.
In ogni caso, come confermato dalle Sezioni Unite (n. 13378/2016), l'istanza di rimborso ex art. 38 cit. entro 48 mesi dall'indebito versamento è sempre proponibile per far constatare l'esistenza di un errore nella compilazione della dichiarazione a prescindere dalla presentazione della dichiarazione integrativa ex art. 2 cit. (che piuttosto attribuisce l'ulteriore facoltà di utilizzare in compensazione gli eventuali crediti d'imposta, risultanti dalla rettifica).
2^ controdeduzione: infondata anche la dedotta omissione di pronuncia in merito alla eccezione di inammissibilità in punto di indeterminatezza dell'istanza di rimborso e del conseguente ricorso in merito ai versamenti richiesti a rimborso, atteso che piuttosto si era in presenza di statuizione implicita di rigetto.
In linea di merito, inoltre, la Banca aveva rettificato la dichiarazione IRAP per il 2005, facendo debitamente concorrere all'imponibile di periodo anche le quote di svalutazioni de quibus, con conseguente emersione di un'eccedenza d'imposta versata per l'anno 2005 ancora superiore rispetto a quella originariamente esposta, siccome pari ad euro 8.230.436.00 (anziché ad euro 4.654.050,00); dal che il suo diritto al rimborso della maggiore eccedenza di euro 3.576.386.00, costituente l'importo oggetto dell'odierna controversia.
Pacifica, poi, la realtà degli acconti pagati dalla banca nel 2005 (ammessa anche dall'Ufficio finanziario) e sino al 19.6.2006 nessuno dubitava della deducibilità delle svalutazioni pregresse in discussione.
3^ controdeduzione: infondata l'omessa pronuncia sull'eccezione di tardività dell'istanza di rimborso rispetto al maggior versamento per l'anno 2005, all'evidenza implicitamente rigettata dai primi giudici.
Secondo il solido insegnamento giurisprudenziale (Cass. n. 9885/2003, 23074/2008) la decorrenza del termine per la presentazione dell'istanza di rimborso ex art. 38 cit. dipende dalla genesi dell'indebito che, di volta in volta, viene in rilievo; tale termine decorre: - dal saldo (e, quindi e in ipotesi di saldo che evidenzi un'eccedenza d'imposta a credito, dalla dichiarazione che abbia determinato tale saldo) ove il diritto al rimborso derivi da un'eccedenza d'imposta anticipatamente corrisposta; - dal giorno dei singoli versamenti in acconto solo qualora questi fossero indebiti già all'atto della relativa effettuazione.
La stessa Suprema Corte ha precisato che il termine de quo può decorrere dalla data di versamento degli acconti «soltanto quando venga espunta dall'ordinamento o non debba essere applicata (per dichiarazione d'incostituzionalità o per contrasto col diritto comunitario) l'intera fattispecie del tributo ovvero qualora venga contestato in radice l'obbligo del pagamento del tribute in forza di un regime di esenzione soggettiva" (così, per tutte e da ultimo, Cass. n. 0836/2012). Poiché nella specie gli acconti erano stati regolarmente e debitamente versati all'atto della relativa effettuazione e che il diritto al rimborso ora in discussione non poteva che emergere (piuttosto e in termini di maggior eccedenza d'imposta versata) all'atto del saldo (e quindi, trattandosi d'ipotesi di maggior eccedenza d'imposta versata, attraverso la dichiarazione di periodo), le censure dell'Ufficio si rivelavano infondate.
Vi è prova della correttezza della riliquidazione della dichiarazione da parte della Società.
Le svalutazioni di interesse sono quelle esposte nella dichiarazione modello UNICO 2006 per il 2005 ai fini della deduzione a fini IRES, deduzioni mai contestate dall'Ufficio, E' stato depositato in atti il prospetto delle rettifiche sui crediti (deducibilità differita iscritte in bilancio negli esercizi antecedenti al 2005 con dettaglio indicato al rigo AF7 colonna 2.
