Sei imputato in un procedimento penale per uno o più reati tributari e stai valutando di avvalerti dei benefici connessi alla richiesta di un rito alternativo rispetto a quello ordinario?
Se ti stai chiedendo se si possa patteggiare con il Fisco, dovresti leggere questo articolo.
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Per cominciare, analizziamo il dato normativo e in particolare l'art. 13 bis, comma 2 del d.lgs n. 74/2000 che stabilisce come la pena prevista per i delitti tributari può essere concordata tra le parti (a norma dell'art. 444 del c.p.p.) 1) qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche attraverso le speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie ovvero 2) in caso di ravvedimento operoso da parte dell'imputato.
Come vedi, l'ammissibilità della richiesta della pena concordata tra le parti è subordinata dalla legge alla presenza di determinate condizioni.
Devi sapere, però, che recentemente è intervenuta sul punto la Corte di Cassazione con sentenza n. 10800 del 12 marzo del 2019 che ha dichiarato la inammissibilità del ricorso proposto dal Procuratore Generale contro la sentenza di secondo grado che aveva disposto l'applicazione della pena su richiesta delle parti ex art. 444 c.p.p. nei confronti un imprenditore imputato per i reati di cui agli artt. 5 e 10 d. lgs. 74/2000.
Nel motivo di ricorso il Sostituto Procuratore denunciava l'inosservanza o l'erronea applicazione dell'art. 13 bis del D. lgs 74/2000 della legge sui reati tributari che prevede che l'applicazione della pena concordata ai sensi dell'art. 444 c.p.p. può essere richiesta dalle parti esclusivamente dopo l'estinzione integrale dei debiti tributari, delle sanzioni amministrative e degli interessi prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, ovvero mediante ravvedimento operoso.
Secondo il ricorrente invece tale condizione non si sarebbe verificata e per tale ragione il Pubblico Ministero non avrebbe potuto prestare il proprio consenso al patteggiamento.
La Corte, tenendo conto di come, ai sensi dell'art. 13 bis, è previsto che, fuori dai casi di non punibilità, le pene per i delitti del D.lgs 74/2000 sono diminuite fino alla metà e non si applicano le pene accessorie indicate nell'art. 12 qualora prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese le sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinte mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
Ma le condizioni per l'accesso al patteggiamento previste dalla norma conoscono delle eccezioni.
Infatti, come rileva la Corte di Cassazione, l'art. 13 bis, comma 2 fa salvi i casi di cui all'art. 13, commi 1 e 2.
Inoltre, mette in luce che i reati di cui agli art. 10 bis e 10 ter e 10 quater del succitato decreto non sono punibili, se prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti.
I giudici sottolineano, poi, che l'art. 13 al comma 2 dispone che i reati di cui agli articoli 4 e 5, non sono punibili se i reati tributari (comprese sanzioni e interessi) sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, purché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o altra attività di accertamento amministrativa o di procedimento penale.
Pertanto, richiamando un orientamento prevalente della Corte, ( Cass., sez. 3 , n. 38684 del 12 aprile 2018) quanto al delitto di omesso versamento dell'Iva (dove il decorso è esteso anche per i reati di omesso versamento di ritenute dovute o certificate o di indebita compensazione) l'estinzione dei debiti tributari, mediante integrale pagamento da effettuarsi prima dell'apertura del dibattimento, non costituisce presupposto di legittimità del patteggiamento ai sensi del richiamato 13 bis, poiché l'art. 13 comma 1 inquadra tale comportamento come causa di non punibilità dei delitti ex art. 10 bis, 10 ter e 10 quater e il patteggiamento non potrebbe certamente riguardare reati non punibili”. Tali conclusioni sono state considerate estendibili anche ai delitti di cui agli artt. 4 e 5, rispetto ai quali è previsto come il ravvedimento operoso costituisca causa di non punibilità e quindi non rappresenta una condizione per richiedere il rito alternativo.
Nel caso di specie la Corte afferma che “essendovi tra i due reati contestati all'imputato anche quello di cui al D.lgs. n. 74/2000, ex art. 5, deve ritenersi che, rispetto a tale fattispecie, ben poteva avere luogo il rito del patteggiamento anche senza la preventiva verifica dell'esistenza da parte del giudice del ravvedimento operoso che, ove vi fosse stato, avrebbe determinato la non punibilità” dell'imputato. E che anche con riferimento al reato di cui all'art. 10, parimenti contestato, “non appare decisiva la mancata verifica della condizione richiesta dall'art. 13 bis, comma 2. Non risulta infatti che per l'occultamento o la distruzione delle scritture contabili oggetto di imputazione sia maturato un debito tributario a carico di B. o gli siano state inflitte delle sanzioni amministrative che egli avrebbe potuto estinguere prima di accedere al rito alternativo”.
Ciò che la Corte sottolinea è che il delitto di cui all'art. 10 del D.lgs. 74/2000 rispetto agli altri reati previsti non è connesso all'esistenza di “un profitto o di un danno erariale quantificabili, né prevede un meccanismo automatico di irrogazione di una sanzione amministrativa (…) per cui (...) il preventivo accertamento dell'estinzione integrale del debito o del ravvedimento operoso risulta inesigibile, a meno che non si verifichi che ne confronti dell'imputato, (…) sia eventualmente maturato uno specifico debito erariale che avrebbe potuto essere estinto dal contribuente con gli istituti previsti (…) dal diritto tributario”.
Pertanto, la Corte di Cassazione ha concluso nel verso che i due reati tributari contestati all'imputato (artt. 4 e 10 D.lgs. 74/2000) non richiedevano la preliminare verifica giudiziale sull'esistenza del ravvedimento operoso o sull'estinzione dei debiti tributari. Stabilendo così un nuovo principio di diritto che vede ammesso il rito alternativo del patteggiamento di cui all'art. 444 c.p.p. anche per il Reato di Omessa Dichiarazione (oltre che per il reato di Dichiarazione infedele) e per quello di Occultamento o Distruzione di documenti contabili.
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