Massima: “In materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata l'inesistenza soggettiva dell'operazione, grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 cod. civ., l'interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell'operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa”.
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Comm. Trib. Reg. per l'Umbria – Sezione/Collegio 3
Sentenza del 19/03/2018 n. 147
FATTO
1. La XXX s.r.l. ha impugnato avviso accertamento dell'IVA riferito all' anno 2010, per asserita registrazione di fatture per 446.256,25 euro per operazioni inesistenti con alcuni determinati fornitori (XXX e XXX) sulla base di PVC redatto dalla Guardia di Finanza di Todi il 5 maggio 2015.
Secondo l'Agenzia delle Entrate la suddetta società avrebbe assunto il ruolo di "missing trader" interponendosi tra i fornitori e gli effettivi acquirenti, nel contesto di organizzazione fraudolenta il cui unico scopo era quello di evadere l'IVA; gli interposti sfruttano la normativa sulle operazioni intracomunitarie acquistando merci senza applicazione IVA e li rivendono con IVA omettendo il versamento dell'imposta dovuta.
In primo grado l'odierna appellata ha lamentato in sintesi: - nullità dell'atto impositivo per difetto di motivazione; - l'Agenzia avrebbe utilizzato mere presunzioni prive degli elementi di cui all'art. 2729 c.c.; - mancato assolvimento da parte dell'Ufficio dell'onere probatorio; - mancata dimostrazione da parte dell'Ufficio della connivenza della XXX s.r.l rispetto alla frode; - la carenza di colpa quanto alle sanzioni applicate.
L'Agenzia delle Entrate, costituitasi nel giudizio di primo grado, ha sostenuto spettare al soggetto che ha portato in detrazione l'IVA fornire la prova che l'apparente cedente non è un mero interposto oltre che la sussistenza di gravi indizi atti a dimostrare la conoscenza della frode; secondo l'Ufficio i fornitori comunitari fatturavano alla XXX e XXX (prive di qualsiasi struttura, rappresentate da prestanome e meri intestatari di partite IVA) i quali anziché fatturare ai reali destinatari della merce fatturavano alla ricorrente, la quale fatturava poi ai reali clienti destinatari della merce.
La C.T.P. di Perugia con sentenza n. 748/2016, depositata il 6 dicembre 2016, ha accolto il ricorso (compensando le spese di lite) ritenendo non dimostrato il coinvolgimento della ricorrente nella frode, non avendo tratto alcun vantaggio dagli acquisiti effettuati avendo comprato ai prezzi di mercato.
L'Agenzia delle Entrate Direzione Provinciale di Perugia ha proposto appello avverso la suddetta sentenza, lamentandone il difetto di motivazione, l'omesso esame di punti rilevanti della controversia ed errori in iudicando, dal momento che:
- XXX avrebbe emesso fatture per operazioni soggettivamente inesistenti omettendo ogni versamento IVA mentre gli acquirenti nazionali avrebbero ottenuto un indebito credito IVA che non avrebbero avuto nel caso di acquisto diretto nell'UE; vi sarebbe una tipica frode "carosello" dal momento che la merce acquistata proviene da soggetto diverso; altra sezione della stessa CTP di Perugia avrebbe d'altronde riconosciuto il ruolo di cartiera della società odierna appellata;
- vi sarebbe un onere specifico a carico del cessionario di verificare la posizione del cedente;
- sarebbe erroneo quanto asserito in motivazione dal giudice di prime cure circa la mancanza di vantaggi economici per l'appellata in quanto non sarebbe provata la similarità della merce acquistata;
- vi sarebbe colpa per non aver verificato la non coincidenza tra l'emittente la fattura e colui che effettivamente rendeva la prestazione;
- elemento ulteriore comprovante la connivenza sarebbe il pagamento anticipato della merce.
Si è costituita nel giudizio d'appello la XXX s.r.l. chiedendo la conferma della sentenza impugnata, dal momento che in sintesi:
- le dichiarazioni di terzi rese ai verificatori costituirebbero meri indizi, nel caso di specie dei fornitori della XXX in merito alla presunta connivenza della frode;
- il pagamento anticipato consentirebbe di ottenere sconti; l'appellata acquistava per rivendere e non per trasformare;
- non sarebbe stata tenuta a compiere accertamenti su XXX e XXX diversamente da quanto sostenuto dall'Agenzia Entrate;
- sarebbero del tutto indimostrati i vantaggi personali avuti nella frode, allegando all'uopo fatture di fornitori per materiali simili acquistate nell'anno precedente nonché prezziario della società XXX leader del settore plastico.
All'udienza pubblica del giorno 6 dicembre 2017, uditi i difensori, la causa è stata trattenuta in decisione.
