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L’Agenzia delle Entrate non può recuperare a tassazione la plusvalenza sulla base della rettifica del valore operata ai fini dell’imposta di registro. La Cassazione respinge il ricorso dell’Agenzia delle Entrate.

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Estratto: “l'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 - che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva - esclude che l'Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro”.

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Corte di Cassazione, Sez. V

Ordinanza n. 23704 dell’1 ottobre 2018

FATTI DI CAUSA

L'Agenzia delle entrate ricorre, per due motivi, nei confronti di A.G, che resiste con controricorso, illustrato con una memoria, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale (hinc: CTR) della Lombardia in epigrafe che - in controversia avente ad oggetto l'impugnazione di un avviso di accertamento, con metodo induttivo, che recuperava a tassazione, a fini IRPEF, per l'anno d'imposta 2004, la plusvalenza derivante dalla cessione a titolo oneroso di un appezzamento di terreno edificabile, sulla base di un altro atto impositivo che aveva rettificato il valore di mercato del bene ai fini dell'imposta di registro – in accoglimento dell'appello del contribuente, annullava l'avviso di accertamento.

Il giudice d'appello ha ravvisato la legittimità "solo formale" (non quella sostanziale) dell'atto impugnato poiché la rettifica di valore del cespite, finalizzata alla liquidazione dell'imposta di registro, in assenza di elementi di riscontro, non è prova sufficiente di una plusvalenza non dichiarata, derivante dalla cessione a titolo oneroso del bene, ai fini dell'imposizione diretta.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Primo motivo di ricorso: «Nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 c.p.c. - vizio di ultrapetizione - in relazione all'art. 360, comma 1 n. 4 c.p.c.».

Si deduce il vizio di ultrapetizione della sentenza impugnata che avrebbe annullato l'atto impositivo a causa di un rilievo diverso da quello proposto dal contribuente: questi, infatti, aveva lamentato il difetto di motivazione dell'accertamento esclusivamente sotto il profilo dell'omessa allegazione dell'avviso di rettifica, ai fini dell'imposta di registro, in forza del quale era stata determinata la plusvalenza; la CTR, invece, aveva dichiarato la nullità della motivazione dell'atto impositivo perché la pretesa tributaria non era sostenuta da "ragioni aggiuntive" (a titolo d'esempio: le stime dell'UTE) rispetto alla rettifica del valore in materia di imposta di registro.

1.1. Il motivo è infondato.

La Corte, con una recente decisione (Cass. 11/05/2018, n. 11498), riguardante l'impugnazione, da parte di P.G., (uno dei cinque venditori del terreno edificabile in esame), di avviso di accertamento della plusvalenza derivante dalla medesima compravendita, ha disatteso un'identica censura dell'Agenzia delle entrate, ex art. 112 cod. proc. civ., esprimendo il seguente principio di diritto, al quale il Collegio intende aderire: «il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato, fissato dall'art. 112 c.p.c., non osta a che il giudice renda la pronuncia richiesta in base ad una ricostruzione dei fatti autonoma rispetto a quella prospettata dalle parti o in applicazione di una norma giuridica diversa da quella invocata dall'istante, purché restino immutati il "petitum" (nella specie l'annullamento dell'avviso di accertamento) e la "causa petendi" (nella specie il difetto di motivazione) e la statuizione trovi corrispondenza nei fatti di causa e si basi su elementi di fatto ritualmente acquisiti in giudizio ed oggetto di contraddittorio (Cass. 4 febbraio 2016, n. 2209);».

2. Secondo motivo: «Violazione e falsa applicazione degli artt. 42, comma 2 e 39 del DPR 600/1973 e dell'art. 62, comma 1 lett. b) DPR 917/1986, in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3 c.p.c.». Si fa valere l'errore di diritto della sentenza impugnata che avrebbe ritenuto che la motivazione della ripresa, ai fini IRPEF, della plusvalenza da cessione a titolo oneroso di un terreno non possa poggiare esclusivamente sulla considerazione che il valore del bene sia stato rettificato ai fini dell'imposta del registro, laddove, invece, la Cassazione ha espresso un

principio di diritto diametralmente opposto, vale a dire che l'Amministrazione finanziaria è legittimata a procedere, in via induttiva, all'accertamento della plusvalenza da cessione di un bene sulla base dell'accertamento del suo valore ai fini dell'imposta di registro; in tale caso, secondo la Corte, è onere probatorio del contribuente superare la presunzione della corrispondenza tra il prezzo di cessione e il valore di mercato del bene ai fini dell'imposta di registro.

2.1. Il motivo è infondato.

Occorre, di nuovo, richiamare la pronuncia della Corte appena ricordata, dalla quale il Collegio non ha ragione di discostarsi, in virtù della quale: «in tema di accertamento delle imposte sui redditi, [...] l'art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 147 del 2015 - che, quale norma di interpretazione autentica, ha efficacia retroattiva - esclude che l'Amministrazione finanziaria possa ancora procedere ad accertare, in via induttiva, la plusvalenza patrimoniale realizzata a seguito di cessione di immobile o di azienda solo sulla base del valore dichiarato, accertato o definito ai fini dell'imposta di registro (Cass. 17 maggio 2017, n. 12265; Cass. 6 giugno 2016, n. 11543).».

3. Ne consegue il rigetto del ricorso.

4. Poiché la soluzione della controversia è dipesa dallo ius superveniens, posteriore alla sentenza impugnata, è congruo compensare, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

rigetta il ricorso;

compensa, tra le parti, le spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 17 luglio 2018

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