Meramente dubitativa ed ipotetica la contestazione generica dell'Ufficio circa la correttezza della riliquidazione, avendo la società, per parte sua, provveduto a produrre i bilanci della banca e delle incorporate.
4^ controdeduzione: le prospettate riprese di valore degli stessi crediti svalutati negli anni dal 2005 a seguire non si erano verificate e comunque rispetto ad esse incombeva prova a carico dell'Ufficio, quale fatto impeditivo del rimborso; in ogni caso avrebbero avuto riguardo a periodi in cui, posto il mutato quadro normativo, quali componenti positive non avrebbero avuto alcun rilievo imponibile.
5^ controdeduzione: le svalutazioni relative agli anni anteriori al 2005 e soggette al regime della deduzioni "spalmata" in quote, anche dopo la riforma del d.l. n. 168/2004, rilevavano ai fini dell'imponibile IRAP per gli esercizi successivi al 2005, conte confortato dalle unanimi opinioni dottrinali e dalla maggioritaria posizione della giurisprudenza (Cass., 26547/16; Cass. n. 5403/2012; Cass., n. 1111/2015; Cass. n. 10591/2015; CTR Firenze n. 2028/XVI/16 e 1217/U/17).
L'appellato ripercorre l'evoluzione normativa della materia della svalutazione dei crediti e accantonamenti per rischi su crediti (cfr., ai fini delle imposte sui redditi, art. 71 TUIR, modificato dalla legge n. 549/1995, legge n. 342/2000; ai fini dell'IRAP artt. 6, comma 1, lett. n., 11-bis, 11 comma 3, d.lgs. n. 446/1997, art. 2, comma 2, d.l. n. 168/2004, art. 3 d.l. n. 282/04 che stabiliva che la norma abrogativa si applicava a decorrere dal periodo di imposta successivo a quelli incorso alla data di entrata in vigore del decreto; risultanze dei lavori parlamentari) per ribadire che la disposizione abrogativa del 2004 non poteva essere riferita alle quote rivenienti da svalutazioni effettuate e di competenza di esercizi precedenti e la cui deducibilità era spalmata in più annualità /sette/nove decimi in forza della precedente disciplina fiscale. Ciò perché in difetto di norma modificativa ad espressa efficacia retroattiva, in linea con la previsione dell'art. 3 dello Statuto del contribuente, il regime giuridico delle svalutazioni è quello vigente al momento della loro effettuazione ed imputazione a conto economico (cd. cristallizzazione del regime fiscale).
Parte resistente, in conclusione, chiedeva la conferma della sentenza di primo grado, con dichiarazione dei diritto della contribuente al rimborso della maggiore IRAP versata (o del credito non riportato a nuovo) nell'annualità 2005, conseguentemente condannando l'Agenzia delle Entrate D.P. di Siena al rimborso in favore della S.p.A. Banca M. dell'importo di euro 3.576.386,00, con gli accessori di legge, ivi compresi gli interessi ed il maggior danno da svalutazione monetaria. Con vittoria di spese e compensi anche del precedente grado di giudizio.
Con nota depositata in data 22.10.2018 l'appellato ha prodotto documento della Direzione Regionale di Firenze dell'Agenzia delle Entrate recante il riconoscimento del diritto al rimborso di somme richiesto dalla banca per le annualità dal 2006 al 2008.
MOTIVI DELLA DECISIONE
L'appello proposto è infondato.
1. Per quanto i primi giudici non si siano confrontati espressamente con la dedotta decadenza dal diritto al rimborso per violazione dei termini previsti dall'art. 2, comma 8-bis del D.p.r. n. 322/98, avendo essi attribuito rilievo centrale alla questione della portata temporale dell'efficacia abrogativa dell'art. 2, comma 2 bis d.l. n. 168/2004, la questione deve ritenersi implicitamente disattesa, essendo stata considerata praticabile un'istanza di rimborso ex art. 38 D.p.r. n. 602/73.