DIRITTO
2. L'appello è infondato e va respinto.
3. Ritiene il Collegio dirimente nella fattispecie la mancata prova da parte dell'Ufficio della connivenza della società appellata rispetto alla frode intracomunitaria, secondo i principi in tema di riparto dell'onere della prova valevoli in subiecta materia.
Secondo la giurisprudenza con riguardo alla detrazione in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti, vige il principio secondo qui in materia di detrazione IVA, liquidata nella fattura passiva emessa dal cedente e versata in rivalsa dal cessionario, qualora sia contestata l'inesistenza soggettiva dell'operazione, grava sull'Amministrazione finanziaria l'onere di provare, anche in via presuntiva, ex art. 2727 cod. civ., l'interposizione fittizia del cedente ovvero la frode fiscale realizzata a monte dell'operazione, eventualmente da altri soggetti, nonché la conoscenza o conoscibilità da parte del cessionario della frode commessa.
Per contro, spetta al contribuente che intende esercitare il diritto alla detrazione o al rimborso, provare la corrispondenza anche soggettiva della operazione di cui alla fattura con quella in concreto realizzata ovvero l'incolpevole affidamento sulla regolarità fiscale, ingenerato dalla condotta del cedente (ex multis Comm. Trib. Reg. Veneto, sez. II, 30 giugno 2017, n. 737; Comm. trib. reg. Lazio, sez. VI, 2 marzo 2017, n. 972; cfr. Cassazione n. 25779/2014).
D'altronde la stessa Corte di Giustizia dell'UE ha affermato il diritto del soggetto passivo di detrarre l'IVA anche nell'ambito di operazioni inesistenti ove l'Amministrazione finanziaria non dimostri la conoscenza o la conoscibilità della frode fiscale (C.G.U.E. 22.10.2015 C-277/2014).
4. Nel caso di specie non vi è prova che l'appellata abbia conseguito alcun tipo di vantaggio personale dalle operazioni effettuate, pur se a monte poste al fine di eludere l'IVA, non avendo dunque avuto alcun ruolo della frode.
Come ritenuto dal giudice di primo grado essa ha infatti acquistato la merce da XXX e XXX secondo i correnti prezzi di mercato, circostanza documentata dalla XXX s.r.l. allegando sia fatture per materiali similari riferite all'anno precedente sia prezziario di operatore leader del settore plastico.
5. Di contro l'Agenzia delle Entrate ha fondato la propria pretesa impositiva sulle dichiarazioni dei fornitori dell'appellata raccolte dai verificatori, sulla circostanza del pagamento anticipato della merce nonché sull'onere della società di accertare la serietà dei fornitori.
Trattasi ad avviso del Collegio di elementi indiziari tutti privi degli indispensabili requisiti di cui all'art. 2729 c.c..
6. Infatti, costituisce principio consolidato nella giurisprudenza della Cassazione quello secondo il quale, in tema di contenzioso tributario, le dichiarazioni di terzi raccolte dai verificatori ed inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di prove testimoniali, bensì di mere informazioni acquisite nell'ambito di indagini amministrative, ed hanno, pertanto, il valore probatorio proprio degli elementi indiziali e come tali devono essere valutate dal giudice, con la conseguenza che non possono costituire da sole il fondamento della decisione, potendo essere utilizzate quando trovino ulteriore riscontro nel contesto probatorio emergente dagli atti (ex plurimis, Cassazione nn. 3526 del 2002, 5957 del 2003, 16032 del 2005, 9129 e 24200 del 2006).
7. Anche il pagamento anticipato della merce non costituisce di per sé elemento utile al fine della presunta conoscenza della frode carosello, essendo invece del tutto verosimile quanto replicato dall'appellata in punto di prassi applicata nei rapporti commerciali per poter ottenere sconti o condizioni più favorevoli.
Del pari irrilevante è il mancato transito della merce nei depositi dell'appellata, dal momento che è pacifico che essa acquistava per rivendere e non per compiere attività di trasformazione.
8. Parimenti non ritiene il Collegio esigibile che un operatore economico verifichi la serietà di tutti i propri fornitori e l'assenza di un disegno di evasione dell'IVA, avendo tra l'altro l'appellata vari fornitori oltre a quelli resisi responsabili di operazioni fraudolente.
9. Per i suesposti motivi l'appello va respinto. Sussistono giusti motivi per disporre la compensazione delle spese di lite, attesa la complessità delle questioni trattate.
P.Q.M.
La Commissione Tributaria Regionale dell'Umbria, definitivamente pronunciando, respinge l'appello. Spese compensate. Perugia 6 dicembre 2017.
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