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L’intermediazione illecita di manodopera non può essere solo presunta ma va provata l’eterodirezione in virtù della quale l'appaltatore non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona

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Estratto: “Non è, quindi, sufficiente, ai fini della configurazione di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, dovendosi verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (Cass. Civ., 6 giugno 2011, n. 12201)”.

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Corte di Cassazione, Sez. 5,

Sentenza n. 3240 del 11 febbraio 2020

Con sentenza n. 13718/13 pubblicata 1'11 febbraio 2013 la Commissione tributaria regionale del Veneto ha accolto l'appello proposto dall'Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Treviso n. 95/8/10, ed ha conseguentemente dichiarato legittimi l'avviso di accertamento n. xxx e l'atto di contestazione n. xxx emessi nei confronti della L. C. s.p.a. con riferimento all'utilizzo di 24 lavoratori irregolari per un costo complessivo di 226.824,00 cui corrispondevano ritenute IRPEF non operate e non versate per un importo complessivo di 53.304,00 e sanzioni per 64.188,80. La Commissione tributaria regionale ha considerato che la L. C. per le operazioni di sezionamento degli animali macellati si era avvalsa delle prestazioni lavorative di persone estranee all'azienda di cui ignorava persino il numero ed i nominativi, corrispondendo alla V. s.a.s. il corrispettivo di 1.249.500,72 senza indicare le modalità di determinazione di tale somma; lo stesso giudice ha pure considerato il generale principio lavoristico dell'effettività che individua il datore di lavoro nel soggetto che utilizza la prestazione; la Commissione tributaria regionale ha poi ritenuto gli atti impugnati sufficientemente motivati; la motivazione dei provvedimenti in questione non richiama atti che avrebbero dovuto essere allegati ma controlli eseguiti tramite l'anagrafe tributaria; l'accertamento è fondato su fatti e non su presunzioni come sostenuto dall'appellato; la responsabilità della società legittima le sanzioni applicate.

Il fallimento della L. C. s.r.l. in liquidazione, già s.p.a. e dichiarata fallita nelle more del giudizio, ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su cinque motivi. Resiste l'Agenzia delle Entrate con controricorso deducendo l'inammissibilità dei motivi tutti proposti sotto vari profili incompatibili, e chiedendo comunque il rigetto del ricorso deducendone l'infondatezza. Il P.G. ha depositato requisitoria scritta in forma di memoria senza alcun rilevo delle parti costituite.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo si lamenta violazione/falsa applicazione degli artt. 23 del d.P.R. 600 del 1973, 29 del d.lgs.276 del 2003, 1414, 1415 e 1655 cod. civ. in relazione all'art. 360, comma 1 n. 3 cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. In particolare si lamenta che la sentenza impugnata ha ritenuto la ricorrente tenuta alla ritenuta d'acconto dell'imposta sul reddito delle persone fisiche percipienti la retribuzione ritenendo sussistente un'interposizione fittizia di mano d'opera senza accertarne e motivarne i presupposti.

Con il secondo motivo si deduce falsa applicazione dell'art. 39 del d.P.R. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla dedotta inapplicabilità di detto art. 39 alle ritenute d'acconto.

Con il terzo motivo si assume falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. 500 del 1973, in combinato disposto con gli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla dedotta insussistenza dei requisiti della gravità, precisione e concordanza richiamati da detto art. 39. Con ulteriore motivo numerato 3 bis si lamenta ulteriore violazione e/o falsa applicazione dell'art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. 500 del 1973, in combinato disposto con gli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ., violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla dedotta violazione del divieto di doppia presunzione.

Con il quarto motivo si assume violazione e/o falsa applicazione degli artt. 41 bis del d.P.R. 600 del 1973, in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla dedotta inapplicabilità al caso in esame, dell'accertamento parziale. Con il quinto motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione degli artt. 42 del d.P.R. 600 del 1973, 7 della legge 212 del 2000, 24 e 111 Cost. in relazione all'art. 360, comma 1, n. 3 cod. proc. civ.; violazione e/o falsa applicazione dell'art. 36, comma due, n. 3 del d.lgs. n. 546 del, 1992 in combinato disposto con l'art. 111 comma sei Cost., in relazione all'art. 360, comma 1, n. 4 cod. proc. civ.; omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti in relazione all'art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. con riferimento alla dedotta illegittima integrazione della motivazione dell'atto amministrativo in sede giudiziale. L'eccezione di inammissibilità dei motivi di ricorso è infondata in quanto è compatibile la deduzione di un medesimo vizio della sentenza sotto diversi profili. E' infatti possibile ricondurre tali diversi profili a specifiche ragioni d'impugnazione, potendosi le doglianze, anche se cumulate, essere formulate in modo tale da consentire un loro esame separato, come se fossero articolate in motivi diversi, senza rimettere al giudice il compito di isolare le singole censure teoricamente proponibili, al fine di ricondurle a uno dei mezzi d'impugnazione consentiti.