Valutazione che anche questo Collegio condivide, dovendosi rammentare che «in caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all'art. 43 del D.p.r. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la PA. (art. 2, comma 8, del D.p.r. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in, ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell'Amministrazione finanziaria» (cfr. Sezioni, Unite, n. 13378 del 30/06/2015 Rv. 640206 - 01; Cass., Sez. 5, 11507 del 11/05/2018, v. 648025 - 01).
In effetti, l'art. 2, comma 8, del D.p.r. 322/98 prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti d'imposta possono essere integrate per correggere errori od omissioni mediante successiva dichiarazione da presentare non oltre i termini stabiliti dall'articolo 43 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600.
Il comma 8 bis, introdotto con il D.p.r. 7 dicembre 2001, n. 435 prevede che le dichiarazioni dei redditi, dell'imposta regionale sulle attività produttive e dei sostituti di imposta possono essere integrate dai contribuenti per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta o di un minor credito, mediante dichiarazione da presentare non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo.
La Corte di legittimità, con la sentenza n. 13378 pronunciata a Sezioni Unite il 7 giugno 2016, chiamata a decidere sul contrasto tra diversi orientamenti formatisi sulla emendabilità della dichiarazione, ha affermato il principio per il quale occorre distinguere il diverso piano sul quale operano le norme in materia di accertamento e riscossione, cui si applicano i termini previsti dall'art. 2, commi 8 e 8 bis D.p.r. 322/98, rispetto a quelle che governano il processo tributario. Ciò in quanto oggetto del contenzioso giurisdizionale l'accertamento circa la legittimità della pretesa impositiva, quand'anche fondata sulla base di dati forniti dal contribuente. Dunque, in tal caso, non si vette in tema di "dichiarazione integrative ex art. 2 cit., o di richiesta di rimborso ex art. 38 D.p.r. 602/73 e sussiste il diritto del contribuente a contestale il provvedimento impositivo, fornendo prova delle circostanze, quali anche errori o omissioni presenti nella dichiarazione fiscale.
Ha affermato la Corte di Cassazione il seguente principio di diritto: «La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di un maggior reddito o, comunque, di un maggior debito d'imposta odi un minor credito, mediante la dichiarazione integrativa di cui all'art. 2 comma 8 bis, è esercitabile non oltre il termine prescritto per la presentazione della dichiarazione relativa ai periodo d'imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante. La possibilità di emendare la dichiarazione dei redditi conseguente ad errori od omissioni in grado di determinare un danno per l'amministrazione, è esercitabile non oltre i termini stabiliti dall'art. 43 del D.P.R. n. 600 del 1973. Il rimborso dei versamenti diretti di cui all'art. 38 del D.p.r. 602/1972 è esercitabile entro il termine di decadenza di quarantotto mesi dalla data del versamento, indipendentemente dai termini e modalità della dichiarazione integrativa di cui all'art. 2 comma 8 bis D.p.r. 322/1998. Il contribuente, indipendentemente dalle modalità e termini di cui alla dichiarazione integrativa prevista dall'art. 2 D.p.r. 322/1998 e dall'istanza di rimborso di cui all'art. 38 D.p.r. 602/1973, in sede contenziosa può sempre opporsi alla maggiore pretesa tributaria dell'amministrazione finanziaria, allegando errori, di fatto o di diritto, commessi nella redazione della dichiarazione, incidenti sull'obbligazione tributaria».
2. Infondata, inoltre, è la dedotta omissione di pronuncia in merito all'eccezione di inammissibilità in punto di indeterminatezza dell'istanza di rimborso e del conseguente ricorso in merito ai versamenti richiesti a rimborso, essendosi, piuttosto, in presenza di statuizione implicita di rigetto.
Come efficacemente contrastato sul punto dall'appellata, infatti, l'importo del rimborso richiesto, all'esito della riliquidazione operata dalla società contribuente, si identifica nel maggiore credito (rispetto a quello dichiarato) pari ad euro 3.576.386.00. La stessa nota della Direzione Regionale della Toscana dell'Agenzia delle Entrate, versata in atti con nota del 22.10.2018, consente di rilevare che non sussista alcuna incertezza in merito agli importi richiesti dalla società con unitaria istanza del 9.6.2010. Né può porsi in dubbio la realtà degli acconti versati dalla banca nel 2005, da cui lo stesso Ufficio muove, sia pure ad altri fini, per rilevare la ritenuta tardività dell'istanza di rimborso.
