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La riforma intervenuta con il Decreto Fiscale 2020, come già in precedenza enunciato, ha influito significativamente in materia di reati tributari, in particolare con riferimento al trattamento sanzionatorio riservato nei confronti dei soggetti che li commettono.
In particolare, l’art. 10 del Decreto Legislativo n. 74 del 2000 in materia di reati tributari, così dispone: Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da tre a sette anni chiunque, al fine di evadere le imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di consentire l'evasione a terzi, occulta o distrugge in tutto o in parte le scritture contabili o i documenti di cui è obbligatoria la conservazione, in modo da non consentire la ricostruzione dei redditi o del volume di affari.
Innanzitutto, occorre precisare che il reato in analisi costituisce una fattispecie che può definirsi sussidiaria: la clausola contenuta nel primo periodo sopra riportato, rende operativa la norma solo nelle ipotesi in cui la condotta concretamente posta in essere dal contribuente non sia riconducibile a tipologie di reati di maggiore gravità.
Ecco dunque un’altra ipotesi in cui l’Ordinamento sceglie di punire, anche sotto il profilo penale, quelle attività dirette ad elidere il sistema fiscale ed in particolare la conoscibilità del reale volume d’affari, così da evitare di dover corrispondere le relative somme di imposta.
Per occultamento il Legislatore si riferisce alla sottrazione materiale delle scritture contabili: nella sostanza il contribuente concretamente nasconde le scritture obbligatorie.
La distruzione, invece, consiste nell’eliminazione fisica delle scritture (anche solo in parte), o comunque nel compiere su di esse delle attività (quali cancellature, abrasioni, sovrascritture ecc…), tali da renderne impossibile la comprensione.
Proprio per la natura delle condotte che connotano il reato in analisi, è agile comprendere come esse debbano effettivamente rendere impossibile (anche solo in parte) la ricostruzione del contenuto delle scritture, affinché possa procedersi ad una contestazione in tal senso.
Vediamo, dunque, di seguito, tre casi giurisprudenziali che hanno avuto ad oggetto la contestazione al contribuente di condotte di occultamento o distruzione delle scritture contabili.
1) Esclusione della sussistenza del reato. Corte di Cassazione penale 2015 n. 11479
Il caso di specie vedeva il Tribunale assolvere un imputato dal reato di occultamento delle scritture contabili, sulla base del fatto che questi, in sede di controllo da parte della Guardia di Finanza, aveva dichiarato che le proprie scritture contabili si trovassero presso il proprio Commercialista: quest’ultimo, però, nulla aveva consegnato. Il Giudice del Primo Grado, così, riteneva (principalmente in ragione di elementi probatori di natura testimoniale) ammissibile la tesi formulata dall’imputato, secondo il quale la documentazione si trovava effettivamente nel luogo da lui indicato. In seguito a ricorso in Appello da parte della Procura, la sentenza veniva ribaltata ed il contribuente condannato. La Corte fondava la condanna sull’insussistenza di alcuna delega scritta in favore del commercialista, oltre che sul fatto che l’imputato presentava dei precedenti in materia di evasione fiscale.
Promosso il ricorso avanti la Corte di Cassazione, la sentenza di condanna veniva annullata. La Corte, invero, evidenziava la rimproverabilità nei confronti dell’imputato per il mancato interesse circa la corretta conservazione delle scritture contabili, non riscontrando però alcun profilo di responsabilità penale.
2) Il reato di occultamento e distruzione delle scritture contabili è reato di pericolo in concreto. Corte d’Appello di Roma, sezione I, n. 2647 del 2018.
Nel caso in esame, la Corte d’Appello di Roma, chiamata a pronunciarsi in merito ad un’imputazione per il reato di cui all’art. 10 del Decreto Legislativo in esame, sanciva un principio di particolare importanza. I Giudici, invero, enunciavano che il delitto in analisi dovesse considerarsi reato di pericolo in concreto.
Ciò significa che, oltre al necessario dolo dell’autore (dunque, l’intenzionale compimento delle attività con finalità di evasione fiscale), è indispensabile, a detta di questa pronuncia, che le condotte effettivamente e materialmente poste in essere siano concretamente idonee ad impedire l’accesso e la lettura delle singole scritture contabili.
Pertanto, il Giudice sarà chiamato, di volta in volta, a verificare che sussista il predetto requisito di concretezza.
3) Corte di Cassazione Penale n. 5079 del 2017
In quest’ultimo caso la Suprema Corte ha rilevato come l'art. 10 contenga una doppia alternativa: la distruzione e l'occultamento totale o parziale, correlata, come sopra sottolineato, alla finalità dolosa di evasione nel proprio interesse o in quello di terzi. Sulla base di ciò, alla luce dell’esigenza di concretezza dell’impossibilità di accedere al contenuto delle scritture contabili, si è qualificato il reato in analisi come delitto a condotta vincolata commissiva con un evento di danno.
Di conseguenza, è escluso che possa configurarsi la responsabilità penale per una condotta omissiva, cioè la mancata tenuta delle scritture contabili: tale attività renderebbe, sì, maggiormente difficoltosa la ricostruzione dei movimenti economici del contribuente, ma non corrisponde al reato in esame e pertanto comporta l’esigenza di assoluzione dell’imputato.
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