Il primo motivo è fondato sotto tutti i profili proposti fra di loro connessi. La motivazione della sentenza impugnata è fondata sull'esistenza di un'interposizione fittizia di mano d'opera senza che gli elementi costitutivi di tale interposizione siano indicati. La Commissione tributaria regionale, in particolare, descrive in modo anche dettagliato, gli elementi di fatto ricavabili dagli atti di causa senza tuttavia dedurne l'esistenza della interposizione che viene presunta senza tuttavia affermarne l'esistenza e, a maggior ragione, motivarla. Fra l'altro la stessa Commissione tributaria insiste su elementi quali, l'ignoranza da parte della L. C. del numero e dei nominativi dei lavoratori impiegati nell'azienda e del costo della mano d'opera utilizzata, che non solo non comprovano l'intermediazione illecita, ma sono al contrario perfettamente compatibili con un regolare appalto. Nel vigore della L. n. 1369 del 1960, poi abrogata dalla L. n. 276 del 2003, il divieto di intermediazione ed interposizione nelle prestazioni di lavoro, sancito dalla L. n. 1369 del 1960, art. 1, opera nel caso in cui l'appalto abbia ad oggetto la messa a disposizione di una prestazione lavorativa, attribuendo all'appaltatore i soli compiti di gestione amministrativa del rapporto in assenza di una reale organizzazione della prestazione stessa finalizzata ad un risultato produttivo autonomo, la cui esistenza, peraltro, non può essere esclusa - avuto riguardo alla natura delle prestazioni in concreto affidate - ove la predisposizione dell'organizzazione del lavoro non sia supportata da mezzi e capitali propri (Cass. Civ., 29 settembre 2011, n. 19920).

Inoltre, si è aggiunto che, in tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, anche nel regime di cui al D.Lgs. 10 settembre 2003, n. 276, così come già in quello di cui alla L. n. 1369 del 1960, per quanto la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore sia un indice dell'accordo fraudolento, ai fini della dimostrazione della sussistenza di quest'ultimo è necessario che dette disposizioni sono riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro anche in relazione alle effettive modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative (Cass. Civ., 15 luglio 2011, n. 15615). Non è, quindi, sufficiente, ai fini della configurazione di un appalto fraudolento, la circostanza che il personale dell'appaltante impartisca disposizioni agli ausiliari dell'appaltatore, dovendosi verificare se le disposizioni impartite siano riconducibili al potere direttivo del datore di lavoro, in quanto inerenti a concrete modalità di svolgimento delle prestazioni lavorative, oppure al solo risultato di tali prestazioni, il quale può formare oggetto di un genuino contratto di appalto (Cass. Civ., 6 giugno 2011, n. 12201, sempre in tema di applicazione della L. n. 1369 del 1960 poi abrogata dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 85, comma 1, lettera c) sul criterio fissato del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 1, che fa leva sull’organizzazione dei mezzi necessari da parte dell'appaltatore, che può anche risultare, in relazione alle esigenze dell'opera o del servizio dedotti in contratto, dall'esercizio del potere organizzativo e direttivo nei confronti dei lavoratori utilizzati nell'appalto, nonchè per la assunzione, da parte del medesimo appaltatore, del rischio d'impresa".

A seguito della riforma, in particolare, è divenuta determinante l'eterodirezione in virtù della quale l'appaltatore non solo organizza, ma anche dirige i dipendenti, utilizzandoli in prima persona. Il giudice dell'appello nulla ha considerato riguardo a tali complessi elementi da valutare ai fini della configurazione dell'intermediazione illecita di mano d'opera che viene solo presunta sulla base di elementi che, come detto, sono invece perfettamente compatibili con un regolare appalto. Gli altri motivi sono assorbiti.

La sentenza impugnata va dunque cassata con rinvio alla medesima Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione che provvederà all'accertamento dell'eventuale esistenza di un'intermediazione illecita di mano d'opera o di un regolare appalto seguendo i principi di diritto sopra esposti.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione, a cui demanda anche il regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

Roma, 4 dicembre 2019

 

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