3. Infondata è l'eccezione di tardività dell'istanza di rimborso rispetto al maggior versamento per l'anno 2005, all'evidenza implicitamente rigettata dai primi giudici allorché hanno precisato che il diritto al rimborso scaturiva dal giugno 2006 con il saldo dell'imposta.
Come anche recentemente ribadito dalla Corte di Cassazione, il termine di decadenza per la presentazione dell'istanza di rimborso, in caso di versamenti diretti, previsto dall'art. 38 del D.p.r. n. 602 del 1973 «decorre, nella ipotesi di effettuazione di versamenti in acconto, dal versamento del saldo solo nel caso in cui il relativo diritto derivi da un'eccedenza degli importi anticipatamente corrisposti rispetto all'ammontare del tributo che risulti al momento del saldo complessivamente dovuto, oppure rispetto ad una successiva determinazione in via definitiva dell' "an" e del "quantum" dell'obbligazione fiscale, mentre non può che decorrere dal giorno dei singoli versamenti in acconto nel caso in cui questi, già all'atto della loro effettuazione, risultino parzialmente o totalmente non dovuti, poiché in questa ipotesi l'interesse e la possibilità di richiedere il rimborso sussistono sin da tale momento» (Cass. Sez. 6 - 5, n. 14868 del 20/07/2016, Rv. 640667 - 01).
Ebbene, deve escludersi che sia quest'ultima la situazione che ora impegna, non potendosi assumere che i versamenti in acconto nel 2005 dovessero considerarsi, già all'atto della loro effettuazione, parzialmente o totalmente non dovuti. Non ricorre, in particolare, una fattispecie di tributo espunta dall'ordinamento o non più applicabile (per dichiarazione d'incostituzionalità o per contrasto col diritto comunitario) né risulta contestato in radice l'obbligo del pagamento del tributo in forza di un regime di esenzione soggettiva (Cass., Sez. 5 n. 12269 del 17/05/2017, Rv. 644136 - 01); sole situazioni che avrebbero potuto indurre a ricollegare la non debenza già al pagamento delle rate di acconto e non al pagamento del saldo, con conseguente decorrenza del termine decadenziale sin dai versamenti delle rate di acconto. E' condivisibile, per contro, quanto osservato dalla appellato allorché ha rimarcato che nella specie gli acconti erano stati regolarmente e debitamente versati all'atto della relativa effettuazione e che il diritto al rimborso non poteva che emergere (quale maggior eccedenza d'imposta versata) all'atto del saldo; dunque, trattandosi d'ipotesi di maggior eccedenza d'imposta versata, solo la dichiarazione di periodo poteva consentire di rilevarne il pagamento indebito.
Non risulta, inoltre, dubbio, se non per generica supposizione dell'Ufficio, la correttezza della riliquidazione della dichiarazione da parte della società. Quest'ultima ha segnalato che le svalutazioni di interesse sono esattamente quelle esposte nella dichiarazione modello UNICO 2006 per il 2005 ai fini della deduzione a fini IRES, non contestate dall'Ufficio. E' stato depositato, inoltre, il prospetto delle rettifiche sui crediti a deducibilità differita iscritte in bilancio negli esercizi antecedenti al 2005. Dunque, appare meramente dubitativa, per non dire perplessa, la contestazione dell'Ufficio circa la correttezza della riliquidazione, avendo la società, per parte sua, provveduto a produrre i bilanci della banca e delle incorporate. E' emerso, inoltre, che muovendo dagli stessi elementi valutativi, la Direzione regionale della Toscana dell'Agenzia della Entrate ha riconosciuto il rimborso (per gli anni 2006-2008) nell'entità richiesta dalla banca.
4. Infondate, infine, le doglianze di merito. A prescindere dalla prova dell'esistenza delle riprese di valore degli stessi crediti svalutati negli anni dal 2005, con riguardo ai periodo successivi al 2005 è il mutato quadro normativo che vale a superare e neutralizzare il rilievo imponibile di tali eventuali componenti positive.
5. Il principio di diritto per cui le svalutazioni relative agli anni anteriori al 2005 e soggette al regime della deduzioni "spalmate" in quote, anche dopo la riforma del d.l. n. 168/2004, rilevavano ai fini dell'imponibile IRAP per gli esercizi successivi al 2005, è confortato dalla posizione oramai univoca in giurisprudenza.
In materia di IRAP relativa agli enti creditizi e bancari, «la svalutazione dei crediti risultanti dal bilancio di esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, la cui deduzione viene solo rinviata, in parte, agli esercizi successivi, per cui l'indeducibilità, introdotta dal d.l. n. 168 del 2004, conv., con modif., dalla l. n. 191 del 2004, non attinge le quote (cosiddetti noni pregressi) di competenza degli esercizi anteriori, oggetto di una situazione giuridica sostanziale ormai già consolidata in forza della normativa antecedente» (Cass., 26547/16).
Sulla questione si è formato un orientamento di legittimità di recente ribadito.
Osserva la Cassazione, nella sentenza n. 26547/2016, cit.: «Per l'IRAP degli enti creditizi e finanziari, la svalutazione dei crediti alla clientela risultante dal bilancio d'esercizio determina immediatamente la decurtazione del valore fiscale dei ricavi, poiché ad essa è stata data rilevanza dall'art. 106 (già art. 71) D.p.r. n. 917 del 1986 allo scopo di rendere la disciplina fiscale più adeguata alle esigenze del settore ed assicurare pieno riconoscimento alle svalutazioni imputate al conto economico, e se la relativa deduzione è rinviata per noni agli esercizi successivi ciò accade solo per evitare il superamento del limite massimo di deducibilità in ciascun esercizio: quindi, l'indeducibilità introdotta dall'art. 2 d.l. n. 168 del 2004, conv. I. n. 191 del 2004, non attinge le quote di competenza degli esercizi anteriori (c.d. noni pregressi), in quanto esse sono relative a svalutazioni di crediti operate nei corrispondenti bilanci e oggetto di una situazione giuridica ormai consolidata, non essendo d'altronde giustificabile un'interpretazione in chiave retroattiva, che - in assenza di specifica deroga - si porrebbe in contrasto col canone ermeneutico di cui all'art. 3 I. n. 212 del 2000 (Cass. 4 aprile 2012, n. 5403, Rv. 621891). In modo analogo questa Corte ha deciso per il valore della produzione netta delle imprese assicurative ex art. 7 d.lgs. n. 446 del 1997 in rapporto al regime di indeducibilità introdotto dall'art. 6 d.l. n. 203 del 2005, conv. I. n. 248 del 2005 (Cass. 21 gennaio 2015, n. 1111, Ru. 634033). L'intangibilità delle quote di svalutazione già contabilizzate riflette la naturale irretroattività delle disposizioni tributarie, a sua volta riflesso dei principi costituzionali di ragionevolezza, certezza e affidamento: pertanto, è manifestamente infondata la questione di legittimità sollevata dalla difesa erariale nell'ipotizzare che l'interpretazione ad essa avversa violi gli artt. 3 e 53 Cost.». Valutazioni, quelle passate in rassegna, che questo Collegio condivide e cui intende dar seguito.
In merito alle spese, deve riconoscersi che la questione da ultimo trattata ha ricevuto definitiva soluzione esegetica in virtù di recenti arresti giurisprudenziali e mutati orientamenti nella prassi dell'Agenzia della Entrate, in seno alle sue componenti direttive più alte. Ricorrono dunque eccezionali ragioni per compensare le spese del giudizio.
P. Q. M.
Conferma la sentenza impugnata e compensa le spese di lite.
Firenze, 12/11/2018
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